8 settembre 2016 - All'inizio di un nuovo anno pastorale
Questo tradizionale appuntamento che vede protagonisti i fedeli delle nostre comunità quest’anno è arricchito da tutti i temi che ci sono stati offerti intorno a questo anno straordinario della misericordia. Ciascuno di noi, in modi diversi, si è lasciato incontrare da questo messaggio.
Quando lo scorso anno annunciai la visita alle famiglie, vi proposi un testo nel quale tentavo di declinare cosa significava vivere nella quotidianità la misericordia. Credo che sia bene recuperarlo perché ormai, andando verso la conclusione di questo anno, vorremmo custodire nel cuore il percorso fatto, i passi compiuti, e vorremmo saper cogliere la bellezza e la bontà che sono ancora racchiusi nei prossimi giorni.
Erano tre indicazioni che mi sembrano molto semplici ma importanti e preziose, facili.
Innanzitutto, salutare tutti. Il saluto dice che io mi accorgo dell’altro, di chi incontro, di chi mi sta accanto. È il primo passo verso il dialogo, è il primo modo per superare la differenza. È fare un po’ di spazio a un altro. D’altra parte, però, è anche vivere il Vangelo. Se date il saluto solo ai vostri fratelli cosa fate di straordinario? Salutare diventa un modo concreto di vivere la misericordia. Un po’ come ci ha detto il Papa: quando dai l’elemosina parli con quello a cui offri il tuo aiuto? Perché più del valore di quel gesto sta il rendere una persona importante per la tua vita in quel momento.
Quando lo scorso anno annunciai la visita alle famiglie, vi proposi un testo nel quale tentavo di declinare cosa significava vivere nella quotidianità la misericordia. Credo che sia bene recuperarlo perché ormai, andando verso la conclusione di questo anno, vorremmo custodire nel cuore il percorso fatto, i passi compiuti, e vorremmo saper cogliere la bellezza e la bontà che sono ancora racchiusi nei prossimi giorni.
Erano tre indicazioni che mi sembrano molto semplici ma importanti e preziose, facili.
Innanzitutto, salutare tutti. Il saluto dice che io mi accorgo dell’altro, di chi incontro, di chi mi sta accanto. È il primo passo verso il dialogo, è il primo modo per superare la differenza. È fare un po’ di spazio a un altro. D’altra parte, però, è anche vivere il Vangelo. Se date il saluto solo ai vostri fratelli cosa fate di straordinario? Salutare diventa un modo concreto di vivere la misericordia. Un po’ come ci ha detto il Papa: quando dai l’elemosina parli con quello a cui offri il tuo aiuto? Perché più del valore di quel gesto sta il rendere una persona importante per la tua vita in quel momento.
Poi vi suggerivo l’interessarsi degli altri, di coloro che la Provvidenza mette sul nostro cammino. È vero, un tempo era più facile vivere delle relazioni dove persone che non erano nella stessa famiglia avevano interesse l’uno dell’altro. Così, i bambini avevano tanti riferimenti adulti, così i cortili erano luoghi di condivisione. Non dobbiamo rimpiangere solamente il passato. Perché non cercare di vivere oggi questo interesse? Non significa impicciarsi, diventare pettegoli delle questioni degli altri, ma esercitarsi in una carità fatta di finezza, di attenzione ai piccoli, costanti, che rendono l’altro importante per me.
Infine, l’ultima attenzione da avere era quella di benedire. Voi sapete che questa parola è bellissima, già nel suo significato essenziale “dire bene”, che è il contrario di “maledire”. Sarebbe già sufficiente parlare sempre bene, avere sempre una parola buona. Oltre a evitare le volgarità, il giudizio, la condanna, le illazioni, la menzogna che hanno come padre il diavolo. Benedire significa anche cogliere la bellezza che c’è nell’altro. Se non posso dire bene, sto in silenzio. Dio si interessa sempre di ciascuno di noi, non solo in questo anno della misericordia. Lui non è uno spione, un guardone, uno che aspetta che sbagli per dirti che non vali niente. Lui è appassionato di me, gli importa di me, si interessa di me. Lui continua a benedirmi, ha uno sguardo su di me sempre nuovo. Io non sono mai la somma dei miei errori, io sono la fiducia nel bene che posso compiere.
Credo che se riuscissimo a tenere nel cuore questi atteggiamenti anche dopo la conclusione di questo anno della misericordia, sicuramente potremmo ricordarci - riportare al cuore - come questa quotidianità del vivere l’amore del Signore sia davvero ciò che il Papa ci ha chiesto insistentemente in questi mesi di sperimentare.
