7 maggio 2017 - IV di Pasqua
Chi si è lasciato attrarre dalla voce di Dio e si è messo alla sequela di Gesù scopre ben presto, dentro di sé, l’insopprimibile desiderio di portare la Buona Notizia ai fratelli: con queste parole Papa Francesco introduce il suo messaggio per la 54a giornata mondiale di preghiera per le vocazioni che celebriamo proprio oggi.
Questa giornata è stata voluta da Paolo VI che intuiva come in un tempo in cui stava diventando sempre più dominante l’esperienza di solitudine e di individualismo - cioè che ciascuno pensi a se stesso -, fosse necessario invocare maggiormente la misericordia di Dio e la sua Provvidenza perché ispirasse nel cuore di molti giovani il desiderio di consacrare tutta la propria vita al Signore e alla Chiesa. Erano tempi in cui ancora numerosi erano coloro che diventavano presbiteri anche nella Chiesa Italiana, ma Paolo VI - lui che era un profeta del tempo - guardava lontano e vedeva già questa realtà che noi viviamo dettata da un sempre maggiore individualismo e anche da una sorta di egoismo - “la vita è mia, perché spenderla per gli altri?”, “ho solamente questa di vita, perché dedicarla solamente agli altri?”-.
La parola che ha accompagnato il cammino vocazionale di questi mesi nella Chiesa italiana è «Alzati, va’ e non temere». Questa parola che viene dalla Scrittura ci aiuta a fare memoria di molte storie di vocazione, in cui il Signore invita i chiamati a uscire da sé, a dimenticare se stessi e a seguirlo per essere dono per gli altri. A ciascuno affida una missione che accompagna con una benedizione «non temere, io sono con te». La storia della salvezza davvero ci racconta di tanti uomini che, pur consapevoli delle propria fragilità, si mettono al servizio del Signore e compiono grandi opere perché è Dio che, attraverso di loro, compie le sue azioni. Non solo la storia della salvezza ci consegna questo, ma in questi 2000 anni di storia sono tante le testimonianze di uomini e donne che hanno vissuto così. Alcune sono note, ma la maggior parte sono sconosciute.
«Non temere, io sono con te»: è una benedizione di Dio che diventa incoraggiamento costante, quotidiano e appassionato per poter andare oltre le paure che chiudono in se stessi e che tendono a paralizzare i desideri più grandi.
Il Papa poi ci dice già nella Evangelii Gaudium «Io sono una missione su questa terra e per questo mi trovo in questo modo. Bisogna conoscere se stessi come marcati a fuoco da tale missione di illuminare, benedire, vivificare, sollevare, guarire, liberare». Non tanto “io ho una missione” ma “io sono una missione”, un cambiamento di termini non da poco. Quando io ho qualcosa vuol dire che la possiedo, che è mia. Quando io dico, invece, di essere una realtà allora questa mi apre ad altri orizzonti e mi chiede unicamente di essere sempre attento a scoprire in quale modo posso corrispondere nella situazione che vivo, nella realtà in cui sono. Anche perché se io sono missione cambio, non sono sempre la stessa persona e per tanto sono sempre chiamato a pormi domande nuove, a cercare risposte che riescano a leggere la situazione in cui mi trovo a vivere. Essere missione richiede coraggio, tenacia, fantasia, voglia di andare sempre oltre. Il Papa dice «la missione è qualcosa che non posso sradicare dal mio essere se non voglio distruggermi».
