Amare fino alla fine



Da una Lectio di Padre Enzo Bianchi

La Pasqua è ormai vicina, e la chiesa ci invita a meditare sul grande segno della resurrezione di Lazzaro, profezia della resurrezione di Gesù.

“Un certo Lazzaro di Betania, il villaggio di Maria e di Marta sua sorella, era malato”. Gesù amava molto questi amici, che frequentava nei periodi di sosta a Gerusalemme: nella casa di Betania poteva godere dell’accoglienza premurosa di Marta, dell’ascolto attento di Maria (cf. Lc 10,38-42, il famoso brano della tensione tra Marta e Maria) e dell’affetto fedele di Lazzaro. 

Le sorelle mandano ad avvertirlo della malattia di Lazzaro, ma Gesù è lontano. Come può Gesù permettere che un suo amico si ammali, soffra e muoia? Che senso ha? Sono domande affiorate all’interno della rete di amicizie di Gesù, ma che ancora oggi risuonano quando nelle nostre relazioni appaiono la malattia, la sofferenza e la morte; è l’ora in cui la nostra fede e il nostro essere amati da Gesù sembrano essere smentiti dalle sofferenze della vita. Senza aumentare il numero delle Parole di questi giorni ma è quello che stiamo vivendo anche oggi…

Gesù, informato di questa situazione, dice: “Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio venga glorificato”, è un’occasione perché si manifesti il peso che Dio ha nella storia e così si manifesti la gloria del Figlio di Dio, gloria che è amare “fino alla fine” (Gv 13,1, ricordate l’inizio del capitolo 13 di Giovanni, il capitolo che contiene la lavanda dei piedi, il primo versetto ci rivela il progetto di Gesù: “prima della festa di Pasqua, Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine”). Il suo parlare sembra in contraddizione con l’evidenza: sempre nella malattia la morte si profila all’orizzonte con la sua ombra minacciosa, eppure Gesù rivela che la malattia di colui che egli ama non significherà vittoria della morte su di lui.

E così – particolare che in un primo momento ci può sorprendere – Gesù resta ancora due giorni al di là del Giordano. Solo il terzo giorno (in questi prossimi giorni sentiremo spesso parlare di terzo giorno, allusione alla sua resurrezione!) annuncia la sua volontà di recarsi in Giudea. I discepoli non comprendono: “Rabbi, poco fa i giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo?”. Il riferimento è a quanto abbiamo ascoltato nella terza domenica di quaresima, quella che chiamiamo di Abramo, in quel confronto serrato sul tema della libertà, frutto dell’ascolto della Parola e della comunione con il Figlio di Dio. In risposta, Gesù rivela loro che egli è intimamente convinto di dover vivere e operare come il Padre gli ha chiesto, e sa di doverlo fare nel poco tempo che gli resta, prima che giunga l’ora delle tenebre, quando non potrà più agire.

“Lazzaro, il nostro amico,” – continua Gesù – “si è addormentato; ma io vado a svegliarlo”. Ma ancora una volta non viene compreso dalla Comunità dei suoi amici, esperienza che anche noi facciamo spesso, quella di non capire il Signore, infatti “pensarono che parlasse del riposo del sonno”, Gesù dichiara apertamente: “Lazzaro è morto e io sono contento per voi di non essere stato là, affinché voi crediate; ma andiamo da lui!”. E l’unico a reagire, in modo impulsivo, possiamo forse dire anche provocatorio, è Tommaso: “Andiamo anche noi a morire con lui!”. Possiamo intuire che il riferimento sia ancora all’episodio dell’incontro scontro con i Giudei, ma al di là di questo, egli afferma una profonda verità: seguire Gesù significa trovarsi dove lui è (cf. Gv 12,26 “Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, lа sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà”), e se lui va verso la morte – come sarà chiaro alla fine di questo capitolo “i capi dei sacerdoti e i farisei avevano dato ordine che chiunque sapesse dove si trovava lo denunciasse, perchè potessero arrestarlo” – anche ai discepoli toccherà altrettanto. Vi invito a questo proposito a rileggere l’omelia che l’Arcivescovo Mario ci ha regalato in occasione della giornata dei missionari martiri( Cristiani insopportabili).

Gesù giunge con i suoi discepoli a Betania quando “Lazzaro è già da quattro giorni nel sepolcro”. Saputo del suo arrivo, Marta gli va incontro e gli rivolge parole che sono insieme una confessione di fede e un rimprovero: “Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!”. Poi aggiunge: “Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, te la concederà”. Marta è una donna di fede e confessa che dove c’è Gesù non può regnare la morte, che la morte di Lazzaro è accaduta perché Gesù era lontano. Ella crede in Gesù e, sollecitata da lui, confessa la propria fede nella resurrezione finale della carne. Ma Gesù la invita a compiere un passo ulteriore, la invita a credere in Lui perchè: “Io sono la resurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno”. E Marta replica prontamente: “Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo”. Una delle professioni più belle che troviamo nel Vangelo dopo una rivelazione di Gesù riguardo alla sua identità e missione.

Anche Maria, chiamata dalla sorella, corre incontro a Gesù e, gettandosi ai suoi piedi, esclama a sua volta: “Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!”. I toni sono più affettivi, Maria esprime con le lacrime il proprio dolore. Ella ama Gesù e si sa da lui amata, si mostra pronta a incontrarlo e si inginocchia davanti a lui, un gesto che si rinnova come appunto nel passo di Luca già ricordato, ma non dà segni di una fede che possa vincere la sua sofferenza: è interamente definita dal suo dolore profondo, inconsolabile. Le sue lacrime sono contagiose: piangono i giudei che sono accorsi e piange lo stesso Gesù.

