22 novembre 2015 - II domenica di Avvento


Normalmente quando ci presentiamo a qualcuno accanto al nostro nome diciamo qualche cosa, qualche titolo, qualche caratteristica che aiuti l’altro a capire chi siamo. Può essere il dire “sono il figlio di questa persona” pensando che l’altro lo conosca, oppure “vengo da questo paese”, “sono italiano”, oppure il dire il lavoro che si fa, il compito che si ha, il titolo di studio che si è conseguito… Normalmente quando uno si presenta è possibile che usi qualche caratteristica per farsi conoscere.
Ma mi sono domandato: «quante volte per presentarmi agli altri ho detto “io sono figlio di Dio”»? Questa è la realtà più straordinaria che mi definisce. La più importante che ho, quella che nessuno mi toglierà mai, né l’età, né il corso degli eventi, né la morte. Io sono figlio di Dio. Così, in questi giorni ho ricevuto una bellissima mail da parte di una signora che mi raccontava il suo percorso in questo ultimo periodo e che firmava questo suo scritto così: il suo nome e poi “figlia di Dio”, ancora prima di essere la sposa di, la mamma di.
Nel giorno del nostro battesimo siamo stati rivestiti della presenza di Dio, tutti noi senza nessun merito abbiamo ricevuto la dignità di essere appartenenti al Dio di Gesù Cristo. Fisicamente siamo stati rivestiti di una veste bianca, segno della nostra dignità e da quel giorno lo Spirito Santo, anche quando non ce ne accorgiamo, lo ostacoliamo, lo dimentichiamo, agisce dentro di noi, continua a richiamarmi, a tenerci desti, soprattutto quando noi ci allontaniamo a causa della pigrizia, a causa delle vicende avverse della vita, a causa delle ingiustizie subite, perché ci dimentichiamo che questo essere figli di Dio è un dono non da conquistare ma da custodire. Questo dono è fatto a ogni uomo che si apre a riconoscere come Gesù Cristo sia la definitiva, ultima rivelazione di Dio all’umanità.         
Certo, parlare di Dio in questo tempo è un po’ complicato: gli eventi che si susseguono ininterrotti tra gli uomini ci presentano un modo di vedere Dio che non è certamente buono. Coloro che sfruttano questi momenti per affermare le proprie idee dicono che anche i cristiani, in fondo, non sono esempi da seguire e così si passa attraverso la chiacchiera a non dire nulla, né ad affermare la verità né a cercarla ma solamente a dire quello che ci preme di più e quello che ci conviene di più, al di là di ogni possibile manipolazione del vero, soprattutto sull’onda delle emozioni, della paura, dello sguardo dubbioso sul futuro. Oggi noi siamo qui perché al di là di ogni percorso di fede che stiamo vivendo il Signore ci chiama per dirci una parola, per mostrarci gesti d’amore, perché noi siamo suoi figli.
