21 febbraio 2016 - II domenica di Quaresima


Noi crediamo perché abbiamo udito e sappiamo che Gesù è veramente il Salvatore del mondo: questo annuncio noi l’abbiamo ricevuto da altri. Altri ci hanno raccontato della loro esperienza di fede, della loro adesione al Vangelo, altri ci hanno permesso di conoscere il volto di Gesù e poi abbiamo iniziato noi a sceglierlo. Il fatto di essere qui oggi è il frutto, da parte di chi è più adulto nella fede, di scegliere, di spendere questo tempo perché sa che conoscere il Signore merita e chiede tanto tempo.
L’incontro con la donna samaritana sempre ci coinvolge perché Gesù mostra a questa donna come sia la via dell’accoglienza, del dialogo, del cercare insieme la Verità, la strada per ridare senso a una vita che, come quella di questa donna, è abbastanza complicata e triste. 
Questa donna esce a mezzogiorno a prendere l’acqua: una cosa assolutamente insolita in una terra come quella di Gesù dove le donne escono molto presto per recarsi al pozzo perché l’acqua serve tutto il giorno per lavare, per preparare il cibo. Uscire a mezzogiorno significa non incontrare nessuno. Questa donna non vuole incontrare nessuno perché probabilmente si vergogna del suo vissuto, magari è sulla bocca di tutti per il fatto di aver avuto cinque mariti, per il fatto di essere insieme a un uomo che non è suo marito. Incontra Gesù che come prima cosa le chiede aiuto. Per questa donna è una sorpresa, un po’ perché in quel tempo le donne erano trattate quasi come delle schiave, un po’ perché Gesù è un giudeo mentre lei è una donna samaritana. Da questa disponibilità di Gesù a chiedere aiuto nasce un dialogo che porta la donna a scoprire come quel viandante un po’ strano può essere un profeta, può essere il Cristo.
Quest’acqua che Gesù propone ci ricorda fortemente il nostro Battesimo, con l’essere immersi nello Spirito che ci ha donato una vita nuova, una dignità nuova e Gesù riveste di una dignità nuova quella donna. Per lui ella non è una peccatrice, una poco di buono, non è una straniera, non è nemica: è una persona che può accogliere il suo dono, che può rinnovare la sua esistenza, che può diventare addirittura capace di annunciare il dono di Dio. Così, quella donna lascia tutto e va in paese a dire “forse ho incontrato il Cristo perché mi ha detto quello che ho fatto e non mi ha messo in difficoltà, non mi ha messo da parte, non mi ha giudicato”.
Questa parola noi oggi la custodiamo nel cuore ed è rivolta a ciascuno di noi. Dovremmo riuscire a farla nostra e a domandarci: ma quale tempo dedichiamo all’ascolto della Parola? Se questa è così importante e decisiva, quale tempo riserviamo ad essa? Se il Deuteronomio dice «Porterete nel cuore e nell’anima queste mie parole; ve le legherete alla mano come un segno e le terrete come un pendaglio tra gli occhi» (cioè in ogni azione che farete la vedrete, tutto ciò che guarderete sarà filtrato e mediato da questa parola) Noi dove abbiamo messo questa Parola di Dio? In quale spazio, in quale tempo della nostra vita essa diventa per noi guida, luce? 
Questo essere rivestiti di una dignità nuova, che per chi è stato battezzato è la grazia visibile anche attraverso il gesto dell’essere rivestiti di una veste bianca ma che poi, per chi crede, è anche l’esperienza che si vive ogni volta che riceviamo il perdono sacramentale: l’essere rivestiti di una benevolenza che ti rifà nuovo, che ti rimette nella condizione di vivere una vita nuova. Per questo noi non dovremmo rimandare questo appuntamento o non dovremmo viverlo con distacco, saltuariamente, occasionalmente, ma come occasione per dire Signore, rivestimi del tuo perdono e della tua grazia, ridonami la coscienza di essere amato così come sono perché in questo modo deciderò - come dice san Paolo a Galati - «di vivere l’occasione che ho del bene». Noi abbiamo l’occasione, la possibilità di donare il bene, innanzitutto verso coloro che ci stanno vicino, verso i nostri fratelli. È la realtà più difficile rivestire di dignità nuova chi ci sta accanto ogni giorno perché sappiamo i difetti, sappiamo ciò che in quelle persone non ci piace, perché facciamo fatica a reinvestire fiducia quando questa è stata tradita. Ma questa occasione di fare bene è l’opera che rende la Misericordia che abbiamo ricevuto visibile e chiara. Permette - come ci ha detto il Papa in questa settimana di esercizi che abbiamo vissuto e che è stato richiamo costante - che la nostra vita può essere autentica e la nostra fede credibile quando la misericordia che io ho ricevuto la vivo nella quotidianità. 
Il primo gesto è allora quello di rivestire di benevolenza chi mi sta accanto. Vestire gli ignudi, che è l’opera che mettiamo al centro della nostra settimana, può avere certo la finalità di dare degli abiti da vestire ma prima di tutto proviamo a guardarci tutti con stima, con benevolenza. Iniziamo da coloro che sono fratelli nella fede, che partecipano all’Eucaristia, così il nostro sguardo si allargherà più facilmente su altri che non vedremo unicamente come delle minacce, come dei problemi ma se abbiamo imparato ad avere pazienza, bontà, benevolenza con chi mi sta accanto, questo esercizio mi renderà più disponibile. 
Deve esserci, però, una concretezza: come impegno comunitario vi invito a preparare quel gesto - che è straordinario perché è annuale - della raccolta degli indumenti usati che la Caritas propone nel mese di maggio. Il fatto di pensarlo per tempo, di scegliere per tempo i vestiti da regalare diventa un modo per dire che non penso solo a riempire un sacco svuotando l’armadio, ma penso a delle persone; non ho un nome, non ho un volto ma scelgo, non lo faccio casualmente e dono quello che non uso più. Lo faccio con il desiderio che chi poi concretamente avrà il compito di rendere visibile quel gesto sia aiutato da me che con amore e benevolenza ho compiuto quel gesto.

Chiediamo al Signore di aiutarci a scegliere di più e dimorare nella sua Parola. Chiediamo al Signore di rivestire le persone che ci stanno accanto della dignità che hanno: essere Figli di Dio e nella consapevolezza di essere perdonato, amato, fatto oggetto della misericordia, anch’io posso esserne testimone. Non rimandiamo il bene che possiamo fare perché abbiamo questa occasione, perché in essa si rivela la nostra autenticità e la nostra credibilità. proviamo a pensare anche a come poter rendere quel gesto, che si ripete annualmente, quest’anno carico di un affetto più grande, carico di un amore, di una volontà, di un desideri più grande: quello di rendere coloro che riceveranno il mio dono contenti, non solo perché “è bello quello che dono” ma perché nasce dalla mia volontà di amare.

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