25 dicembre 2015 - Santo Natale


«Il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto. Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto».
Ci sembra una parola un po’ dura in una notte di festa, di goia, una parola quasi inopportuna. Perché sottolineare quello che non è stato fatto? Perché andare a dire di quello che manca? Perché, in fondo, il Natale ci parla proprio di questo, di un’occasione che si rinnova, che si ridona, che si ripete e che spesso, però, noi non cogliamo nella sua grandezza. Non siamo più stupiti di un Dio che sceglie di farsi uomo. Abbiamo certo tanti modi per dire il Natale: lo abbiamo circondato di tanti significati e un po’ svuotato di quello più grande, per cui questa festa per molti non è più la festa di Gesù Bambino, non è più l’accoglienza del Mistero di Dio che sceglie di diventare uomo, ma è diventata un’altra festa, una che va bene per tutti poiché tutti si possono riconoscere nelle luci, nei canti, nei personaggi vari che si sostituisco a Gesù Bambino anche nel portare i doni.
Ma noi siamo qui questa sera per dire che il Natale è di Gesù Cristo, che lui è l’origine del mondo, che noi tutti qui presenti e tutto quello che ci riguarda ha principio in Lui e compimento in Lui, che Lui è la luce del mondo e nessuno può sostituirlo, nessuno può prendere il suo posto, nessuno può mantenere una promessa come lui la sa mantenere. 
Il nostro Dio non è un mago, non è uno che estrae dal cilindro dei numeri per affascinarci e prenderci dalla sua parte. Dio sceglie una strada feriale, quotidiana, quella di una donna che porta dentro di sé la vita e che per darla alla luce non può farlo che in un luogo che sicuramente non è degno di un uomo, come accade però anche oggi per tanti bambini in tutto il mondo. La storia di Gesù è la storia di Dio che vuole mostrarci che la via autentica della vita passa per la quotidianità, per la ferialità, per quello che caratterizza il nostro agire quotidiano. Ci chiede di accoglierlo, di fargli spazio, di non dirgli “qui non c’è posto per te”.
Viviamo questo Natale nell’Anno straordinario della Misericordia e l’immagine che ci viene consegnata con più forza in queste settimane è quella delle porte aperte, spalancate. Il Papa ne ha aperte alcune, quelle classiche tradizionali della grandi Basiliche, ma poi altre inedite come quella di una cattedrale in un paese della Repubblica Centroafricana oppure quella della Casa della Carità a Roma. In questi giorni ho ripensato al pellegrinaggio che è stato quello di visitare le famiglie di queste comunità che mi sono affidate, ho avuto già modo di scrivere alcune riflessioni su questo pellegrinaggi. Ho ripensato a quelle porte che si sono aperte solamente perché chiedevo di entrarvi. Ho nel cuore tante memorie e nel ripensarle e nel riportarle qui in questa Celebrazione Eucaristica questa sera, le condivido con voi perché ciascuno, tornando a casa e aprendo la porta della sua casa, in quel gesto veda anche il desiderio di spalancare la porta a Gesù Bambino, perché questa notte lui possa trovare casa nelle nostre abitazione e soprattutto nei nostri cuori.
Penso alle porte che si sono aperte e mi hanno permesso di incontrare i bambini: ho avuto un grande dono in questi due anni, quello di conoscere tanti bambini, iniziando dai piccoli della scuola e poi quelli che sono nati e che ho battezzato, i bambini che sono venuti all’Oratorio Estivo, i bambini che ho portato nella vacanza comunitaria, tanti bambini che spesso mi hanno aperto loro la porta perché, prima che conoscessi i loro genitori, loro mi avevano già incontrato e sapevano il mio nome e lo indicavano ai genitori raccontando di quello che con me avevano condiviso. I bambini mi parlano sempre di Dio, come fa Gesù Bambino, mi parlano di quella dolcezza, di quella tenerezza, di quell’essere indifesi, puri: condizioni fondamentali perché il cuore si apra a Dio. Anche i bambini più grandi, quelli che si affacciano alla vita dei Sacramenti ci parlano di Dio. Non li abbiamo ancora del tutto inquinati, hanno ancora uno sguardo di cielo, sono ancora capaci di stupore, desiderano capire e hanno bisogno di qualcuno che mostri loro che è bello essere cristiani e conoscere Gesù Cristo. I bambini ci parlano di Dio e le case che si aprono con dei bambini portano sempre allegria anche se talora la sofferenza, la fatica di saper educare, la difficoltà legata alla mancanza del lavoro, fa guardare ai piccoli come a un problema ma Dio ci regala i bambini per ricordarci che lui ama questa terra e ha voluto essere bambino perché imparassimo tutti ad avere coraggio a prendere in braccio i bambini e aiutarli a diventare grandi, così come Maria e Giuseppe hanno fatto con quel Bambino, certo Figlio di Dio, ma uomo davvero. 
