18 settembre 2016 - Messa della Festa dell'Oratorio

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La Parola di Dio di oggi ci ripete spesso una parola: “testimonianza”.
Mi domando e vi domando che cos’è un testimone? Chi è un testimone per noi?
Se io vedo una cosa che accade, capisco cosa sta accadendo e mi viene chiesto di dire qualcosa a riguardo, io sono testimone di quello che ho visto. In ambito poi giudiziario il testimone è una persona importante perché può sostenere un’accusa o una difesa.
La nostra lingua italiana usa per lo stesso vocabolo tanti significati. Se qualcuno di voi ha seguito le Olimpiadi saprà che c’è una gara dell’atletica leggera che si chiama “staffetta”: uno corre e tiene in mano un bastoncino che si chiama proprio testimone. Quando uno corre passa all’altro il testimone e quel passaggio deve essere fatto in un certo modo, in un arco di tempo, senza farlo cadere altrimenti si è squalificati. Ieri ho celebrato un matrimonio e c’erano i testimoni, che sono coloro che firmano il fatto che quello che abbiamo compiuto è vero, è accaduto. Sapete poi che la nostra lingua italiana è un po’ presa d’assalto dall’inglese e si sente parlare di testimonial, per cui personaggi che non c’entrano niente con quello che sono diventano testimonial di marchi o di vari sponsor…. uno, usando la propria “fama” diventa testimone di qualcosa d’altro.
Voi sapete qual è il significato cristiano della parola “testimone”? O cosa traduce nella nostra lingua una parola più antica che viene dal greco? Il testimone è il martire e il martire nella storia della Chiesa è molto importante. All’inizio del Cristianesimo, per tre secoli, la Chiesa ha vissuto una persecuzione quasi continua e noi ricordiamo Stefano come il primo martire, poi Giacomo, Pietro, Paolo, tutti i discepoli del Signore fino ai giorni nostri perché anche oggi, 18 settembre 2016, accade che qualcuno in nome di Gesù perda la vita, viene perseguitato e ucciso. Essere testimoni è una cosa importante.
Come facciamo a essere testimoni della nostra fede? Come facciamo a essere coloro che dicono che sono contenti di essere del Signore, che sono contenti di essere qui questa mattina, che sono contenti di aver vissuto un’estate intensa come abbiamo visto ieri sera nelle immagini che hanno ripercorso gli episodi e i momenti della nostra estate in Oratorio? 
La prima cosa che mi viene da dire è che un testimone è vero, è contento della propria fede se la racconta, se parla della propria fede. Se non ci capita mai di farlo uno si domanda “quanto ci interessa?” perché degli argomenti che ci interessano parliamo! Può così capitare che, tra gli adulti, si parli di politica, di sport, qualcuno si diletta a parlare degli altri, oppure si parla di cucina… ma della fede? Se questa realtà mi sta a cuore non posso tenerla per me. Il primo modo allora per essere testimone è parlare della propria esperienza di fede. Penso ai miei amici che hanno vissuto la Giornata Mondiale della Gioventù, un’esperienza della fede così intensa che non si può tenere per se: va raccontata. Ma poi anche tante esperienze che ciascuno di noi vive: il Pellegrinaggio a Fatima, un Pellegrinaggio che uno ha vissuto, una Celebrazione Eucaristica importante nella quale ha sentito vicino il Signore… lo racconti!
Testimoni della fede.
Un altro modo per vivere una testimonianza credo sia quello di sentire una maggiore appartenenza alla propria comunità. Ho come l’impressione sempre di più, l’ho già detto anche ad alcuni adulti e in consiglio pastorale, che stiamo un po’ privatizzando la fede per cui ci siamo solamente quando siamo protagonisti, quando dobbiamo fare qualcosa o quando centriamo noi. Ognuno va a quel momento che gli interessa, ma ci siamo dimenticati che quando un bambino viene battezzato entra a far parte della nostra comunità, quando due giovani decidono di sposarsi ricevono un sacramento che li rende fermento nuovo nella comunità, quando i nostri bambini ricevono la Prima Comunione o la Cresima è un dono per loro e per tutti noi, quando salutiamo qualcuno nel Signore rendiamo grazie a Dio per il dono della vita che quell’uomo, quella donna, ci hanno regalato attraverso la loro esistenza. Essere più partecipi allora, che non significa essere presenti a tutti i battesimi, a tutti i matrimoni però magari farli un po’ propri nella preghiera, nella memoria ed essere il più presenti possibile. Così anche dei momenti comunitari. Penso in particolare all’Oratorio. È vero che la nostra realtà è piccola, anche oggi vivremo una Festa dell’Oratorio che non è straordinaria, non ci saranno cose particolarmente esaltanti però l’Oratorio c’è sempre, ogni domenica e non solo d’estate. I momenti che vengono proposti vanno valorizzati, sono pochi, sono piccoli ma è la vita quotidiana… Come accade nelle nostre famiglie: non tutti i giorni la mamma prepara il nostro piatto preferito, ma tutti i giorni c’è il cibo, tutti i giorni c’è un vestito pulito, tutti giorni c’è casa. L’Oratorio è così: non può diventare come la stanza dell’albergo che trovo sempre in ordine quando mi serve. L’Oratorio è casa. Può essere un po’ in disordine, magari non funziona tutto, come a casa… Se lo facciamo diventare così l’Oratorio fa parte di noi, ci sentiamo appartenenti a questa realtà che attraverso la nostra presenza può diventare ancora più bella, senza delegare agli altri, senza pensare che debba fare sempre qualcun altro. Noi ne siamo protagonisti. Come quest’estate: sono i bambini che hanno riempito ogni giorno l’Oratorio. Allora siamo attesi, anche perché abbiamo un regalo: ieri sera abbiamo salutato Francesco, la settimana scorsa Samuele perché hanno compiuto con noi un cammino e adesso continuano la loro strada in altro modo. L’amicizia non viene meno però non possono più stare con noi. A loro spiace e anche a noi. Ma il Seminario ha pensato così: Samuele e Francesco hanno fatto una bella esperienza a Beregazzo con Figliaro e a Castelnuovo Bozzente e, anche se i seminaristi non sono tantissimi, mandiamo ancora due ragazzi in quelle comunità perché, come diceva ieri Francesco, noi se vogliamo siamo capaci di accoglienza, sappiamo accompagnare e sappiamo custodire. Oggi allora incontreremo Angelo e Flaviano che sono i nuovi seminaristi che vengono affidati a noi in questo tempo. Guardiamolo come un dono che riceviamo, non un qualcosa che fanno loro per noi. Come è bello in questa giornata del Seminario pregare per i nostri seminaristi, innanzitutto ringraziando per il dono che sono in mezzo a noi e soprattutto sappiamo bene che quando siamo lieti di essere credenti, appartenenti a una comunità, mettiamo nel cuore di tanti ragazzi il desiderio di spendere la propria vita per il Signore. Come si fa a donare la vita a Dio se davanti a me ho una schiera di adulti sempre tristi? Come faccio a pensare alla mia vita dono a una comunità se questa comunità non mi sostiene? Noi viviamo questa giornata del Seminario in modo speciale, ringraziando per i nostri amici ci hanno lasciato e continuano il cammino in altra via e per chi arriva.
Voi mi direte che non sempre è facile, che ci sono tanti problemi a casa (la salute, il lavoro, le preoccupazioni per i figli…) e si arriva a domenica, dopo una settimana di corse, in cui la voglia di venire in oratorio è poca. La vita, aggiungerete, è complicata e si fa fatica a scegliere sempre il bene. Lo so bene, perché questa è la fatica che facciamo tutti, la fanno anche i sacerdoti, però c’è una realtà che noi dobbiamo custodire che è il nostro cuore e che la convinzione che quello che abbiamo imparato su Gesù è vero e nella misura in cui cresciamo nell’amore per il Signore la nostra vita diventa sempre più simile alla sua e facciamo in modo che chi ci sta intorno non ci cambi ma siamo noi a provare a custodire noi stessi perché con la nostra testimonianza, a volte non capita a volte non accolta, possiamo scegliere il bene.
In fondo anche Giovanni non è stato capito. Gesù dice: «Egli era la lampada che arde e risplende e voi, solo per un momento, avete voluto rallegrarvi alla sua luce».


