27 dicembre 2015 - Domenica nell'Ottava di Natale


La festa di Santo Stefano che abbiamo celebrato ieri ci ha ricordato in modo molto forte che la nostra fede, la nostra appartenenza al Signore è chiamata alla testimonianza. Così la Chiesa ci insegna che la gioia del Natale non è una gioia da vivere come una poesia, fatta di emozioni che ci scaldano il cuore quel giorno e poi tutto finisce, ma è una gioia che va annunciata, raccontata, condivisa attraverso lo stile della testimonianza.
La Chiesa guarda a Stefano Primo Martire come a un testimone esemplare, così come nelle comunità cristiane dei primi secoli, i martiri sono stati coloro che hanno dato coraggio ai credenti perché mostrarono con la loro vita e soprattutto con la loro morte, che si poteva vivere una vita seguendo il Vangelo. Stefano è colui che muore non solo per amore di Gesù ma come Gesù, perdonando coloro che lo stavano uccidendo, e tra coloro che ricevono questo perdono c’è anche Saulo che diventerà poi Paolo, l’Apostolo delle Genti. Quel martirio invece di essere chiusura definitiva nell’esperienza dei cristiani a Gerusalemme,  diventata la forza  che ha spinto molti a lasciare Gerusalemme per andare in ogni parte del Medio Oriente di allora e annunciare il Vangelo. La morte di Stefano ottiene il risultato contrario di quello che il re voleva, non chiudere la bocca ai seguaci di Cristo ma spalancare nuove vie di annuncio del Vangelo.
Questa testimonianza dei martiri ci interpella, ci chiede di rendere conto della nostra testimonianza, perché è una realtà concreta ancora oggi. In molte parti del mondo, -  abbiamo avuto notizia anche ieri -, coloro che credono nel Dio di Gesù Cristo pagano con la vita e in questo quotidiano massacro c’è una grande silenzio, così come il Papa ieri ha denunciato, com se fosse un fatto ormai assodato, come se fosse una realtà che non si può cambiare. Ogni giorno, in ogni parte del mondo, anche a nostra insaputa ci sono fratelli e sorelle nella fede che muoiono perché cristiani. Com’è diverso parlare di martirio quando c’è qualcuno che per la sua appartenenza muore nel nome di Gesù, e come quando accade che chiamiamo “martire” perché in nome di un dio è capace di uccidere e di uccidersi. Questa testimonianza forse a noi non sarà mai chiesta in questa forma, quella di donare appunto la vita.
Oggi è bello celebrare insieme questa domenica nell’Ottava del Natale guardando a un altro testimone, l’unico tra gli apostoli di Gesù che non ha dato la vita in modo violento ma che ha pagato seriamente ance lui il suo essere amico di Gesù, tanto che ad un certo punto venne esiliato, Giovanni, dalla sua terra e morì lontano dal luogo dov’era cresciuto e dove aveva incontrato il maestro. Giovanni è testimone, non solo perché il Vangelo che abbiamo ascoltato oggi si conclude così “Giovanni, colui che ha scritto questo ne da testimonianza e la sua testimonianza è vera”, egli è testimone perché, non solo nei suoi scritti ma in tutta la sua vita, ha cercato di essere un uomo del Vangelo. In fondo, la testimonianza è proprio questa: essere uomini e donne che appartengono Gesù e mostrano come il Vangelo sia possibile oggi, oggi come allora. E se i martiri ce lo dicono con forza noi come possiamo dare questa testimonianza?
Mi pare che Giovanni ci suggerisca una strada.
Abbiamo detto nella notte di Natale che Gesù è la luce del mondo, è colui che sconfigge le tenebre, è colui che dà senso alla storia nostra e del mondo intero. Giovanni, nella sua lettera che abbiamo ascoltato oggi, usa un’espressione che possiamo fare nostra e possiamo declinare nella nostra vita: camminare nella luce”. Mi sono domandato: quali sono le caratteristiche di un uomo che cammina nella luce?
Innanzitutto, credo che possa essere un uomo o una donna che cammina nella luce chi è umile. L’umiltà non è una caratteristica che uno si ritrova alla nascita, è una virtù, è un atteggiamento costante della volontà, dell’intelligenza, degli affetti in ordine al considerare, al credere che quel modo di vivere sia buono perché nasce dall’esperienza del Signore Gesù. L’umiltà non è di chi si tira sempre indietro, da parte, di chi pensa di non valere niente. L’umile è una persona straordinaria perché ha una coscienza così bella di sé che riesce a guardare con rispetto, con affetto anche agli altri, riconoscendo il bene che c’è in loro. L’umile è colui che sa di poter contribuire con le sue forze, com’è capace al bene di tutti e non si tira indietro. Un uomo umile sa che è terra, che è diverso da Dio e per questo non si esalta mai per quello che fa, non chiede mai un consenso, non vuole mai essere al centro dell’attenzione, sa che quello che fa è importante e ha valore unicamente perché è stato donato, nient’altro. Sa di essere diverso da Dio ma sa di essere Figlio di Dio e per questo non si aspetta che siano gli uomini a esaltarlo, a lodarlo, a ringraziarlo, si aspetta unicamente che Dio lo guardi sempre con quell’affetto, con quell’amore, con quella misericordia che è propria di ciascuno dei suoi figli. L’umile cammina nella luce.
