10 giugno 2019


Dio chiamò Adamo e gli disse «Dove sei?». Sento questa chiamata anche per me, perché so dove sono, anche se molti miei parrocchiani mi domandano sempre “dove sei?” perché quando mi cercano apparentemente non ci sono proprio mai. So dove sono nel senso non tanto di dove abito, di dove servo, ma di dove mi trovo in questo momento della mia vita in cui celebro questa memoria grata del dono del ministero presbiterale che giunge al XXV anno, nell'anno in cui compirò 50 anni. Credo di sapere di essere ancora in cammino, di non essere nascosto, di sentirmi sempre povero, nudo ma di non nascondermi. Credo anche di non avere paura di questo Dio che di giorno in giorno imparo a conoscere, ma certo sento tutta la responsabilità di questo essere cercato, essere chiamato per nome, di questa Sua volontà di non lasciarmi mai e della percezione forte di questi anni di non esser stato lasciato mai, di non aver mai perso il contatto con Lui, anche perché privilegio assoluto è quello di poter, ogni giorno, celebrare l’Eucaristia, invocare la Sua presenza, accoglierla nella fragilità delle mie mani e della mia vita. Pur sapendo che quel Mistero mi supera, mi attraversa, mi avvolge, a volte mi sconvolge, sono in cammino con il Signore, per il Signore, verso di Lui e lo sono insieme a tante persone. In questi giorni nei quali ho condiviso con alcuni questa gratitudine invitando alla preghiera, mi sono sorpreso della memoria colma di tanti eventi che hanno segnato questi anni. Ci sono innanzitutto gli eventi lieti, quelli che mi hanno fatto gioire nell’essere presbitero perché li ho vissuti con l’intensità della felicità, della letizia. Ci sono i momenti duri, quelli vissuti personalmente ma anche quelli che ho condiviso con le persone che mi sono state affidate. Momenti nei quali anch’io ho cercato il volto di Dio che pareva velato da quelle situazioni così dolorose e che mi chiedevano, più che una parola, una presenza spesso fatta di un silenzio colmo di rispetto. Mi trovo quindi ad essere in cammino e sono lieto di viverlo in questa esperienza di Chiesa, perché la chiesa, fin da quando sono bambino, mi ha accompagnato. Ripenso a che cos’è per me la Chiesa e la rivedo nella mia famiglia, fatta di persone che si sono incontrate qui, da una parte all’altra dell’Italia, dalla Puglia al Veneto, migranti che portavano con loro le storie dei loro paesi il loro modo di celebrare Dio e di viverlo; poi la Chiesa che è la casa dei miei nonni, la preghiera in ginocchio sulla sedia del mio nonno Giovanni o il rosario tra le mani della nonna Gisella, rosario che mi faceva sorridere perché detto velocemente mezzo in italiano e mezzo in dialetto, che faceva però sentire Dio più vicino. Ancora, i luoghi dove sono cresciuto nella fede, e poi quell’esperienza straordinaria che è stato il Seminario, che è stato casa mia per tantissimi anni, perché tredici anni sono stati di più degli anni che ho vissuto a casa. Poi tutte le comunità che ho incontrato fino a qui, fino a voi, queste mie comunità, questo decanato, questi confratelli che ringrazio di essere qui stasera per aver accolto anche l’invito a condividere insieme quella quotidianità che è il mangiare insieme.
Mi trovo ad essere in cammino. Non ho paura, mi sento un po’ povero e un po’ nudo ma non mi nascondo e cerco di rispondere a questo Signore che chiama, perché mi ha chiamato sempre, anche quando mi sono ritrovato distante da Lui. Dove abbondò il peccato sovrabbondò la grazia: è una di quelle espressioni che si usano spesso, un po’ perché risuonano con forza e ad effetto. In realtà penso che quanto più uno cerca di avvicinarsi a Dio più sente come questo mistero di Dio sia così grande e scopre che ogni forma di peccato è qualcosa che fa piangere non Dio ma il cuore. Il perdono diventa allora curare una ferita, che purtroppo non si rimargina perché il peccato  è accovacciato alla porta, perché la fragilità è sempre troppo grande, perché uno cerca di rispondere a questa chiamata e lo fa con tutte le forze, con tutto l’amore ma poi si ritrova spesso un po’ rannicchiato sul proprio limite e ha bisogno che sia sempre questa grazia sovrabbondante che ti riplasmi e ti ridica che tu sei degno perché sei figlio, che la tua dignità è essere figlio di Dio e che non c’è nulla che ti può separare dall’amore di Dio in Cristo Gesù.
Infine, in questa festa in cui contempliamo Maria madre della Chiesa, ci viene consegnato questo momento in cui Gesù sta vivendo il vertice del peccato, del rifiuto, dell’indifferenza e in quel momento pensa ancora ai suoi discepoli e non vuole che siano soli, smarriti, attenderanno il dono dello Spirito ma intanto hanno bisogno di una mamma, hanno bisogno di qualcuno che racconti di questo Gesù Maestro e Signore, della sua vita, di quel tempo “oscuro” ma luminoso che è il tempo di Nazareth nel quale il Maestro ha imparato la vita proprio da questa Madre e da tutti coloro che lo hanno istruito, guidato a leggere i segni nella natura, nella realtà quotidiana fatta di lavoro, di fatica, nel cibo, nel cielo, nei prati, nella ricchezza del lago… gli hanno insegnato la vita. Gesù ci consegna Maria perché ci racconti di Gesù, perché ci parli di Lui bambino, di Lui uomo, di Lui maestro, di Lui Signore, di Lui risorto. E io che non sono uno dei più fedeli sacerdoti mariani, sento sempre questa parola «Donna, ecco tuo figlio» come un’esortazione, come un invito a non sentirmi mai da solo perché accompagnato da Maria. Ho allora una preghiera da chiedervi, per me ma credo anche per ogni presbitero: la preghiera di rispondere sempre a questa chiamata, anche quando ci sentiamo inadeguati, anche quando la nudità sembra così grande e la fragilità troppo da portare. Vi chiedo di non dubitare mai del perdono, del perdono accolto e del perdono donato, di trovare sempre in Maria colei che vi racconta di Gesù e vi porta a Lui, di invocarla spesso anche perché mantenga il cuore fedele. Vi chiedo poi di pregare il Signore perché ogni giorno, concludendo le giornate a volte ricche di imprevisti, dove non riesci a fare quello che vorresti, quando pensi che essere presbitero, essere parroco dovrebbe essere un’altra cosa e che i tempi non sono mai quelli che tu vorresti dedicare alla preghiera, alla predicazione, al confessionale, all’accompagnamento spirituale ma tempi presi da altre preoccupazioni… chiedete al Signore, per me e per noi, che possiamo dire al termine di ogni giornata “tutto è compiuto”, perché il Signore trovi nella nostra risposta alla sua chiamata uomini che non hanno paura, che confidano nel perdono, e che si lasciano abbracciare e accompagnare dalla sua stessa Madre. 

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