È poi bene guardare al futuro di questo nostro anno pastorale. Non si tratta di dirvi per ogni mese cosa faremo ma solamente recuperare un’idea. Ci lasceremo ancora orientare dalla proposta diocesana, da quella intuizione che il nostro Arcivescovo questa mattina ha ribadito sull’educarci al pensiero di Cristo. Terremo ancora presente quei temi che hanno caratterizzato questi tre anni che abbiamo condiviso: la preghiera nella dimensione contemplativa della vita, l’Eucaristia perché Gesù vuole attirare tutti a sé, la Parola di Dio perché in Principio sta la Parola. Questo insegnamento, che ci è stato regalato in modo singolare dall’Arcivescovo Carlo Maria Martini, rimane per noi fondamentale. Vorremmo consolidare i cammini di questi anni, dare spazio al desiderio che quanto abbiamo compiuto, piccoli passi verso una comunione tra di noi all’interno delle dinamiche della Liturgia, della catechesi, della condivisione di momenti di festa, si consolidi. Non si tratta di fare cose nuove ma di accogliere l’invito che il Vicario Generale, Monsignor Delpini, ci ha fatto attraverso uno scritto (facilmente reperibile su Fiaccola o in internet). Parla di un “anno delle cose facili” dove questo facili non vuol dire banali o di poco conto. Quello che ci vuole dire, e quello che voglio fare mio in questo anno, è questo: la vita è già tanto difficile in qualche momento; i rapporti con le persone non sono sempre così lineari, a volte sono complicati anche all’interno delle nostre famiglie. Tribolazioni, impreviste, malattie ogni giorno fanno visita alle nostre vite. Non possiamo pensare che il Padre, che è misericordioso, voglia aggiungere su di noi dei pesi, delle incombenze che ostacolano il cammino della vita. È diffuso un pensiero che vede il cristianesimo come una realtà pesante. “Già le cose che si devono fare sono piuttosto impegnative, se vuoi essere un bravo cristiano e andare in paradiso devi metterti sulle spalle qualche altro dovere, qualche rinuncia e devi lasciar perdere i divertimenti, annoiarti un po’ più degli altri”: questa visione del cristianesimo non ci piace e soprattutto non è vera, non è il Vangelo. Sappiamo che il Vangelo ci è stato offerto come possibilità di cambiamento del cuore per essere felici. Non possiamo pensare un insieme di cose da fare, spesso noiose.
Cosa sono allora queste cose facili che possiamo fare?
Infine, l’ultima attenzione da avere era quella di benedire. Voi sapete che questa parola è bellissima, già nel suo significato essenziale “dire bene”, che è il contrario di “maledire”. Sarebbe già sufficiente parlare sempre bene, avere sempre una parola buona. Oltre a evitare le volgarità, il giudizio, la condanna, le illazioni, la menzogna che hanno come padre il diavolo. Benedire significa anche cogliere la bellezza che c’è nell’altro. Se non posso dire bene, sto in silenzio. Dio si interessa sempre di ciascuno di noi, non solo in questo anno della misericordia. Lui non è uno spione, un guardone, uno che aspetta che sbagli per dirti che non vali niente. Lui è appassionato di me, gli importa di me, si interessa di me. Lui continua a benedirmi, ha uno sguardo su di me sempre nuovo. Io non sono mai la somma dei miei errori, io sono la fiducia nel bene che posso compiere.
Credo che se riuscissimo a tenere nel cuore questi atteggiamenti anche dopo la conclusione di questo anno della misericordia, sicuramente potremmo ricordarci - riportare al cuore - come questa quotidianità del vivere l’amore del Signore sia davvero ciò che il Papa ci ha chiesto insistentemente in questi mesi di sperimentare.