Penso alle porte che si aprono nelle case dove ci sono degli anziani. Penso agli anziani soli, quelli che diventano un po’ bambini e si lamentano di passare un po’ di tempo da soli, magari a volte non è così ma, come un bambino piccolo appena gli viene tolta un po’ di attenzione si mette a piangere, così l’anziano a volte invece di piangere si mette a lamentarsi. Penso a quelle case dove ci sono persone che hanno trasformato le loro giornate legandole fortemente al servizio per le persone anziane. Ho visto non solo delle donne trasformare la loro vita al servizio dei loro sposi malati, ma ho incontrato con tenerezza anche uomini che per le loro spose sono disposte a trascorrere tanto tempo senza fare quello che vorrebbero fare, senza poter avere un po’ di tempo libero. Quelle porte che aprono a quelle case ci parlano di piccoli santuari dove l’amore coniugale realmente è via alla santità, ci parlano però anche della durezza della vita, di lacrime nascoste, di pazienza che spesso sembra andarsene via, di durezza e chiedono aiuto, chiedono che le nostre comunità non siano indifferenti, ci chiedono di ricordarci che spalancare le porte al Signore significa spalancare le porte anche ai nostri fratelli.
Penso poi alle porte che si aprono sulle famiglie giovani e su quelle che hanno tanti anni di vita insieme. A volte sulle famiglie giovani si fa tanta ironia “chissà se dureranno…” e si guarda con un po’ di sospetto o quasi di commiserazione, invece ci parlano di una novità e ci dicono che l’Amore è possibile, non è facile ma è possibile, che non è una strada semplice ma che è possibile. Così, mentre con stupore ho condiviso la gioia di percorsi lunghi - fino a 60 anni di matrimonio -, così condivido la gioia di chi inizia, di chi guarda al futuro con un po’ di trepidazione in un mondo un po’ diverso da quello che ha custodito per tanto tempo la famiglia e che adesso parla di tanti modi di vivere insieme che sembrano tutti uguali, ma sembrano solo tutti uguali. Il matrimonio che si fonda sulla benedizione di Dio non è migliore perché alcuni sono più bravi di altri, ma è meglio perché è con Dio e quando lui c’è realmente, quando la porta della propria casa è spalancata a lui può accadere che vengano tempeste, piogge violente, terremoti, ma la casa non cade perché è fondata sulla roccia.
Penso a quelle porte che si aprono su case visitate dal dolore della morte, questo tremendo giudizio sulla fragilità della nostra vita. La morte ci mette tutti in discussione perché anche se nella fede crediamo nella vita eterna, umanamente ci mancano i nostri cari. È un’assenza reale quella di chi non c’è più accanto, vicino, come non ascolta più, che non condivide più come siamo abituati a fare, come è quotidiano fare. Ci sono tra noi persone che vivono un Natale intristito dall’assenza di persone amate: invochiamo per questi nostri amici, per noi stessi, il dono della consolazione perché la fede nella vita eterna sia capace, giorno per giorno, di metterci nell’atteggiamento di chi sa amare la vita anche se segnata dalla morte, perché quel momento giunga per noi - come diciamo in quella preghiera che diciamo spesso alla Madonna “prega per noi adesso e nell’ora della nostra morte” - come passaggio alla vita eterna, perché per chi crede la vita non è tolta ma trasformata.