Questa preghiera per le vocazioni, queste parole che il Papa ci consegna sono in un orizzonte molto più ampio, che ci invita a guardare lontano. L’anno prossimo, nel 2018, il Sinodo dei Vescovi - che sappiamo si era ultimamente soffermato sul tema della famiglia -, avrà come tema generale La fede dei giovani e il discernimento vocazionale. Il Papa dice che dobbiamo avere maggiormente a cuore che i nostri giovani sappiano, guardando la propria vita, scegliere in ordine non solo a un interesse, a una convenienza, ma a quello che sono realmente e, poiché ogni uomo è una missione, è necessario che ciascuno la scopra e possa dedicarvi tutto il tempo senza sciuparlo, senza perdere le occasioni necessarie perché porti a compimento se stesso, la sua vocazione. Il Papa ci dice questa cosa importantissima «prima di avere il Vangelo sulle labbra i discepoli - quindi tutti noi - sono chiamati a custodire il Vangelo nel cuore». Per questo noi possiamo pregare gli uni per gli altri, possiamo sostenerci a vicenda, perché tutti noi abbiamo ricevuto come dono il Vangelo, tutti noi siamo la nostra vocazione e cerchiamo di viverla in pienezza. Ma affinché questo possa realizzarsi il Vangelo non può essere solamente una parola che ripetiamo perché l’abbiamo ascoltata bene, ma che abbiamo custodito nel cuore. È bello sapere che ogni giorno Dio si avvicina alla nostra vita, accarezza la nostra paura e rimette costantemente nel nostro cuore una goccia di coraggio e ci dice “Alzati, va’. Non temere”. Lo ripete anche a chi è timoroso, a chi è sfiduciato per ritrovare ogni giorno l’infinita pazienza di ricominciare.
Qualcuno di voi conosce l’esperienza della comunità monastica di Taizé e il suo fondatore, frère Roger Schutz, uomo che ha avuto come grande intuizione la possibilità di vivere insieme in comunione tra cristiani delle diverse confessioni, creando una realtà che è diventata riferimento per molti giovani. Diceva così: «la mia vita consiste nel discernere negli altri ciò che li devasta e ciò che li rallegra e nel comunicare profondamente con la loro sofferenza e la loro gioia». Noi vogliamo allora chiedere al Signore il dono di nuove vocazioni, tenendo nel cuore la gratitudine per quanto abbiamo vissuto poco tempo fa con l’ordinazione di Gregorio, ma anche la possibilità che ci viene donata dal Seminario di camminare con dei giovani che sono in cammino verso il presbiterato, la possibilità di conoscerli, di condividere con loro il tempo, di vivere con loro delle esperienze. Preghiamo anche perché tra i nostri giovani - sicuramente qualcuno è chiamato al presbiterato - ci sia il coraggio di rispondere, la disponibilità a iniziare questo percorso. Preghiamo in particolare perché tutti noi possiamo essere realmente e pienamente la nostra vocazione.
In questo giorno in cui nella nostra Comunità ricordiamo le mamme vogliamo pregare anche per loro. La loro presenza è una vocazione: una mamma ci dice realmente che la vita è vocazione, perché questo progetto di Dio si scrive dentro nel cuore, dentro la vita e le mamme sanno quanto questo sia prezioso, bellissimo, straordinario. Noi ci dimentichiamo spesso di questa presenza, ci dimentichiamo che essa è di più di quello che fa per noi, è di più di un fare, di un preparare. Come è stato fin dall’inizio, che era di più che fare qualcosa per noi ma era dare la vita. Noi oggi vogliamo ringraziare per il dono delle mamme, di tutte le mamme. Vogliamo imparare a guardare con stupore a questo mistero che si scrive nella vita di una mamma, vogliamo anche pregare per quelle mamme che sono in difficoltà con i loro figli o con i figli che sono in difficoltà con le loro madri. Vogliamo ridire con forza, anche se da fastidio a molti, che la vita è un tesoro e lo è per ciascuna madre e per tutti, e tutti abbiamo il dovere di custodirla. Vogliamo anche ricordarci che spesso il Signore si serve proprio delle mamme per mettere nel cuore dei propri figli quella goccia di coraggio che ci dice «Alzati, va’. Non temere perché io sono con te». Questo stupore ci accompagni oggi e troviamo il modo tutti di ringraziare per chi nella nostra vita è stata mamma, ma anche quelle donne che nella loro vita, magari non generando alla vita, sono state madri perché hanno saputo regalarci quei tratti dell’amore di Dio che sono tenerezza, pazienza, umiltà, tenacia, coraggio e ci hanno permesso di diventare grande. Anzi, non solo di diventare grandi ma di diventare la nostra vocazione.
