29 novembre 2015 - III domenica di Avvento


Ricordare, fare memoria, è un esercizio quotidiano nella nostra esistenza ma è fondamentale perché ci permette di creare dei legami con il nostro passato che ci ritorna come bene che abbiamo vissuto e come esperienza, a volte, negativa dalla quale imparare. Ricordare ci permette di creare dei legami con delle persone che hanno condiviso con noi il percorso della vita e sono state per noi significative.
Ricordare significa “riportare nel cuore” ciò che di bello, di buono abbiamo vissuto, o quello che la vita ci ha insegnato e dal quale prendiamo le distanze perché siamo diventati più saggi nel gestire il nostro tempo.
Quando perdiamo la memoria, il contatto con quello che è il nostro mondo, questo ci fa un po’ paura. L’esperienza più diretta l’abbiamo quando siamo chiamati a stare vicino a una persona che, a motivo dell’età o della salute, della malattia, perde la memoria. Quanta sofferenza nel non sentirsi riconosciuti! Lo sentiamo come un legame che si interrompe, come un ponte che si rompe.            
Penso che Dio faccia spesso questa esperienza di sentirsi un po’ lontano da coloro verso i quali costantemente pone tutto l’amore di cui è capace.
Abbiamo letto e ripetuto più volte nel Salmo “grandi cose ha fatto il Signore per noi”, ma mi domando: quante volte mi ricordo di lodare il Signore per quello che ho, per quello che vivo, per quello ho vissuto? Quante volte dico “grandi cose hai fatto per me, Signore!”? Invece ho come il timore che spesso mi lamenti di Lui, di quello che non fa, di quello che non risponde alle mie domande e alle domande dell’umanità e così in questo tempo, in cui in maniera ossessiva, ci viene presentato un mondo brutto che sembra in balia del male, dove non c’è più spazio per il bene, è difficile dire queste parole con sincerità. Quanto corrispondo veramente a quello che sentiamo?
Credo che per uscire da questa mancanza di memoria abbiamo da compiere due strade. La prima ci viene suggerita dal percorso delle letture di questa domenica, il cui titolo è “le profezie adempiute” ovvero il compimento delle profezie. Ci ricorda come il Primo Testamento è la narrazione del percorso di un popolo che sempre di più, gradualmente, impara a conoscere il volto di Dio, impara a leggere i segni della sua rivelazione e sempre di più, pur attraversando il tempo del tradimento, del peccato e del rifiuto, progressivamente si affida. L’evento Gesù Cristo è il compimento di questo percorso, tanto che noi non potremmo leggere pienamente il Nuovo Testamento se non avessimo una conoscenza profonda del Primo. Così, leggere la Scrittura senza il riferimento al libri che sono stati scritti dopo l’evento Gesù Cristo manca di qualche aspetto perché tutta questa tensione verso la venuta di un Messia rimarrebbe senza una risposta. Il primo pensiero che affido a me innanzitutto e poi condivido con voi è proprio questo: non si può conoscere Cristo, essere in comunione con Lui, entrare in confidenza con Lui senza conoscere le Scritture. Abbiamo il dovere, noi che siamo di Cristo, di spendere più tempo nell’ascoltare la Parola di Dio e nel credere che questa parola che è di Dio è l’unica capace di generare qualcosa di nuovo. Dovremmo mettere lo stesso tempo che dedichiamo ad ascoltare tante chiacchiere a servizio anche della Parola, almeno a pareggiare. Invece spesso è più facile lasciare che la nostra mente e il nostro cuore venga guidato da parole di uomini che, certo hanno studiato e hanno un’autorevolezza o una sapienza, non possono essere messe sullo stesso piano del Signore. Voglio, decido che la Parola di Dio sia per me pane quotidiano, sia lampada per i miei passi, sia il modo concreto di educare la mia vita al pensiero di Cristo, così come il Cardinale Arcivescovo ci invita a vivere chiedendoci di fare in modo che tutte le cose vengano ricondotte all’evento Gesù Cristo.

Il secondo pensiero lo prendiamo dal Vangelo. Giovanni Battista è un uomo straordinario, nel tempo di Avvento ci viene presentato come una delle figure principali insieme a Maria. A un certo punto, mentre si trova in carcere perché ha sfidato il re, lo ha accusato di essere ingiusto, sente parlare di Gesù e lo vede così distante da lui poiché non mangia come lui, non veste come lui e dice “ho sbagliato, ho indicato uno che non è veramente quello che attendiamo” e allora manda degli amici a chiedere a Gesù “ma sei tu Colui che dobbiamo attendere o abbiamo sbagliato?”. Gesù non accampa titoli, dice di guardare i segni, di guardare quello che accade, l’evidenza della vita, dice di non scandalizzarsi che lui vesta come gli altri, che vada a pranzo con uomini e donne reputati di poco conto o dannosi o pericolosi o nemici. “Guardate i segni, il bene che c’è”. Anche noi abbiamo questo dovere di guardare intorno a noi e vedere i segni dell’opera di Dio. Il Papa ce lo sta gridando in tutti i modi in questi giorni in cui si trova là dove noi non vorremmo mai andare, dove l’umanità appare più ferità dopo le ingiustizie che anche noi nel nostro mondo coltiviamo. È andato là dove raramente un occidentale va per passare del tempo, se non per compiere un servizio. Mi domando: bisogna andare fino in Kenia, in Centr’Africa, in Uganda per poter vedere i segni della presenza di Dio? No. Dio è all’opera qui, in mezzo a noi e in questo mondo, che ci viene descritto così in preda alle tenebre, le luci sono molte di più. Sta a noi vederle, coltivarle, proporle, promuoverle, difenderle, servirle, sta a noi renderci conto che c’è un’umanità che ha bisogno della nostra collaborazione perché questo mondo diventi migliore non solo nei sogni ma nella realtà. Noi siamo stati chiamati, siamo stati investiti dallo Spirito Santo per realizzare le opere di Dio. Non sono parole. È la nostra vocazione e ogni volta che ci tiriamo fuori, ci tiriamo indietro o lasciamo che sia qualcun altro, permettiamo al chiasso, alle parole inutili di avere il sopravvento. Se vogliamo che questa parole che abbiamo detto nel Salmo siano vere proviamo a mettere un pochino più tempo a servizio della Parola, dell’ascolto, dell’accoglienza, lasciando che la Parola ci insegni a leggere la Parola di Dio, che la familiarità con quelle parole diventi sempre più capace di illuminare la nostra vita. Abbandoniamo le strade della lamentela, della paura, delle riflessioni che arrivano sempre a un punto morto. Noi crediamo nel Dio della vita e allora leggiamo la realtà con gli occhi di Dio, Lui che la sceglie ancora per abitarla con tutta l’intensità del suo amore chiede a noi di essere accoglienti e di collaborare nella venuta oggi del suo Regno.

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