Penso alle porte che si aprono nelle case di chi ha perso il lavoro, di chi fa fatica a vivere. Siamo in una terra ancora benedetta, molti hanno il lavoro ma tanti però lo cercano, soprattutto i giovani; diciamo “non c’è lavoro, non c’è dignità”, è un problema serio questo che interpella ancora una volta la comunità dei credenti. Non è un problema di facile soluzione ma non si può rimandare solamente ai potenti, chiede a tutti noi la fantasia, la disponibilità, la creatività, l’onesta perché sappiamo regalare ai nostri giovani un futuro di speranza e non la prospettiva amara di chi dice “tanto non arriveremo mai alla pensione”.

Penso alle porte che si aprono sui quei ragazzi, quegli adolescenti, quei giovani che sono nel mondo ancora dello studio e guardano al futuro un po’ conigli occhi velati dalla tristezza dei grandi. Spesso noi parliamo male dei giovani, diciamo che non sono più come quelli di una volta, non hanno più voglia, non hanno più forza, non hanno più intensità, costanza, tenacia, fedeltà… ma a me, chiamato ad essere educatore, chiedo “ma quale volto di Dio rivelo? Quale volto di Chiesa rivelo? Quale desiderio ispiro con la mia testimonianza di adulto nella fede?”. Perché i nostri giovani non sentono che Gesù, quel Gesù che celebriamo questa sera risponde alle domande della loro vita? Perché lo mettono da parte spesso?
È l’inquietudine che mi spinge a pensare anche alle porte chiuse. Non ne ho trovate molte, ma quando mi sento dire “qui non c’è bisogno della benedizione” perché uno appartiene a un’altra esperienza religiosa, perché uno vive la sofferenza nei confronti di una chiesa che sente ostile, perché ha fatto un’esperienza negativa, perché è comodo, è moda così, perché in fondo non mi interessa perché non mi interessa domandarmi cosa centra Dio con la mia vita… queste porte chiuse, chiuse non a me ma a Dio, mi inquietano e mi chiedono di domandarmi come posso fare per fare intuire che la festa del Natale che questa sera celebriamo centra con tutta la vita, sempre, non solamente ogni tanto una volta all’anno.
È la festa di Gesù, Dio con noi, ed è anche la nostra festa perché dice Giovanni «a coloro che lo hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio». Figli di Dio: quante volte mi sono presentato dicendo “io sono Figlio di Dio”? Eppure questo è l’unico titolo che non mi sarà mai tolto, l’unica caratteristica che non scomparirà mai, neanche con la mia morte.
Voglio allora augurarvi di spalancare la porta del vostro cuore al Signore che viene, qualsiasi sia la porta della vostra casa che si apre al mistero della vita dei bambini, della fatica dell’essere anziani, della bellezza della vita nel matrimonio, della speranza dei giovani, della sofferenza del distacco della morte, della mancanza di prospettive o di ragioni per vivere. Qualsiasi sia la porta della vostra casa, spalancate le porte del vostro cuore e, prima di ogni altra cosa, chiedete anzi chiediamo perdono, poiché da lì si ricomincia, da lì si ricrea perché il dono autentico del Natale è perdono e pace. La possibilità di una vita nuova nasce dalla comunione con Gesù Cristo, perché l’esperienza più straordinaria della vita nella fede è quella di avere dalla nostra parte un Dio che non si stanca mai di cercarmi, tanto da scegliere di essere così fragile da essere un Bambino che può essere preso tra le braccia oppure rifiutato. Spalancate le porte del vostro cuore, al perdono ricevuto e al perdono donato: allora sarà un Buon Natale. Proviamo, ciascuno di noi, ad abbattere un muro, una barriera, a fare in modo che questo Natale non passi senza che abbiamo tentato di ricucire uno strappo, di ricreare un legame, di avere una parola di benedizione: saremo davvero buoni cristiani, assomiglieremo molto a quei pastori che scelsero di andare dal Signore per vedere un segno piccolo, insignificante eppure capace di trasformare la loro vita perché «a coloro che lo hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio». 

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