È poi bene guardare al futuro di questo nostro anno pastorale. Non si tratta di dirvi per ogni mese cosa faremo ma solamente recuperare un’idea. Ci lasceremo ancora orientare dalla proposta diocesana, da quella intuizione che il nostro Arcivescovo questa mattina ha ribadito sull’educarci al pensiero di Cristo. Terremo ancora presente quei temi che hanno caratterizzato questi tre anni che abbiamo condiviso: la preghiera nella dimensione contemplativa della vita, l’Eucaristia perché Gesù vuole attirare tutti a sé, la Parola di Dio perché in Principio sta la Parola. Questo insegnamento, che ci è stato regalato in modo singolare dall’Arcivescovo Carlo Maria Martini, rimane per noi fondamentale. Vorremmo consolidare i cammini di questi anni, dare spazio al desiderio che quanto abbiamo compiuto, piccoli passi verso una comunione tra di noi all’interno delle dinamiche della Liturgia, della catechesi, della condivisione di momenti di festa, si consolidi. Non si tratta di fare cose nuove ma di accogliere l’invito che il Vicario Generale, Monsignor Delpini, ci ha fatto attraverso uno scritto (facilmente reperibile su Fiaccola o in internet). Parla di un “anno delle cose facili” dove questo facili non vuol dire banali o di poco conto. Quello che ci vuole dire, e quello che voglio fare mio in questo anno, è questo: la vita è già tanto difficile in qualche momento; i rapporti con le persone non sono sempre così lineari, a volte sono complicati anche all’interno delle nostre famiglie. Tribolazioni, impreviste, malattie ogni giorno fanno visita alle nostre vite. Non possiamo pensare che il Padre, che è misericordioso, voglia aggiungere su di noi dei pesi, delle incombenze che ostacolano il cammino della vita. È diffuso un pensiero che vede il cristianesimo come una realtà pesante. “Già le cose che si devono fare sono piuttosto impegnative, se vuoi essere un bravo cristiano e andare in paradiso devi metterti sulle spalle qualche altro dovere, qualche rinuncia e devi lasciar perdere i divertimenti, annoiarti un po’ più degli altri”: questa visione del cristianesimo non ci piace e soprattutto non è vera, non è il Vangelo. Sappiamo che il Vangelo ci è stato offerto come possibilità di cambiamento del cuore per essere felici. Non possiamo pensare un insieme di cose da fare, spesso noiose.
Cosa sono allora queste cose facili che possiamo fare?
Raccogliamo l’invito del nostro Vicario che ci dice innanzitutto possiamo ricevere. La grazia di Dio si riceve, si accoglie, non si merita. Noi abbiamo ricevuto un dono straordinario, in vasi di creta certo, e non troppo distante da noi perché non lo possiamo raggiungere ma è vicino a noi. Qual è il momento più importante dove noi riceviamo la grazia di Dio e che dobbiamo custodire? La Messa della domenica. È il luogo dove dobbiamo incontrarci tutti, dove non possiamo rimandare, dove non possiamo dire “non è importante, c’è altro da fare”. La Messa della domenica è il momento che dobbiamo desiderare tutti di preparare bene. Così in questo anno vorremo continuare a mettere al centro della nostra attenzione la buona celebrazione, dovremmo continuare quel cammino che sembra una missione impossibile di cercare di dare qualità maggiore al canto nelle nostre comunità; dovremmo avere attenzione alla proclamazione della Parola di Dio e alla cura dei ministranti, dei chierichetti, perché le nostre celebrazioni siano luoghi dove noi per primi siamo lieti e chi viene a celebrare con noi rimanga attratto perché il nostro ben celebrare diventa il nostro modo di educare il cuore alla presenza di Dio e il nostro annunciare agli altri che è bello trovarci insieme per vivere l’Eucaristia. Possiamo dire così: se ciascuno di noi oggi decidesse di preparare la Messa della domenica personalmente, in famiglia, in un piccolo gruppo, tutta la nostra Comunità ne avrebbe un giovamento straordinario. L’esempio immediato mi viene dall’esperienza che abbiamo fatto anche quest’anno: con alcune famiglie siamo andati in montagna, un’esperienza che si rinnova per il terzo anno e ogni anno cambiano molte famiglie, per tanti motivi. Ciò che è stupendo è che si crea un’armonia che non può essere legata solo alla buona volontà. Noi ogni giorno celebriamo l’Eucaristia. Io credo fortemente che quando un uomo, una donna vivono la Messa come luogo dell’incontro con il Signore non possono non sentire l’urgenza di aprire il loro cuore a chi gli sta accanto, chiunque esso sia.
Una cosa facile che possiamo fare o possiamo fare di più, e che riprende quello che dicevamo prima del salutare, è quella del sorridere di più. La gioia è un dono di Dio, è un dono dello Spirito e dobbiamo aiutarci a sorridere non solo perché fa bene alla salute - dicono alcuni studiosi - ma perché incontrare una persona contenta ci fa bene. Non significa vivere fuori dal mondo, non pensare a tutti i problemi che ci sono nella nostra epoca, nel nostro tempo, non significa chiudere gli occhi davanti agli orrori che creiamo noi uomini ma significa affrontare la vita sapendo che comunque Dio benedice la mia esistenza. Dobbiamo aiutarci di più tutti a vivere meno tristi, a esser più lieti di quello che abbiamo, di quello che siamo, di quello che possiamo fare. Dovete allora aiutare anche il parroco a essere più sorridente, anche quando si sente un po’ affaticato da critiche, lamentele, giudizi… perché solamente così, attraverso questa cosa quotidiana, possiamo camminare insieme.