Questa giornata è stata voluta da Paolo VI che intuiva come in un tempo in cui stava diventando sempre più dominante l’esperienza di solitudine e di individualismo - cioè che ciascuno pensi a se stesso -, fosse necessario invocare maggiormente la misericordia di Dio e la sua Provvidenza perché ispirasse nel cuore di molti giovani il desiderio di consacrare tutta la propria vita al Signore e alla Chiesa. Erano tempi in cui ancora numerosi erano coloro che diventavano presbiteri anche nella Chiesa Italiana, ma Paolo VI - lui che era un profeta del tempo - guardava lontano e vedeva già questa realtà che noi viviamo dettata da un sempre maggiore individualismo e anche da una sorta di egoismo - “la vita è mia, perché spenderla per gli altri?”, “ho solamente questa di vita, perché dedicarla solamente agli altri?”-.
La parola che ha accompagnato il cammino vocazionale di questi mesi nella Chiesa italiana è «Alzati, va’ e non temere». Questa parola che viene dalla Scrittura ci aiuta a fare memoria di molte storie di vocazione, in cui il Signore invita i chiamati a uscire da sé, a dimenticare se stessi e a seguirlo per essere dono per gli altri. A ciascuno affida una missione che accompagna con una benedizione «non temere, io sono con te». La storia della salvezza davvero ci racconta di tanti uomini che, pur consapevoli delle propria fragilità, si mettono al servizio del Signore e compiono grandi opere perché è Dio che, attraverso di loro, compie le sue azioni. Non solo la storia della salvezza ci consegna questo, ma in questi 2000 anni di storia sono tante le testimonianze di uomini e donne che hanno vissuto così. Alcune sono note, ma la maggior parte sono sconosciute.
«Non temere, io sono con te»: è una benedizione di Dio che diventa incoraggiamento costante, quotidiano e appassionato per poter andare oltre le paure che chiudono in se stessi e che tendono a paralizzare i desideri più grandi.
Il Papa poi ci dice già nella Evangelii Gaudium «Io sono una missione su questa terra e per questo mi trovo in questo modo. Bisogna conoscere se stessi come marcati a fuoco da tale missione di illuminare, benedire, vivificare, sollevare, guarire, liberare». Non tanto “io ho una missione” ma “io sono una missione”, un cambiamento di termini non da poco. Quando io ho qualcosa vuol dire che la possiedo, che è mia. Quando io dico, invece, di essere una realtà allora questa mi apre ad altri orizzonti e mi chiede unicamente di essere sempre attento a scoprire in quale modo posso corrispondere nella situazione che vivo, nella realtà in cui sono. Anche perché se io sono missione cambio, non sono sempre la stessa persona e per tanto sono sempre chiamato a pormi domande nuove, a cercare risposte che riescano a leggere la situazione in cui mi trovo a vivere. Essere missione richiede coraggio, tenacia, fantasia, voglia di andare sempre oltre. Il Papa dice «la missione è qualcosa che non posso sradicare dal mio essere se non voglio distruggermi».
