26 dicembre 2015 - Santo Stefano



Viviamo ancora la gioia del Natale e subito la Chiesa ci invita a riflettere su un tema che è prezioso ma anche difficile.
Il martirio - la testimonianza fino al dono del sangue - è un argomento difficile, soprattutto per noi che viviamo in una condizione dove non sappiamo cosa significhi per nulla essere perseguitati. E anche se in qualche occasione troviamo qualcuno che deride la nostra appartenenza al Signore e alla Chiesa, se anche talora troviamo una sorta di indifferenza nei rapporti che abbiamo con chi condivide con noi l’esperienza del lavoro, a volte anche nelle nostre case, tuttavia questo atteggiamento non arriva mai ad essere nei nostri confronti così violento da impedirci di poter celebrare l’Eucaristia o di poter professare la nostra fede. 
Questa realtà del martirio accompagna la storia del Cristianesimo fin da suo sorgere e la Chiesa ci invita oggi a fermarci a contemplare il primo martire Stefano, anche se storicamente non è questo il giorno in cui lui ha dato la vita. Nella sua volontà di insegnare, di educarci all’esperienza della fede, ci ricorda che essere testimoni di Gesù è una cosa seria, che la fede in Gesù Cristo è una realtà seria, che richiede una disponibilità del cuore che arriva a mettere in gioco tutto, anche la vita.
Stefano ci viene proposto come modello perché è il primo martire e perché dona la vita come Gesù la dona. Il legame profondo tra il Natale e la Pasqua viene così sottolineato da questa memoria e da questa festa. Ci sono alcuni elementi che possono aiutarci a cogliere l’importanza del martirio, anche in questo tempo in cui questa parola viene associata a dei gesti che sono il contrario di quello che noi oggi celebriamo.
Stefano è uno dei diaconi, dei servitori, scelto dagli apostoli perché ci fosse la possibilità per tutti di ascoltare la parola di Dio, attraverso la predicazione di coloro che avevano conosciuto Gesù da vicino e per questo erano i primi testimoni della sua predicazione e, quindi, i più profondi conoscitori della sua vita. Ma ci fosse anche lo spazio e la condizione di prossimità a coloro che erano tra i più poveri, nella comunità di coloro che si erano convertiti al Cristianesimo. In particolare l’attenzione era verso coloro che venivano non dal mondo giudaico ma dal mondo greco ed erano degli stranieri. Da subito la comunità cristiana si è misurata con l’accoglienza di chi è straniero e l’intuizione è stata quella di scegliere sette uomini - i diaconi, appunto - e tra loro Stefano, questo giovane che si distingue subito non solo per la carità verso i poveri ma anche per la sua testimonianza e la sua predicazione a dirci che nella prima comunità cristiana non c’era certo la gelosia nei confronti di quello che era il contenuto della fede. I discepoli del Signore, gli apostoli, non erano gelosi del loro insegnamento ma insegnando ad altri poi questo insegnamento a sua volta veniva diffuso, fatto conoscere. Stefano compie dei prodigi, compie dei segni com’era nella prima comunità cristiana caratteristica di coloro che avevano conosciuto Gesù o dei primi convertiti al Cristianesimo. Eppure una grande parte di quella che possiamo dire l’opinione pubblica, coloro che avevano il potere in quel momento, si scaglia contro quest’uomo e condiziona tutto il popolo e i prodigi di Stefano vanno in secondo piano, non sono importanti. Ciò che è importante è la fedeltà a un insegnamento ricevuto, alla Legge di Mosè: è blasfemo quest’uomo che compie prodigi, pieno di potenza e di Spirito Santo; è blasfemo quest’uomo che ha il volto di un angelo. E così l’essere radicati in una convinzione chiude il cuore e la mente e impedisce che quella testimonianza, quel martirio sappia parlare alla loro vita. Così creano, come per Gesù, un processo sommario, fondato su testimonianze false, portano quest’uomo fuori dalla città e lo uccidono, con quel metodo tipico della tradizione ebraica, la lapidazione. Oggi accade così in molti luoghi del mondo; i cristiani sono presenza nel mondo, da sempre, anche in terre che attualmente sono abitate da maggioranze di altre religioni. Certo, la storia della convivenza non è sempre stata pacifica ma ultimamente possiamo dire (ultimamente non significa una questione di pochi anni) che la presenza dei cristiani, soprattutto in terre come il Medio Oriente, è una presenza di equilibrio. Il cacciare, il perseguitare, l’uccidere i cristiani è non solo una grande, folle, ingiustizia taciuta da molti, ma anche la premessa per nuovi scenari ancora più tragici in terre già segnate dalla violenza e dalla morte.