C’è poi un invito che il Papa ci continua a fare ad essere persone essenziali, a saper condividere di più. Chi ha fatto un’esperienza di comunità sa come è prezioso condividere innanzitutto il più grande dei doni che abbiamo che è il tempo, poi le nostre cose senza paura che vengano rovinate, che non ritornino più. Abbiamo tutti troppe cose e a volte siamo così preoccupati delle troppe cose che abbiamo che la serenità viene meno. Continuano a dirci che dobbiamo cumulare, prevenire ma così ci dimentichiamo delle persone. Essere uomini poveri non significa essere dei miserabili ma essere persone che sanno prestare, che sanno usare bene, che non devono rincorrere sempre ogni cosa per poter sentirsi felici.
Dobbiamo poi parlare di più tra noi delle cose importanti. Dobbiamo raccontarci le esperienze belle che facciamo. Non dobbiamo avere paura di parlare almeno tra di noi cristiani del nascere, del morire, del cosa significhi vivere, di quale sia il senso dell’esistenza perché altrimenti cosa raccontiamo ai nostri ragazzi, ai nostri giovani? Che desiderio mettiamo nel cuore della loro vita? Quali sogni della loro esistenza? Avere il coraggio di parlare di più di ciò che è importante.
In questo anno continueremo a fare ciò che abbiamo fatto anche negli anni scorsi. La catechesi, avendo l’attenzione per tutti: bambini, ragazzi, giovani, adulti, anziani. Cercheremo di custodire alcune piccole tradizioni come il salire a questo monte una volta al mese. Vorremmo imparare a valorizzare quei momenti che ci vengono offerti all’interno delle nostre comunità, nel nostro decanato, nella nostra diocesi. Non si tratta di moltiplicare gli appuntamenti quanto di dare valore a quello che viviamo. Alcune giornate saranno caratterizzate, come il giovedì che diventerà un giorno eucaristico di adorazione eucaristica, di ascolto della Parola, di preghiera per le vocazioni. In tutto questo c’è sempre quell’aspetto che ritorna nel mio modo di propormi e di comunicarmi: l’invito a fare più comunione. Non si tratta di rinunciare all’appartenenza, di dimenticare di essere di questa o di quella parrocchia, ma imparare a conoscere di più l’altro, ad avere più l’umiltà di fare spazio agli altri. Scoprirò che è bello andare a celebrare anche in quella Chiesa, partecipare anche a quella festa, vivere quel momento anche se non è la mia parrocchia, perché il Signore è lì sempre e ci attende. Non si tratta davvero di dimenticare da dove veniamo ma di sapere dove vogliamo arrivare. In questo ci aiuta Maria, lei che ha accolto il Mistero più grande di lei ed è diventata la casa del suo Signore, straordinario messaggio quello di questo Dio che si fa così umile da diventare piccolo nel grembo della sua creatura. In questo ci aiutano personaggi come Giuseppe, uomini giusti che non usano l’impeto, la reazione emotiva, ma pensano, pregano, ascoltano e si lasciano stupire. Come sarebbe bello che noi concludessimo questo anno della misericordia con il desiderio di fare più spazio agli altri, di interessarci del loro bene e di avere sempre una parola buona su di loro. Come sarebbe bello che le nostre eucaristie domenicali diventassero una festa dove il sorriso diventa il linguaggio fondamentale, dove la condivisione di quello che abbiamo un’urgenza, dove parlare delle cose importanti una necessità. Allora - sono certo - tutti noi potremmo fare esperienza di Dio lì, dove siamo, nelle nostre piccole parrocchie ricordandoci bene che Dio continua a benedire e a fare visita al suo popolo. E poi non è vero che siamo così importanti: oggi il Vicario Generale ci ha anche citato davanti a tutti, al termine della Santa Messa, ha citato il nostro Bozzente!
Chiediamo al Signore che questo anno sia benedetto dalla sua misericordia ma anche dal nostro desiderio di accoglierlo e di vivere cercando di essere sempre di più secondo il suo cuore.