Questa preghiera per le vocazioni, queste parole che il Papa ci consegna sono in un orizzonte molto più ampio, che ci invita a guardare lontano. L’anno prossimo, nel 2018, il Sinodo dei Vescovi - che sappiamo si era ultimamente soffermato sul tema della famiglia -, avrà come tema generale La fede dei giovani e il discernimento vocazionale. Il Papa dice che dobbiamo avere maggiormente a cuore che i nostri giovani sappiano, guardando la propria vita, scegliere in ordine non solo a un interesse, a una convenienza, ma a quello che sono realmente e, poiché ogni uomo è una missione, è necessario che ciascuno la scopra e possa dedicarvi tutto il tempo senza sciuparlo, senza perdere le occasioni necessarie perché porti a compimento se stesso, la sua vocazione. Il Papa ci dice questa cosa importantissima «prima di avere il Vangelo sulle labbra i discepoli - quindi tutti noi - sono chiamati a custodire il Vangelo nel cuore». Per questo noi possiamo pregare gli uni per gli altri, possiamo sostenerci a vicenda, perché tutti noi abbiamo ricevuto come dono il Vangelo, tutti noi siamo la nostra vocazione e cerchiamo di viverla in pienezza. Ma affinché questo possa realizzarsi il Vangelo non può essere solamente una parola che ripetiamo perché l’abbiamo ascoltata bene, ma che abbiamo custodito nel cuore. È bello sapere che ogni giorno Dio si avvicina alla nostra vita, accarezza la nostra paura e rimette costantemente nel nostro cuore una goccia di coraggio e ci dice “Alzati, va’. Non temere”. Lo ripete anche a chi è timoroso, a chi è sfiduciato per ritrovare ogni giorno l’infinita pazienza di ricominciare.
Qualcuno di voi conosce l’esperienza della comunità monastica di Taizé e il suo fondatore, frère Roger Schutz, uomo che ha avuto come grande intuizione la possibilità di vivere insieme in comunione tra cristiani delle diverse confessioni, creando una realtà che è diventata riferimento per molti giovani. Diceva così: «la mia vita consiste nel discernere negli altri ciò che li devasta e ciò che li rallegra e nel comunicare profondamente con la loro sofferenza e la loro gioia». Noi vogliamo allora chiedere al Signore il dono di nuove vocazioni, tenendo nel cuore la gratitudine per quanto abbiamo vissuto poco tempo fa con l’ordinazione di Gregorio, ma anche la possibilità che ci viene donata dal Seminario di camminare con dei giovani che sono in cammino verso il presbiterato, la possibilità di conoscerli, di condividere con loro il tempo, di vivere con loro delle esperienze. Preghiamo anche perché tra i nostri giovani - sicuramente qualcuno è chiamato al presbiterato - ci sia il coraggio di rispondere, la disponibilità a iniziare questo percorso. Preghiamo in particolare perché tutti noi possiamo essere realmente e pienamente la nostra vocazione.
In questo giorno in cui nella nostra Comunità ricordiamo le mamme vogliamo pregare anche per loro. La loro presenza è una vocazione: una mamma ci dice realmente che la vita è vocazione, perché questo progetto di Dio si scrive dentro nel cuore, dentro la vita e le mamme sanno quanto questo sia prezioso, bellissimo, straordinario. Noi ci dimentichiamo spesso di questa presenza, ci dimentichiamo che essa è di più di quello che fa per noi, è di più di un fare, di un preparare. Come è stato fin dall’inizio, che era di più che fare qualcosa per noi ma era dare la vita. Noi oggi vogliamo ringraziare per il dono delle mamme, di tutte le mamme. Vogliamo imparare a guardare con stupore a questo mistero che si scrive nella vita di una mamma, vogliamo anche pregare per quelle mamme che sono in difficoltà con i loro figli o con i figli che sono in difficoltà con le loro madri. Vogliamo ridire con forza, anche se da fastidio a molti, che la vita è un tesoro e lo è per ciascuna madre e per tutti, e tutti abbiamo il dovere di custodirla. Vogliamo anche ricordarci che spesso il Signore si serve proprio delle mamme per mettere nel cuore dei propri figli quella goccia di coraggio che ci dice «Alzati, va’. Non temere perché io sono con te». Questo stupore ci accompagni oggi e troviamo il modo tutti di ringraziare per chi nella nostra vita è stata mamma, ma anche quelle donne che nella loro vita, magari non generando alla vita, sono state madri perché hanno saputo regalarci quei tratti dell’amore di Dio che sono tenerezza, pazienza, umiltà, tenacia, coraggio e ci hanno permesso di diventare grande. Anzi, non solo di diventare grandi ma di diventare la nostra vocazione.
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