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Visualizzazione dei post da giugno, 2013

29 giugno 2013 - Una domanda che fa vivere

«Signore, tu conosci tutto;  tu sai che ti voglio bene». (Gv 21,17) Gesù e Pietro, uno dei dialoghi più affasci­nanti di tutta la let­teratura. 
Tre do­mande, come nel­la sera dei tradimenti, at­torno al fuoco nel cortile di Caifa', quando Cefa', la Roc­cia, ebbe paura di una ser­va. E da parte di Pietro tre dichiarazioni d'amore a ri­comporre la sua innocenza, a guarirlo alla radice dai tre rinnegamenti. 
Gesù non rimprovera, non accusa, non chiede spiega­zioni, non ricatta emotivamente; non gli interessa giudicare e neppure assolvere, per lui nessun uomo è il suo peccato, ognuno vale quanto vale il suo cuore: 
Pietro, mi ami tu, adesso? 
La nostra santità non consiste nel non avere mai tra­dito, ma nel rinnovare ogni giorno la nostra amicizia per Cristo. Le tre domande di Gesù so­no sempre diverse, è lui che si pone in ascolto di Pietro. La prima domanda: Mi ami più di tutti? E Pietro rispon­de dicendo sì e no al tempo stesso. Non si misura co

27 giugno 2013 - La fede operosa che genera la speranza

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«Dov’è la vostra fede?». (Lc 8,24) Turatti Giovanni, La tempesta sedata Con la fede lo Spirito Santo depone nel cuore dell’uomo anche il seme della speranza. La fede è infatti, come dice la Lettera agli Ebrei, “fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono” (11,1). In un orizzonte spesso segnato dallo scoraggiamento, dal pessimismo, da scelte di morte, da inerzia e superficialità, il cristiano deve aprirsi alla speranza che sboccia dalla fede. Ciò è raffigurato nella scena evangelica del turbine che si scatena sul lago: “Maestro, maestro, siamo perduti!”, gridano i discepoli. E Cristo domanda loro: “Dov’è la vostra fede?” ( Lc 8,24-25). Con la fede in Cristo e nel Regno di Dio non si è mai perduti, e la speranza della quiete serena riappare all’orizzonte. Anche per un futuro degno dell’uomo è necessario far rifiorire la fede operosa che genera la speranza. Di questa un poeta francese ha scritto: “La speranza è l’attesa trepidante del bu

26 giugno 2013 - Legami fondati sulla parola di Gesù

«Mia madre e miei fratelli sono questi: coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica» (Lc 8,21)     È un aspetto un po' taciuto dai predicatori di tutti i tempi, forse perché davvero destabilizzante a prenderlo sul serio... In Marco, in particolare, ma anche negli altri vangeli, emerge una novità rispetto alla diffusa mentalità culturale e religiosa del tempo: il prevalere dell'esperienza di fede sull'intoccabile predominanza del clan famigliare. In Israele, come, paradossalmente, anche nella cultura cattolica tradizionale, la famiglia aveva un'importanza assoluta e, come accade anche in altre esperienze religiose come il Confucianesimo, l'equivalenza buon figlio/buon cittadino/buon credente, viene data per scontata. Gesù, invece, osa sovvertire questo automatismo: il discepolato crea dei legami più intensi e duraturi di qualunque altra esperienza famigliare. Gesù considera fratelli e sorelle non i suoi famigliari di Nazareth,

25 giugno 2013 - La fede oltre le buone intenzioni

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«Nessuno accende una lampada  e la copre con un vaso  o la mette sotto un letto». (Lc 8,16) Non so dove viviate, ma parecchi fratelli e sorelle all'ascolto capiranno bene ciò che sto per dire. Oggi essere luce è difficile, oggi la lampada della fede è coperta dal vaso. Finché restiamo in ambito cristiano, finché sto in oratorio o con amici dopo la Messa è relativamente semplice essere cristiani, credenti, professare le proprie convinzioni, condividere le proprie scelte... ma appena usciti dal recinto sicuro delle nostre comunità ecco che le cose si complicano. E' difficile essere cristiani in ufficio, quasi impossibile in Università o nello sport. Appena si inizia una qualsiasi discussione o si affronta un tema si viene aggrediti da un anticlericalismo rabbioso e tutti giù a elencare gli sconfinati crimini di cui i cristiani si sono tacciati e che ancora compiono. No, non è facile essere cristiani, ci si rende ridicoli, alle volte si perde la fa

Giovanni, il Battista, dono di Dio

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«Giovanni è il suo nome». (Lc 1,63) Fra Angelico, Imposizione del nome al Battista, Museo di san Marco - Firenze Per Elisabetta si compì il tempo e diede alla luce un figlio. I figli vengo­no alla luce come compi­mento di un progetto, vengo­no da Dio. Caduti da una stel­la nelle braccia della madre, portano con sé scintille d'infinito: gioia ( e i vicini si ralle­gravano con la madre) e pa­rola di Dio. Non nascono per caso, ma per profezia. Nel lo­ro vecchio cuore i genitori sentono che il piccolo appar­tiene ad una storia più gran­de, che i figli non sono nostri: appartengono a Dio, a se stes­si, alla loro vocazione, al mon­do. Il genitore è solo l'arco che scocca la freccia, per farla vo­lare lontano. Il passaggio tra i due testamenti è un tempo di silenzio: la parola, tolta al tem­pio e al sacerdozio, si sta in­tessendo nel ventre di due madri. Dio traccia la sua sto­ria sul calendario della vita, e non nel confine stretto delle i­stituzioni. 
Un rivoluz