21 dicembre 2011

Tutti i loro vicini furono presi da timore, 
e per tutta la regione montuosa della Giudea 
si discorreva di tutte queste cose. 
Tutti coloro che le udivano, 
le custodivano in cuor loro.
(Lc 1, 65 - 66a)

Elisabetta sa che il figlio che ha portato nel suo grembo è dono di Dio. Sa che solo Dio poteva togliere la sua “vergogna”, cioè la sua sterilità. Tanto che tutti i parenti esaltano la misericordia di Dio e si rallegrano per questo dono di Dio. All’ottavo giorno, nel momento nel quale si compiono gli adempimenti previsti secondo la Legge di Dio, Elisabetta con le sue parole, indica di riconoscere nel suo bambino il dono di Dio, mostra la sua fede, la sua obbedienza alla Parola, che le ha dato vita. Dopo di lei Zaccaria esprime la stessa adesione alla volontà di Dio e finalmente le sue labbra si schiudono alla lode e al riconoscimento dell’opera di Dio, che visita e redime il suo popolo. La meraviglia prende tutti coloro che sono presenti. Il timore non esprime tanto la paura quando il rapporto tra l’uomo e il mistero di Dio. Un atteggiamento che è confermato dal conservare tutte le cose viste e udite nel cuore, attendendo che ancora Dio si manifestasse nel bambino. Spesso, infatti, nell’Antico Testamento la sterilità era un segno della grandezza del nascituro, del suo servizio nel piano di Dio.
Ma io per la tua grande misericordia entrerò nella tua casa; mi prostrerò con timore nel tuo santo tempio (Salmi 5,8). 
Il timore del Signore è puro, dura sempre; i giudizi del Signore sono tutti fedeli e giusti (Salmi 18,10). 

(Ermes Ronchi)


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