Qui ci è chiesto di sostare sugli sentimenti vissuti da Gesù che ci rivelano un’umanità piena, profonda, che ci appartiene. Innanzitutto egli si commuove, freme interiormente. Di fronte alla morte di un amico, di una persona da lui amata, la prima reazione è il fremito che nasce dal constatare l’ingiustizia della morte: come può morire l’amore? Perché la morte tronca l’amore, la relazione, le relazioni? Poi Gesù si turba: il fremito di indignazione diventa turbamento, esperienza del sentirsi ferito e del sentire dolore e angoscia. Gesù prova questa reazione emotiva anche di fronte alla prospettiva della propria morte imminente (cf. Gv 12,27, “adesso l'anima mia и turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da quest'ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest'ora!) e quando nell’ultima cena annuncia ai suoi il tradimento di Giuda (cf. Gv 13,21 “Gesù fu profondamente turbato e dichiarò: "In verità, in verità io vi dico: uno di voi mi tradirà".). Infine, alla vista della tomba Gesù scoppia in pianto, reazione che i presenti leggono come il segno decisivo del suo grande amore per Lazzaro.

Giungiamo quindi al cuore del racconto: l’incontro tra Gesù e Lazzaro. Gesù, ancora una volta fremendo nel suo spirito, si reca alla tomba e vede la pietra che chiude il sepolcro: colui che è la vita (cf. Gv 14,6 "Io sono la via, la veritа e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me”) comincia un duello, una lotta contro la morte. Il testo apre uno squarcio sulla relazione di profonda intimità tra Gesù e il Padre. “Gesù alzò gli occhi e disse: ‘Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato. Io sapevo che mi ascolti sempre’”, così come Gesù stesso ascolta sempre il Padre (cf. Gv 5,30 “da me, io non posso fare nulla. Giudico secondo quello che ascolto e il mio giudizio è giusto, perchè non cerco la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato”). È l’unica volta che Gesù prega prima di compiere un segno, ma la sua è una preghiera di ringraziamento al Padre, a colui che è il fine stesso della preghiera: Gesù desidera che i presenti giungano a credere che egli è l’Inviato di Dio, dunque un segno che rimanda alla realtà ultima, alla fonte di ogni bene, il Padre.

La risposta di Dio giunge immediata, percepibile nella parola efficace di Gesù, che compie ciò che dice: “Lazzaro, vieni fuori!”. Gesù aveva annunciato “l’ora in cui coloro che sono nei sepolcri udranno la voce del Figlio di Dio e ne usciranno” (cf. Gv 5,28-29). Ecco un’anticipazione: Lazzaro, morto e sepolto, esce dalla tomba ancora avvolto dalle bende e con la sua resurrezione profetizza la resurrezione di Gesù. Non solo, ma la resurrezione di Lazzaro, “colui che Gesù ama”, manifesta la ragione profonda per cui il Padre richiamerà Gesù dai morti alla vita eterna: nel duello tra vita e morte, tra amore e morte, vince la vita, vince l’amore vissuto da Gesù. Gesù è la vita, è l’amore che strappa alla morte le sue pecore, le quali non andranno perdute (cf. Gv 10,27-28); se Gesù ama e ha come amico chi crede in lui, non permetterà a nessuno, neppure alla morte, di rapirlo dalla sua mano!

Avvenuto il segno, la sua lettura e interpretazione come sempre spetta a quanti lo hanno visto. “Molti dei giudei credettero in lui”. La fede non consente certo di sfuggire alla morte fisica: tutti gli esseri umani devono passare attraverso di essa, ma in verità per chi aderisce a Gesù, la morte non è più l’ultima, definitiva realtà. Chi crede in Gesù ed è coinvolto nella sua amicizia, vive per sempre e porta in sé la vittoria sulla malattia e sulla morte. Non solo, come si legge al termine del Cantico dei Cantici, “l’amore è forte come la morte” (Ct 8,6), ma l’amore vissuto e insegnato da Gesù è più forte della morte, è profezia e anticipazione per tutti gli amici del Signore, destinati alla resurrezione. Questa è la gloria di Gesù, gloria dell’amore, anche se all’apparenza egli sembra sconfitto: in cambio di questo gesto, infatti, riceve una sentenza di morte dalle autorità religiose, per bocca di Caifa (cf. Gv 11,46-53). Dare la vita a Lazzaro è costato a Gesù la propria vita: ecco cosa accade nell’amicizia vera, quella vissuta da Gesù, che ha donato la propria vita per gli amici (cf. Gv 15,13 “nessuno ha un amore piщ grande di questo: dare la sua vita per i propri amici”).





L’amore, l’amicizia di Gesù, dunque, vince la morte. Se siamo capaci di mettere la nostra fede-fiducia in lui, questa pagina ci rivela che non siamo soli e che anche nella morte egli sarà accanto a noi per abbracciarci nell’ora in cui varcheremo quella soglia oscura e per richiamarci definitivamente alla vita con il suo amore. Ecco il dono estremo fatto da Gesù a quanti si lasciano coinvolgere dalla sua vita: la morte non ha l’ultima parola, e chiunque aderisce a lui, lo ama e si lascia da lui amare, non morirà in eterno! Canta un padre della Chiesa, Gregorio di Nazianzo: “Signore Gesù, sulla tua parola tre morti hanno visto la luce: la figlia di Giairo, il figlio della vedova di Nain e Lazzaro uscito dal sepolcro alla tua voce. Fa’ che io sia il quarto!”.

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