6 novembre 2016 - Nostro Signore Gesù Cristo Re dell'Universo



Per noi è un po’ difficile immaginarci Gesù come un re. Un po’ perché non abbiamo mai fatto esperienza diretta della regalità di qualcuno se non attraverso la storia e attraverso quello che ci raccontano in questo tempo giornali, televisione, riviste dove spesso però coloro che regnano vengono interpellati per curiosità legate al loro modo di vivere, di fare e non tanto per grandi meriti.
Capiamo subito che questo titolo di re non ha niente a che fare con quella regalità che nella storia gli uomini hanno scelto e difeso a volte con violenza. Gesù esprime la sua regalità attraverso l’amore - così abbiamo detto nell’introduzione alla Messa “il trono di Gesù è la sua croce -. C’è una tavola, quello del legno della croce, che richiama la tavola della mensa eucaristica, come a dire che non c’è differenza tra la Croce e l’Eucaristia, che è l’amore di Gesù il suo titolo regale. Comprendiamo bene allora che la prospettiva cambia e quando diciamo che Gesù è il Re dell’Universo e della Storia, diciamo che è anche il  nostro Re e ci invita a vivere come lui.

Vogliamo tenere nel cuore alcune domande oggi, alla fine di un anno liturgico, iniziato lo scorso avvento, che si conclude per aprirci a un nuovo anno.
Io credo veramente che Gesù è il Crocifisso risorto? Io credo veramente che questa verità è fondamento della mia fede? Questo annuncio “Gesù il Crocifisso è risorto” è l’annuncio che fa differenze con qualsiasi altra esperienza di fede, prima di Cristo e dopo Cristo. Paolo dice che Gesù ha vinto la morte. La prima domanda che teniamo nel cuore, e che ciascuno troverà il modo per rispondere, è proprio questa: Io credo che Gesù Cristo è il Risorto e che in Lui c’è la vita per sempre?
La seconda domanda è questa: Se io credo che sia così - e per questo sono qui oggi - voglio vivere come lui? Il Vangelo di oggi, che conosciamo bene perché è il fondamento delle ‘opere di misericordia corporale’ che in questo anno della misericordia sono state ricordate tante volte sia dal Santo Padre sia da tanti sacerdoti in tante situazioni - fa nascere nel cuore questa domanda. La cosa interessante è che quando il Re dice «voi vi siete presi cura di me in tutte queste situazioni, affamato, assetato, nudo, straniero, malato, carcerato…», gli altri dicono «ma quando?». Quando uno sceglie veramente di essere discepolo di Gesù, di conseguenza vive la carità: non è un precetto, non è un obbligo, è la condizione attraverso la quale dice la sua scelta. Questa allora è la domanda che abbiamo nel cuore: Ma io voglio vivere come Gesù? Voglio cercare di fare della mia vita la manifestazione reale del suo amore per gli uomini?
La terza domanda che teniamo nel cuore riguarda il fatto che siamo alla fine di anno liturgico. Ogni anno che si apre - l’anno scolastico, l’anno pastorale, l’anno calcistico - ha un fine. Lo scopo dell’anno liturgico qual è? Esso ci è dato perché noi, nell’arco dell’anno, viviamo e riviviamo la storia di Gesù. Viene raccontata nuovamente ed è sempre nuova perché noi cambiamo; se pensate bene, dallo scorso anno a oggi abbiamo vissuto tante esperienze: alcune molto belle che teniamo nel cuore con gioia, altre molto faticose. Alcune ci hanno confermato nella fede, altre ci hanno messo in difficoltà. Noi cambiamo durante il tempo - non solo perché invecchiamo - perché la storia ci cambia; possiamo subire la storia o viverla. Il tempo dell’anno liturgico ci è dato per comprendere di più la storia di Gesù e farla diventare la nostra vita. Quali tratti del Volto di Dio si sono impressi di più nel mio cuore? Quali sentimenti di Gesù Cristo mi trovo a vivere oggi con maggiore intensità che un anno fa?
Viviamo oggi poi questo rito del mandato: alcune persone ricevono questo mandato del sacerdote, del parroco - rappresentante del Vescovo - perché si prendano cura in modo particolare dei più piccoli nella ComUnità. A volte succede che si guardi a coloro che prendono questo servizio con un po’ di sospetto; noi invece oggi viviamo in maniera pubblica questo gesto per invitare tutti a coltivare una grande stima, perché senza di questa non si può costruire nulla. C’è una stima di partenza del fatto che qualcuno dedicherà tanto tempo. Già questo è moltissimo, anche perché è gratuito. C’è poi chi investirà del tempo per formarsi, per imparare, dedicando altro tempo assolutamente gratuito. Allora, è sempre atteggiamento non solo prudente, ma di carità, guardare all’impegno degli altri non misurandolo sulle proprie forze, su quello che uno sarebbe capace di fare, su quello che uno pensa di essere capace di fare ma è sempre atto di carità dare fiducia, sostenere con la preghiera e dare stima. Uno potrebbe dire “io vorrei farlo ma non posso” a motivo dell’impegno della famiglia, del lavoro… e sono tanti tra voi quelli che sono in questa situazione. Noi dobbiamo essere grati perché qualcuno nella nostra ComUnità compie questo servizio. È una stima che vi chiedo di avere previa, come dice sempre l’Arcivescovo: precedente quello che uno fa, perché motiva, aiuta e sostiene. Questo gesto ci accompagni in questo inizio del cammino della catechesi per tanti dei nostri ragazzi. Solamente la stima reciproca ci fa crescere in comunione e ci fa vedere nei gesti che compiano nelle nostre comunità segni reali di quel Regno che viene, che si compie, con tutti i limiti, le fatiche, le lentezze che abbiamo noi.
Teniamo nel cuore queste domande: Credo che Gesù è il Risorto? Voglio vivere come Lui la carità? Quali segni del Suo Amore posso ritrovare in me alla fine di questo anno liturgico? Così domenica saremo pronti a partire per un nuovo anno ricchi delle esperienze che abbiamo condiviso, ricchi di una stima reciproca che cresce sempre quando ci troviamo ad ascoltare insieme la Parola e ad accogliere quel pane di vita che sostiene il cammino della fede. 

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