1 maggio 2016 - VI domenica di Pasqua
«Verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, non parlerà da se stesso, dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future». Il compimento del tempo pasquale è la celebrazione della festa di Pentecoste e noi, già fin d’ora da questa liturgia della parola, siamo invitati a invocare il dono dello Spirito, a chiedere con insistenza che questa realtà di Dio che ci abita diventi sempre di più a noi familiare. Noi tutti, fin dal giorno del nostro Battesimo, siamo abitati dallo Spirito che è Dio ed è per questo che noi possiamo scegliere la via alta del Vangelo e cercare di orientare tutta la nostra esistenza verso il Signore, che ci conduce al Padre per mezzo dello Spirito.
Il cammino non è semplice e lo sa bene Paolo che, nel momento in cui è chiamato a difendersi di fronte ai Giudei, pur parlando loro in ebraico, pur argomentando attraverso il racconto della sua storia tutto quello che gli è accaduto, il motivo per cui ha scelto di seguire la via che il Signore Gesù ha indicato, si trova a fare l’esperienza di essere rifiutato nel momento in cui dice a tutti che l’annuncio della presenza del Messia nella storia non è solo per i giudei ma per tutti, anche per i lontani. Paolo, ancora una volta, fa l’esperienza di vivere l’insuccesso della sua predicazione, a ricordarci come non è sufficiente che in campo ci sia il più grande tra i missionari, l’apostolo tra le genti, perché la possibilità di accogliere la Parola di Dio è legata alla disponibilità che ciascuno ha di lasciare che lo Spirito del Signore permetta di ricordare e di rivivere quello che il Signore Gesù ha detto e ha vissuto.
Noi sappiamo bene di essere qui a celebrare l’Eucaristia perché partecipiamo del sacerdozio di Cristo. Con Gesù non c’è più bisogno di offrire in olocausto le primizie degli armenti oppure le primizie dei campi, l’unico sacrificio è la stessa vita di Gesù: Lui dona se stesso e in ogni Eucaristia che celebriamo riviviamo proprio il dono totale di sé, senza trattenere nulla. Noi siamo inseriti in questo sacerdozio e possiamo celebrare oggi l’Eucaristia proprio perché parte di questo mistero di Comunione.
Questo celebrare ogni domenica l’Eucaristia è invito a seguire la via del Vangelo, una via che non è così facile da accogliere e comprendere. Lo sanno bene i discepoli di Gesù che nel momento più alto della comunione con il loro Maestro si trovano a non capire quello che dice, pur essendo di fronte al Mistero che sta giungendo nella vita di Gesù che lo porterà alla croce, questi suoi amici non capiscono, ancora non hanno ricevuto il dono dello Spirito che permetterà a loro di ricordare le parole di Gesù, di rivivere i suoi gesti, di diventarne testimoni fino a essere loro stesso capaci di fare della loro vita sacrificio e martirio.
L’immagine che Gesù usa è un’immagine forte: il passaggio dalla morte alla vita che lui sperimenterà è come il passaggio che avviene nel parto. Gesù muore realmente sulla croce e appare risorto con i segni della Passione nel suo corpo a dirci che la Passione non è una questione di poco valore, temporanea o che non lascia un segno, ma la gioia della Risurrezione rilegge tutto questo. Così avviene anche per il parto. La gioia di avere tra le braccia un bambino certo immediatamente ridimensiona il dolore ma non vuol dire che non ci sia stato, a dire che la vita, la bellezza della vita, passa attraverso comunque un momento di fatica, di dolore che fa in modo che quella nascita sia, con anche questo aspetto, una realtà forte, che ti rimane impressa, che ti accompagna nella memoria sempre.
Chiediamo al Signore che lo Spirito di Dio ci abiti, non solo perché è realmente già così ma perché noi ci affidiamo a Lui, chiediamo a Lui che ci sostenga in questo. Senza lo Spirito di Dio è impossibile fare nostre le proposte che sono legate a quelle opere di misericordia spirituale che stiamo leggendo in questo tempo pasquale.
