23 gennaio 2011

Egli accolse le folle e prese a parlare loro del regno di Dio 
e a guarire quanti avevano bisogno di cure.
Luca 9,11b

Luca 9,10b-17
Cinquemila uomini, una sera di Palestina, dalle parti di Betsaida. Provo ad immaginarmi lì come uno di loro, mi riconosco nelle parole con cui Luca li rievoca: «Gesù prese a parlare di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure». C'è tutto l'uomo in queste parole; il suo nome: creatura che ha bisogno. Di Dio e di cure, di pane e di senso alla vita che riceve in dono a volte senza capire perché. In queste parole c’è tutta la missione di Gesù: lui è Parola di Dio e guarigione della vita. Questo vangelo parla della mia vita: sono uno di quegli uomini, ho bisogno di cure, di qualcuno che si accorga di me, si prenda cura, guarisca la mia vita. Ho un desiderio inappagato e non so neppure di che cosa, ma so che niente fra le cose create lo potrà saziare. Ma il giorno sta per finire, non si può vivere di solo spirito, bisogna pensare alle cose pratiche, gli apostoli dicono a Gesù: «Mandali via perché possano andare a cercarsi da mangiare», “va bene la parola di Dio, va bene che tu li guarisca, ma non possiamo prenderci cura noi di loro…”

Ma Gesù, Gesù non manda via, non ha mai mandato via nessuno. Replica invece con un ordine che inverte la direzione del racconto: «Date loro voi stessi da mangiare». Gesù ragiona in modo diverso dai suoi discepoli. È un Dio capovolto, uno che sarà sempre più disposto ad accogliere una preghiera come questa: “Quando ho fame, manda sulla mia strada qualcuno da sfamare; quando ho bisogno, mandami qualcuno che abbia ancora più bisogno di me”. Questa preghiera Dio accoglie perché parla al suo cuore, perché viene dall’imitazione del suo cuore. La fine della fame non consisterà mai nel mangiare a sazietà, da solo, il mio pane, ma nel condividerlo, spartendo il poco che ho, i due pesci, il bicchiere d'acqua fresca, olio e vino sulle ferite, un po' di tempo e un po' di cuore. Il Signore non manda via la folla perché Lui per primo vive di comunione. La comunione con il Padre e lo Spirito. Ad ogni eucarestia è Dio che mi cerca e mi chiama (beato tu "invitato" alla cena del Signore...), Dio in cammino verso di me per guarire la vita, Dio che è venuto, si è manifestato, che vive donandosi. Dio che non può dare nulla di meno di se stesso. E che dando se stesso dà tutto a tutti.

Alla fame dell'uomo Dio non solo ha dato la sua parola, ha voluto dare la sua carne e il suo sangue. Ci dà il suo sangue perché nelle nostre vene scorra la sua vita, nel nostro cuore metta radici il suo coraggio e quel miracolo che è la gratuità nelle relazioni. Quando ci dà il suo Corpo, Gesù vuole che la nostra fede si appoggi non su delle idee, ma su di una Persona, incontrandone storia, vicende, sentimenti, piaghe, lacrime, sorrisi, con il peso e la durezza del dolore, con il peso e la durezza della croce.

Quando ci dà il suo Sangue e il suo Corpo vuole anche farci attenti al sangue e al corpo dei fratelli. Infatti il corpo è offerto, il sangue è versato: la legge dell'esistenza è il dono di sé; unica strada per l'amicizia nel mondo è l'offerta; norma di vita è dedicare la vita. Come Lui.
Ispirato da un commento di padre Ermes Ronchi

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