4 settembre 2016 - I domenica dopo il martirio di San Giovanni


Giovanni nella sua predicazione si era rivolto in modo particolare ai Giudei e, tra loro, ai sommi sacerdoti e agli scribi. Il teatro della sua predicazione era stato il fiume Giordano perché insieme alla parola forte ed esigente della conversione c’era anche il gesto della purificazione con l’acqua. Molti si domandavano se non fosse proprio Giovanni colui che Dio aveva mandato per ridare al suo popolo l’antico splendore nella memoria del grande momento storico che fu il regno di Davide e di Salomone.
Appena Giovanni viene arrestato, Gesù inizia la sua predicazione e sceglie come luogo la Galilea, una terra vista dai Giudei con un po’ di sospetto. Se nei confronti dei samaritani avevano un vero e proprio rifiuto in quanto li consideravano degli eretici perché nelle varie dominazioni subite avevano anche colto le proposte delle loro abitudini religiose e di tradizioni, per quanto riguarda la Galilea c’era uno sguardo di sopportazione ma non certo di stima tanto che, vi ricordate, quando viene presentato a Natanaele Gesù il Messia e si dice “viene da Nazareth” lui risponde “può mai venire qualcosa di buono da Nazareth?”. Galilea delle genti, una terra abitata anche da molti stranieri e pagani, una terra frequentata perché in quella regione passavano delle vie commerciali molti importanti (si poteva infatti arrivare in Siria, in Fenicia perché il mare di Galilea era un luogo importante per quando riguarda l’economia). Gesù sceglie proprio di iniziare la sua predicazione in questa terra e ci parla di un annuncio del Vangelo che è per tutti, è universale, cattolico. Non è solamente un annuncio aperto a tutti i popoli ma anche a ogni categoria di persone. Gesù si rivolge ai bambini, alle donne, agli stranieri, ai pubblicani, alle prostitute, ai lebbrosi. Questo annuncio ancora oggi è tale ma a noi dà un po’ fastidio perché pensiamo che il Vangelo sia per quelli bravi, per quelli che si comportano bene. Invece Gesù continua a dirci che l’invito alla conversione del cuore è per tutti. L’invito a vivere il Vangelo è per tutti.
È un invito per i bambini che al tempo di Gesù non valevano niente, erano d’impiccio: non lavoravano, non andavano a scuola, erano intralcio alla vita di tutti i giorni. Per questo quando i bambini erano intorno a Gesù i grandi li allontanavano. Ancora oggi i bambini, anche se li mettiamo al centro delle nostre attenzioni, sono coloro che subiscono tante violenze, di tutti i tipi in tutto il mondo.
Le donne. Al tempo di Gesù non valevano niente, erano importanti unicamente nella misura in cui sapevano dare dei figli e custodire la casa. Gesù invece si rivolge a loro, le valorizza. Anche oggi il Vangelo è per le donne e non basta istituire qualche giornata ogni tanto per ricordarci il valore della donna se poi ogni giorno i racconti ci parlano di una violenza che in ogni parte del mondo le colpisce.
Gesù poi si rivolge agli stranieri, non solo al popolo d’Israele e ancora vale per oggi questo annuncio anche se a noi dà un po’ fastidio perché gli stranieri hanno un altro modo di pensare, di vestire, di pregare Dio e ci danno fastidio perché vengono a “portarci via il nostro” ma il Vangelo è anche per loro.
Ci sono i pubblicani, che al tempo di Gesù erano collaboratori del popolo oppressore, riscuotevano le tasse e avevano anche licenza di fare qualche cresta ogni tanto, erano dei ladri. Noi facciamo fatica a pensare che il Vangelo sia anche per chi è disonesto, noi che spesso guardiamo con sospetto a chi ci governa, a chi è guida e sottolineiamo solamente solo quello che sbagliano. Non sappiamo vedere altro.
Il Vangelo poi è per le prostitute perché erano tali allora e oggi. Anche loro sono una categoria di persone che guardiamo con disprezzo, a volte con compassione e pena. Ma il Vangelo è anche per loro.