Oggi arriviamo a una difficile: perdonare le offese. Sappiamo quanto ci pesa subire il male, quanto è faticoso accettare che ci sia qualcuno che ci faccia del male, perché esso ci impoverisce, toglie delle possibilità, lascia un segno nella nostra vita. Non significa che non si possa superare ma certo attraverso una strada di purificazione, di lavoro interiore, di arti. La prima cosa che è importante fare è certo avere degli amici con cui passare la vita e i suoi momenti belli ma avere anche qualcuno con cui condividere il dolore: l’amico non può capire fino in fondo, non può neanche a volte sollevarmi dal dolore, ma il condividerlo mi permette già di guardarlo con occhi diversi.
Ancora, è necessario imparare a perdonare noi stessi. A volte noi abbiamo così paura del perdono di Dio perché pensiamo che lui non possa perdonarci perché non noi riusciamo perdonarci. Non si tratta di giustificare gli errori che facciamo, ma sono quelle situazioni in cui ci troviamo quando ci rendiamo conto di aver aiutato male, di aver sbagliato, di aver fatto scelte che ci hanno portati lontano dal bene e non possiamo tornare indietro e riavvolgere il nastro della vita, dobbiamo accettare che sia così e in quel perdono fare esperienza di quello sguardo di perdono che Dio ha su di me sempre. Per Lui io non sono mai la somma dei miei peccati, per Lui io sono sempre figlio. Quando faccio esperienza di questo perdono, lì c’è lo Spirito e quando io inizio a lasciarmi abitare dal perdono di Dio, inizio a poter pensare e gradualmente realizzare il perdono nei confronti dei fratelli. Altrimenti mi sentirò sempre troppo giusto e gli altri saranno sempre troppo cattivi, oppure mi sentirò sempre troppo inadeguato e continuerò a rimandare. Fare esperienza del perdono è fare esperienza di Dio, sia nel riceverlo sia nel donarlo.
Oggi i 14enni vengono qui davanti al Signore e ricevono come segno la croce, che non è un portafortuna né un amuleto né un talismano ma è il segno che racchiude il fondamento della nostra fede. Noi crediamo in un Dio che è Padre, Figlio e Spirito Santo: così diciamo quando segniamo su di noi la croce. E poi diciamo che nella croce c’è la rivelazione dell’Amore sommo di Gesù fino al dono della vita. Ricevere la croce non vuol dire portare con sé una sorta di amuleto ma significa dire che pur nella fatica di comprendere questo mistero grande dell’amore di Dio, uno si mette in gioco e ci prova. È bello che insieme preghiamo per questi ragazzi perché la loro scelta ritrovi in noi più grandi delle figure autentiche di fede.
Infine, un pensiero a questa giornata: 1° maggio, festa del lavoro. In tanti paesi, anche nei nostri, ci sono state manifestazioni, comizi, proteste. Noi chiediamo che il lavoro ci sia per tutti perché tutti possano vivere una vita degna, dignitosa, perché tutti possano sperimentare la bellezza della vita attraverso anche la faticare proprio lavoro. Certamente, parlare di lavoro significa anche coinvolgere altri temi come l’onestà, la giustizia, il rispetto, la sicurezza. Così non possiamo dimenticare le persone che hanno perso la vita nello svolgere il proprio lavoro, ma poi anche ci è chiesto di considerare come la possibilità che per tutti ci sia un lavoro onesto passa anche dalla capacità di rifiutare ogni forma di corruzione e ogni forma di evasione, di quello che è giusto rendere perché tutti possano avere il necessario, sapendo bene che ogni volta che guadagniamo in modo ingiusto qualcun altro pagherà quella somma.
Chiediamo al Signore che ci aiuti a considerare il lavoro così come dall’origine è stato pensato: la possibilità di collaborare alla creazione, perché tutti noi possiamo con Dio rendere questo mondo migliore.
Chiediamo al Signore di poter essere protagonisti di questo progetto.
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