28 febbraio 2016 - III domenica di Quaresima


«Ma tu, Gesù, chi credi di essere?». Com’è diverso il tono di questo dialogo da quello che abbiamo ascoltato la scorsa settimana, quando Gesù incontra una donna straniera, che ha una vita tormentata, una donna che non vale niente al cospetto degli uomini in quel momento storico in cui Gesù vive, ma attraverso quel dialogo la donna comprende che quello strano viandante non è solamente un profeta ma è il Messia. Invece questi giudei che avevano creduto in Gesù, che avevano già avuto la possibilità di ascoltare le sue parole, di vedere i segni di cui già era capace, si fermano ai pregiudizi, non hanno il coraggio di andare oltre, non sono disposti a una novità che sconvolga le loro convinzioni, i loro studi, le loro tradizioni, le loro usanze. Così Gesù rimane sempre di più ai margini del loro mondo fino a diventare per loro un indemoniato, un eretico, uno pericoloso, da fare fuori, da allontanare da se.
Questa parola è per noi: noi siamo quelli che hanno creduto in Gesù e la nostra partecipazione all’Eucaristia oggi ne è il segno. Può capitare anche a noi di non conoscerlo veramente questo Signore o di averne una conoscenza parziale, superficiale, oppure una conoscenza legata alle tradizioni, alle usanze, alle convinzioni che abbiamo raccolto; magari è un po’ di tempo che non spendiamo un po’ del nostro interesse, della nostra migliore intelligenza, dei nostri affetti, per conoscere un po’ di più Gesù.
«Chi credi di essere Gesù?». Ci domandiamo “chi è per noi Gesù oggi?”, all’inizio di questa terza settimana di Quaresima, tempo che non ci è dato per fare delle cose in più, per fare dei buoni propositi perché così si usa ma perché ci è chiesto di scegliere se vogliamo realmente essere suoi discepoli, se vogliamo veramente rispondere a queste sue domande: Perché non mi credete? Perché non ascoltate la mia Parola? Se veramente noi ascoltiamo Gesù e diventiamo suoi discepoli, la nostra vita cambia necessariamente. È necessario, per essere suoi discepoli, che la nostra vita si modelli sul Vangelo, che le nostre scelte, i nostri modi di pensare, di desiderare, di parlare, di guardare, siano motivati dal Vangelo e non dal buon senso, non dalla convenienza, non da quello che grida il più forte. Solamente così possiamo stare di fronte al nostro mondo avendo una parola buona da offrire, una parola che non è sempre accomodante, che può attirarci qualche parola di disprezzo, qualche incomprensione, ma sappiamo di essere liberi, liberi perché capaci di accogliere una parola che ci rende liberi. In fondo, desideriamo essere dei buoni discepoli, poi ci accorgiamo che le preoccupazioni di ogni giorni, le tante incombenze, i problemi, le occupazioni, il lavoro, le malattie ci impediscono di orientare la nostra vita verso il Signore. Invece, non è tanto questa la strada ma quella di dire tu vieni prima di tutto, Signore, ti metto prima di tutto e tu accompagni le mie occupazioni, il mio lavoro, i miei problemi. Non sei uno che arriva dopo, se c’è tempo, se mi ricordo, vieni prima e con me affronti ogni cosa. La Quaresima ci è data per questo: per decidere che Lui faccia parte della nostra vita sempre, non solamente in qualche occasione, non solamente in qualche tratto di strada ma ogni giorno. Vogliamo chiedere al Signore che questo sia l’atteggiamento che rinnova il nostro desiderio di vivere bene la Quaresima.
Sono passate due settimane, abbiamo avuto tante occasioni anche nella nostra Comunità: gli esercizi spirituali, le celebrazioni eucaristiche, gli incontri che si sono succeduti. L’impressione è che non c’è mai tempo, abbiamo sempre qualche priorità più importante del Signore. Ci domandiamo allora: “Ma chi sei per noi Signore? Chi pretendi di essere per la mia vita, oggi, Signore?”.
Il nostro cammino quaresimale si lega poi al tentativo di rendere più attuale il messaggio delle opere di misericordia corporale. Questa settimana al centro della nostra attenzione mettiamo alloggiare i pellegrini. Penso che possiamo attualizzare questa opera di misericordia in due modi: il primo è quello di non dimenticare quanto il Papa ha chiesto a tutte le comunità cristiane, le parrocchie, le comunità religiose di essere disponibili ad accogliere qualcuno dei fratelli che chiede aiuto fuggendo da situazioni di grande sofferenza. Il fatto che non sia stato ripetuto questo invito non significa che sia stato cancellato, è importante che umilmente ciascuno si domandi se non sia possibile aprire la propria casa all’accoglienza, come comunità cristiana, come singoli credenti. Senza andare molto lontano, anche se nelle nostre comunità non sono tantissimi gli stranieri presenti, ci sono situazioni di fatica dovute allo scarso lavoro, all’assenza di lavoro: alcuni proprio perché non riescono a onorare un affitto sono costretti a lasciare la casa, sono sfrattati. Ci domandiamo cosa possiamo fare per loro? Quale gesto di apertura del cuore? Come rendere visibile la misericordia? Penso poi a un altro modo di attualizzare questa opera: forestiero, estraneo, straniero alla nostra vita può essere anche chi abbiamo messo un po’ ai margini dei nostri affetti, coloro che abbiamo escluso dalla cerchia dei nostri interessi, qualcuno a cui abbiamo tolto il saluto, qualcuno che pensiamo che se esista o no è per noi la stessa cosa. Proviamo a pensare se non possiamo recuperare qualche rapporto, se non possiamo fare qualche passo per rendere meno estraneo, meno forestiero, meno esterno alla nostra vita qualcuno che ci è accanto. Così anche fare il primo passo verso qualcuno che vediamo ma che non abbiamo mai salutato, incontrato, conosciuto, magari qualcuno che è venuto da fuori ad abitare nei nostri paesi, nelle nostre comunità. Facciamo un po’ posto a coloro che stanno vicino a noi nella nostra casa. Se non possiamo all’interno delle nostre abitazioni, possiamo farlo all’interno di quella casa speciale che è il nostro cuore. Allora anche un piccolo gesto può diventare un modo concreto, visibile, di rendere la misericordia segno che dice che la nostra fede è credibile, che la nostra vita è autentica.

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