Ma poi mi sono domandato quali altri tratti ci vengono dalla testimonianza di Giovanni. Lui parla costantemente nel suo Vangelo della verità: che cos’è la verità? In questo tempo in cui appare verità tutto ciò che è disponibile alla volontà di ciascuno, alla libertà di ciascuno dove pare che non sia possibile più parlare di una verità assoluta alla quale poter dedicare la propria vita… Chi cammina nella luce accoglie una Verità, che è quella del Dio di Gesù Cristo. Un uomo così è vero perché sceglie di essere sincero, come Gesù; paga con la vita il fatto di essere fedele fino alla fine al messaggio ricevuto dal Padre. Un uomo sincero è colui che mette in difficoltà perché è trasparente, perché non è doppio, perché il suo parlare corrisponde al suo pensare, perché non fa nulla e non dice nulla per ottenere qualcosa per se. Un uomo sincero è un uomo pericoloso ma quando lo incontriamo sentiamo di avere di fronte a noi qualcuno che ci ridice il motivo per cui decidere di esser giusti, di essere veri. Allora il tratto di cammina nella luce è la verità, che va molto d’accordo con un altro tratto: l’onestà. Noi invochiamo l’onestà da parte degli altri, a turno c’è sempre qualcuno che dovrebbe essere più onesto. Mi domando però qual è la testimonianza mia, di uomo cristiano. Non è solamente, credo, in ordine al pagare le tasse o al trattare bene i dipendenti o al costruire dei rapporti che non siano inquinati dalla ricerca di qualche vantaggio personale. L’uomo onesto sa che quello che gli è chiesto di fare è utile per il bene suo e di tutti, sa che il bene genera il bene, sa che una scelta buona genera bontà, ma sa anche che il male genera il male. Per questo sceglie di essere onesto anche se non ci guadagna subito. L’uomo onesto è uno che non vede immediatamente al ritorno di un’azione ma guarda lontano, ha uno sguardo di futuro perché sa di essere ancorato a questa terra ma sa che la sua parte non è questa terra ma il cielo. Non guadagna allora in maniera disonesta, non cerca di ottenere qualcosa che non è suo. È essenziale, sobrio. Sa accontentarsi, non nel senso negativo del termine; ha sempre un desiderio più grande ma non lo subordina alle cose da avere, da possedere. L’uomo onesto è un uomo che ci interpella perché ci parla di Gesù.
C’è un ultimo tratto che mi sembra importante e che Giovanni sottolinea. È necessario riconoscere i propri peccati. Mi sono domandato: perché? Perché crediamo in un Dio giudice, un Dio che ti vuole umiliare? Un Dio che ti guarda sempre dall’alto verso il basso? È necessario riconoscere che io ho bisogno di Dio, che non basto a me stesso, che non riuscirò mai a rispondere pienamente all’amore che ho ricevuto: è già così difficile per un figlio nei confronti di un padre, come possiamo pensarlo noi nei confronti di Dio? 
Riconoscere i propri peccati non per essere umiliati ma per essere perdonati, per fare un’esperienza così grande di accoglienza, di bontà, di benevolenza che Dio ogni volta che ti dà il Suo perdono ti ri-plasma, ti rifà nuovo, ti dà una possibilità nuova e questo indipendentemente dal suo peccato ma solo per la sua bontà.
Riconoscere il peccato come atto di umiltà, di verità, di onestà e fare un’esperienza di Dio che è così distante da quella che vorrebbe un Dio misuratore, calcolatore. Noi crediamo nel Dio di Gesù Cristo che si nasconde in un Bambino, che ci chiede di accoglierlo ma ci chiede anche la fierezza della testimonianza e abbiamo bisogno di un cristianesimo che sia camminare nella luce, che si fatto di uomini e donne che sono trasparenti, veri, onesti, umili. È quello che chiediamo in questa ottava del Natale per intercessione di San Giovanni Apostolo ed Evangelista, perché anche noi trovando di più il tempo di stare un po’ con il Signore, attraverso quell’immagine bellissima e dolcissima di Giovanni che appoggia il suo capo sul petto di Gesù, noi possiamo fare esperienza che oggi noi siamo chiamati a una testimonianza che, se anche non arriverà mai al dono del sangue, ci chiede una verità che ha le caratteristiche che Giovanni ci insegna oggi. Le chiediamo gli uni per gli altri, sapendo che nella misura in cui cresciamo in questo camminare nella luce, non solo ci avviciniamo al cuore di Dio ma con noi portiamo tutte le persone che amiamo.

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