La parola che abbiamo ascoltato ci ricorda che la salvezza è per tutti gli uomini. Questa parola, salvezza, spesso la sentiamo un po’ vuota nel suo significato; per me significa che la mia vita è nelle mani di Dio adesso e per sempre, che sono salvo perché Dio si prende cura di me e questo mi basta; non vuol dire che sono salvo perché sono messo al riparo dalla sofferenza, dalla morte, dall’ingiustizia, dal peccato. Sono salvo perché Dio mi ha scelto come suo figlio e Lui è fedele, non si dimenticherà mai di questa scelta che ha fatto liberamente e che per sua natura non tradirà mai. La salvezza è per tutti gli uomini perché Dio non può essere di una parte, di un gruppo e, anche se nella storia – e Israele lo sa bene -, ha scelto un popolo dove manifestarsi, lo ha fatto perché quella esperienza diventasse segno per tutti. Tanto che la prima lettura ci parla di due popoli contrapposti, spesso in guerra con Israele che diventano luoghi dove si manifesta la grandezza di Dio. Così l’Egitto lascerà la sua terra per andare verso la Siria, la Siria verso l’Egitto e Giuda, piccola regione, diventerà terra di pellegrinaggi e l’Egitto e la Siria andranno d’accordo e vivranno nella pace, come dire che la Cina e Tibet andranno d’accordo oppure come l’occidente e l’oriente in ogni sua declinazione e forma, o come Palestina e Israele. Questo modo di guardare la storia non è dei sognatori, è di coloro che si fidano di Dio, del Dio di Gesù Cristo che a Paolo si è rivelato e si manifesta in modo particolare, non unico, nella Chiesa e custodisce un mistero indicibile. È un mistero, non si può comprendere pienamente: ha tutti gli strumenti per poterlo accogliere non per comprenderlo. La Chiesa non è fatta da divinità ma da uomini e donne che con le loro fragilità dicono “noi ci fidiamo di Dio” e ricominciano sempre. La Chiesa non è il club dei perfetti ma di coloro che si sentono sempre perdonati e per questo possono sempre ricominciare, tanto che uno che non chiede mai il perdono non si sente parte di questo popolo: o si sente troppo giusto, quindi giudica tutti gli altri, o si sente troppo indegno e pensa che tutti gli altri siano nemici. La Chiesa non può essere così. Allora anche se tutti sbagliamo, a qualsiasi livello, situazione, tuttavia abbiamo sempre la possibilità di ricominciare e di riconoscere che ciò che ci accomuna è l’essere figli di Dio e questo è un abito che nessuno ci può strappare. Certo, lo possono logorare, lo possono segnare con la violenza ma non strappare. Noi non lo rivendichiamo come la volontà di imporci ma solamente vogliamo imitare Gesù che si propone, come dice Giovanni “viene uno dopo di me che è più forte di me”, perché attraverso il battesimo nello Spirito introduce al volto di Dio. Io posso preparare la strada ma non sono Dio, non sono io il Messia. Posso creare le condizioni, posso indicarvi la Via, posso essere “voce di uno che grida nel deserto: preparate la venuta del Signore” ma Gesù è la differenza. Possiamo dire così: la possibilità di vivere un cristianesimo autentico sta nella familiarità che abbiamo con Gesù Cristo. Noi veniamo all’Eucaristia, ascoltiamo il Vangelo non perché siamo obbligati ma perché abbiamo intuito che solamente quando Gesù diventa confidente alla mia vita, parte della mia esistenza, ragione delle mie scelte, motivo delle mie parole  io vivo il cristianesimo e posso amare la realtà della Chiesa così com’è, non perché la giustifico ma perché credo che la mia vita possa renderla più bella.
Chiediamo allora al Signore di aiutarci a vivere nella consapevolezza di questa dignità che ci permette di essere qui tutti allo stesso livello, giovani o anziani, dotti o meno dotti, sia chi ha un’esperienza di fede molto intensa sia chi è un po’ più fragile. Gesù guarda ciascuno di noi e vede tutto il bene che siamo, che possiamo fare e ci invita alla conversione del cuore perché sa che abbandonando il male, non scegliendolo, ripudiandolo, rifiutandolo noi possiamo essere più liberi di scegliere strade di bene che non sono più semplici ma portano frutto, che non so certamente sempre immediate e di tutti ma che, sulla lunga distanza, hanno prospettive che sono di cielo, ci ricordano che noi siamo figli di Dio, che siamo salvati e che la nostra vita già ora è nelle sue mani e così per l’eternità. Credo che noi abbiamo bisogno di questa testimonianza ma anche l’umanità ne ha bisogno; di questo martirio abbiamo bisogno, che non si impone con la violenza, che non sceglie la strada della voce grossa, del pugno duro, della rivendicazione, della manifestazione di piazza, ma sceglie invece la fedeltà, la quotidianità così come ci ha insegnato Gesù stesso. Che il Signore ci aiuti a vivere così la nostra vita, che significa in fondo vivere il nostro battesimo ricordandoci che quando ci presentiamo l’unico vero titolo che possiamo offrire e dire è che siamo figli di Dio. 

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