Il Vangelo è anche per i lebbrosi, che al tempo di Gesù vivevano fuori dalla città, in luoghi a parte perché non dovevano incontrare nessuno; la loro malattia era contagiosa. Agli inizi degli anni 90 abbiamo scoperto una malattia devastante, l’AIDS, e l’abbiamo chiamata “lebbra del XX secolo”. 
Il Vangelo è per tutti perché se non fosse così non varrebbe proprio la pena essere qui, oggi. Il Vangelo è annuncio di conversione di ogni cuore, perché Dio abita nel cuore di ogni uomo. La conversione è una scelta, coraggiosa e libera, che immediatamente non è fare delle cose, tanto che Gesù non ci dice cosa bisogna fare per essere ‘bravi’, ma che bisogna solamente rendersi conto che il Regno di Dio è vicino, che Io sono in mezzo a voi. Convertitevi.
Le parole di conclusione della prima lettura ci regalano una sorta di programma di vita: «nella conversione e nella calma sta la vostra salvezza, nell’abbandono confidente sta la vostra forza». Significa, innanzitutto, che io devo rendermi conto di essere amato da Dio e nella misura in cui questo amore di Dio entra nella mia vita sento l’urgenza di andare verso l’altro, altrimenti troverò sempre tantissime scuse, tantissimi motivi per dire “no”. Dobbiamo riscoprire che c’è una gratuità del Vangelo. Paolo dice «quando ancora eravate deboli, peccatori Dio, in Gesù Cristo, è morto. Voi, al più potete dare la vita per qualcuno che è buono». Dio ha scelto di amare chi non lo amava, come oggi sceglie di amare chi non lo ama. C’è una gratuità che ci sconvolge e nella misura in cui la accogliamo, la facciamo nostra, allora sentiamo l’esigenza di rispondere. Il fare non può che essere la conseguenza dell’aver accolto, altrimenti sono dei piccoli slanci di generosità, un po’ di compassione l’abbiamo tutti ma non è fedele nel tempo. Dio, invece, nella sua gratuità, nel dono della sua vita è fedele sempre.
Noi oggi vogliamo ringraziare il Signore per un dono così grande che è il Vangelo, che è lo strumento attraverso il quale noi possiamo vivere la vita in modo straordinario, che non significa fare cose che verranno raccontate sui libri di storia, alla televisione o nei giornali, ma di fare quello che ci ha insegnato una donna piccola, quasi insignificante. Questa donna che si è messa a raccogliere i moribondi di una grande città, lei che sapeva bene di non poter cambiare la storia del mondo ma che aveva chiaro che quello che poteva fare lei non poteva farlo nessun altro, che non era tanto importante quante cose fare ma quanto amore mettere in quello che si faceva, riconoscendo he ogni uomo è abitato da Cristo e ogni persona quando la incontro mi rivela il volto di Dio. Santa Teresa di Calcutta ci insegna che nella misura in cui io lascio che il mio cuore si dilati all’accoglienza del Vangelo, pur nella mia fragilità Dio compie opere grandi.
Per la nostra vita cosa significa tutto questo?
Che non possiamo pensare di amare il prossimo, lontano da noi, se non ci alleniamo ad amare chi è vicino a noi; che non possiamo pensare di poter andare incontro a chi immediatamente ci urta se non mi alleno ogni giorno ad accogliere chi non mi sta accanto; ancora di più, che la testimonianza del Vangelo è un’esigenza perché la mia vita sia riflesso della presenza di Dio nel mondo oggi; che oggi l’umanità ha bisogno di uomini cristiani autentici, che vivano l’annuncio del Vangelo come dono per tutti nella gratuità. In questo ci è maestra Santa Teresa. Non possiamo allora limitarci a cogliere gli slogan di alcune delle sue riflessioni o dei suoi pensieri. Il giorno di ieri è passato, da oggi iniziamo a vivere una vita che sia maggiormente autentica e cristiana. Ricordiamoci che nella conversione sta la nostra salvezza, nell’abbandono confidente sta la nostra forza

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