Concludo allora con un racconto:
C'era una volta un narratore. Viveva povero, ma senza preoccupazioni, felice di niente, con la testa sempre piena di sogni. Ma il mondo intorno gli pareva grigio, brutale, arido di cuore, malato d'anima. E ne soffriva.
Un mattino, mentre attraversava una piazza assolata, gli venne un'idea. "E se raccontassi loro delle storie? Potrei raccontare il sapore della bontà e dell'amore, li porterei sicuramente alla felicità". Salì su una panchina e cominciò a raccontare ad alta voce. Anziani, donne, bambini, si fermarono un attimo ad ascoltarlo, poi si voltarono e proseguirono per la loro strada.
Il narratore, ben sapendo che non si può cambiare il mondo in un giorno, non si scoraggiò. Il giorno dopo tornò nel medesimo luogo e di nuovo lanciò al vento le più commoventi parole del suo cuore. Nuovamente della gente si fermò, ma meno del giorno prima. Qualcuno rise di lui. Qualche altro lo trattò da pazzo. Ma lui continuò imperterrito a narrare.
Ostinato, tornò ogni giorno sulla piazza per parlare alla gente, offrire i suoi racconti d'amore e di meraviglie. Ma i curiosi si fecero rari, e ben presto si ritrovò a parlare solo alle nubi e alle ombre frettolose dei passanti che lo sfioravano appena. Ma non rinunciò.
Scoprì che non sapeva e non desiderava far altro che raccontare le sue storie, anche se non interessavano a nessuno. Cominciò a narrarle ad occhi chiusi, per il solo piacere di sentirle, senza preoccuparsi di essere ascoltato. La gente lo lasciò solo dietro le palpebre chiuse.
Passarono cosi degli anni. Una sera d'inverno, mentre raccontava una storia prodigiosa nel crepuscolo indifferente, sentì che qualcuno lo tirava per la manica. Apri gli occhi e vide un ragazzo. Il ragazzo gli fece una smorfia beffarda:
"Non vedi che nessuno ti ascolta, non ti ha mai ascoltato e non ti ascolterà mai? Perché diavolo vuoi perdere così il tuo tempo?".
"Amo i miei simili" rispose il narratore. "Per questo mi è venuto voglia di renderli felici". Il ragazzo ghignò: "Povero pazzo, lo sono diventati?".
"No" rispose il narratore, scuotendo la testa.
"Perché ti ostini allora?" domandò il ragazzo preso da una improvvisa compassione.
"Continuo a raccontare. E racconterò fino alla morte. Un tempo era per cambiare il mondo". Tacque, poi il suo sguardo si illuminò.
E disse ancora: "Oggi racconto perché il mondo non cambi me”.

A volte scegliere il bene non sembra essere la strada che ci fa guadagnare di più. A volte scegliere il bene è faticoso. A volte continuare a scegliere il bene è faticoso, ma non ci fidiamo di Colui che ha scelto il bene fino a dare la vita, perché è quello che celebriamo in questa messa, perché è quello che ci diciamo in ogni incontro, perché Gesù è la misura alta della nostra vita e se noi ci crediamo veramente possiamo essere testimoni qui, oggi, in questa realtà, della bellezza di essere cristiani. 

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