Una cosa facile che possiamo fare o possiamo fare di più, e che riprende quello che dicevamo prima del salutare, è quella del sorridere di più. La gioia è un dono di Dio, è un dono dello Spirito e dobbiamo aiutarci a sorridere non solo perché fa bene alla salute - dicono alcuni studiosi - ma perché incontrare una persona contenta ci fa bene. Non significa vivere fuori dal mondo, non pensare a tutti i problemi che ci sono nella nostra epoca, nel nostro tempo, non significa chiudere gli occhi davanti agli orrori che creiamo noi uomini ma significa affrontare la vita sapendo che comunque Dio benedice la mia esistenza. Dobbiamo aiutarci di più tutti a vivere meno tristi, a esser più lieti di quello che abbiamo, di quello che siamo, di quello che possiamo fare. Dovete allora aiutare anche il parroco a essere più sorridente, anche quando si sente un po’ affaticato da critiche, lamentele, giudizi… perché solamente così, attraverso questa cosa quotidiana, possiamo camminare insieme.
C’è poi un invito che il Papa ci continua a fare ad essere persone essenziali, a saper condividere di più. Chi ha fatto un’esperienza di comunità sa come è prezioso condividere innanzitutto il più grande dei doni che abbiamo che è il tempo, poi le nostre cose senza paura che vengano rovinate, che non ritornino più. Abbiamo tutti troppe cose e a volte siamo così preoccupati delle troppe cose che abbiamo che la serenità viene meno. Continuano a dirci che dobbiamo cumulare, prevenire ma così ci dimentichiamo delle persone. Essere uomini poveri non significa essere dei miserabili ma essere persone che sanno prestare, che sanno usare bene, che non devono rincorrere sempre ogni cosa per poter sentirsi felici.
Dobbiamo poi parlare di più tra noi delle cose importanti. Dobbiamo raccontarci le esperienze belle che facciamo. Non dobbiamo avere paura di parlare almeno tra di noi cristiani del nascere, del morire, del cosa significhi vivere, di quale sia il senso dell’esistenza perché altrimenti cosa raccontiamo ai nostri ragazzi, ai nostri giovani? Che desiderio mettiamo nel cuore della loro vita? Quali sogni della loro esistenza? Avere il coraggio di parlare di più di ciò che è importante.
In questo anno continueremo a fare ciò che abbiamo fatto anche negli anni scorsi. La catechesi, avendo l’attenzione per tutti: bambini, ragazzi, giovani, adulti, anziani. Cercheremo di custodire alcune piccole tradizioni come il salire a questo monte una volta al mese. Vorremmo imparare a valorizzare quei momenti che ci vengono offerti all’interno delle nostre comunità, nel nostro decanato, nella nostra diocesi. Non si tratta di moltiplicare gli appuntamenti quanto di dare valore a quello che viviamo. Alcune giornate saranno caratterizzate, come il giovedì che diventerà un giorno eucaristico di adorazione eucaristica, di ascolto della Parola, di preghiera per le vocazioni. In tutto questo c’è sempre quell’aspetto che ritorna nel mio modo di propormi e di comunicarmi: l’invito a fare più comunione. Non si tratta di rinunciare all’appartenenza, di dimenticare di essere di questa o di quella parrocchia, ma imparare a conoscere di più l’altro, ad avere più l’umiltà di fare spazio agli altri. Scoprirò che è bello andare a celebrare anche in quella Chiesa, partecipare anche a quella festa, vivere quel momento anche se non è la mia parrocchia, perché il Signore è lì sempre e ci attende. Non si tratta davvero di dimenticare da dove veniamo ma di sapere dove vogliamo arrivare. In questo ci aiuta Maria, lei che ha accolto il Mistero più grande di lei ed è diventata la casa del suo Signore, straordinario messaggio quello di questo Dio che si fa così umile da diventare piccolo nel grembo della sua creatura. In questo ci aiutano personaggi come Giuseppe, uomini giusti che non usano l’impeto, la reazione emotiva, ma pensano, pregano, ascoltano e si lasciano stupire. Come sarebbe bello che noi concludessimo questo anno della misericordia con il desiderio di fare più spazio agli altri, di interessarci del loro bene e di avere sempre una parola buona su di loro. Come sarebbe bello che le nostre eucaristie domenicali diventassero una festa dove il sorriso diventa il linguaggio fondamentale, dove la condivisione di quello che abbiamo un’urgenza, dove parlare delle cose importanti una necessità. Allora - sono certo - tutti noi potremmo fare esperienza di Dio lì, dove siamo, nelle nostre piccole parrocchie ricordandoci bene che Dio continua a benedire e a fare visita al suo popolo. E poi non è vero che siamo così importanti: oggi il Vicario Generale ci ha anche citato davanti a tutti, al termine della Santa Messa, ha citato il nostro Bozzente!
Chiediamo al Signore che questo anno sia benedetto dalla sua misericordia ma anche dal nostro desiderio di accoglierlo e di vivere cercando di essere sempre di più secondo il suo cuore.
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