Il sangue dei martiri dovrebbe, però, interrogarci, non perché noi dobbiamo arrivare a quello (non ci sarà mai forse chiesto) ma deve interrogarci sulla qualità della nostra testimonianza e dell’amore che abbiamo per Dio e per la Chiesa. Anche se non ci è chiesto di arrivare fino al dono del sangue, come per Paolo, per Stefano e tanti altri nei nostri giorni, ci è chiesto di essere testimoni autentici, veri. Anche noi abbiamo il compito di poter dire “abbiamo combattuto la buona battaglia, abbiamo terminato la corsa, abbiamo conservato la fede”: questo dev’essere un punto d’onore per noi. L’essere qui oggi, gratuitamente, in una festa che chiamiamo “non di precetto” è già segno di voler vivere questo tempo di Natale tenendo il Signore nelle nostre giornate e nel nostro tempo. C’è poi chiesto di guardare al nostro modo di essere cristiani ogni giorno e al nostro modo di guardare e amare il Signore e la Chiesa. In questi giorni, visitando tante famiglie, ascoltando tante persone, si sente una lamentela nei confronti della Chiesa, alimentata dalle notizie che ci giungono in maniera molto ripetuta su quelli che sono gli scandali della Chiesa. Ma noi abbiamo il compito non di fare una difesa d’ufficio, come se fosse una sorta di difesa cieca, ma abbiamo il compito di capire la Chiesa e di capire come noi possiamo renderla più bella, più vera, più autentica. La cosa straordinaria è che l’uccisione di Stefano fu l’inizio della missione della Chiesa. La dispersione dopo la persecuzione che colpì per primo Stefano portò i cristiani in ogni parte di quello che chiamiamo il Medio Oriente. La cosa straordinaria è che la morte di Stefano, approvata da Paolo, sicuramente avrà lasciato nel suo cuore una domanda tanto che nell’incontro con Gesù quell’uomo si sarà domandato “è possibile dare la vita per il Signore?”.
Allora oggi vorrei tenere nel mio cuore l’invito a una testimonianza più autentica, ad essere lieto di poter esprimere la mia fede senza rischiare la mia vita, ma anche l’impegno a onorare il sangue di coloro che la vita la danno per davvero, a non avere paura di dire la mia fede, sempre con rispetto e discrezione ma con fermezza, a rinunciare al rispetto umano (che significa “ognuno faccia quello che vuole”) perché abbiamo un tesoro da offrire, perché se oggi c’è qualcuno che dona la vita per il Signore vuol dire che questo messaggio è autentico ed è il contrario di chi la vita la dona, a suo giudizio, per uccidere altri. Dobbiamo avere il coraggio di dire che non si vuole imporre nulla ma che non è tutto uguale e non possiamo lasciare che parole che hanno una forza e un’intensità che ci riporta all’inizio della storia del Cristianesimo vengano utilizzate in maniera che svuotano il loro significato e lo rendono ambiguo. Il martirio è, oggi, realtà che colpisce uomini e donne, giovani e vecchi, bambini in ogni parte del mondo e noi dovremmo ogni giorno dire al Signore la nostra gratitudine per coloro che ci ricordano che la fede è un fatto serio e che scegliere di essere cristiani non può accontentarsi di una vita cristiana che sia un po’ addormentata. Cercare di essere testimoni ogni giorno del Signore là dove siamo chiamati a vivere renderà anche la Chiesa più bella, ricordandoci che la Chiesa innanzitutto per noi è questa realtà dove siamo e che nel momento in cui la santifichiamo con la nostra vita essa diventa benedizione anche per la Chiesa più lontana, in ogni parte del mondo, anche nella chiesa istituzione.

Preghiamo oggi per tutti i martiri della Chiesa e preghiamo per coloro che sono chiamati a custodire la libertà religiosa negli Stati di tutto il mondo, perché la considerino come fondamento dell’umano convivere, non come un accessorio o qualcosa alla quale si può rinunciare. Chiediamo al Signore che ci aiuti a non fare in modo che il sangue dei martiri sia sparso invano.

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