25 dicembre 2011

Natale del Signore


Diede alla luce il suo figlio primogenito, 
lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, 
perché per loro non c’era posto nell’alloggio.
(Lc 2, 7)

La vergine è pallida e guarda il bambino. Ciò che bisognerebbe dipingere sul suo volto è uno stupore ansioso che è comparso una volta soltanto su un viso umano. Perché il Cristo è suo figlio, carne della sua carne e sangue delle sue viscere.
L’ha portato in grembo per nove mesi, gli offrì il seno, e il suo latte diventerà sangue di Dio.
Qualche volta la tentazione è così forte da farle dimenticare che è Dio. Lo stringe tra le braccia e dice: “bambino mio”.
Ma altri momenti rimane interdetta e pensa: “lì c’è Dio”.
E viene presa da un religioso orrore per quel Dio muto, per quel bambino che incute timore. 

Tutte le madri in qualche momento si sono arrestate così di fronte a quel frammento ribelle della loro carne che è il loro bambino, sentendosi in esilio davanti a quella vita nuova che è stata fatta con la loro vita e che è abitata da pensieri estranei.

Ma nessun bambino è stato strappato più crudelmente e più rapidamente di questo da sua madre, perché è Dio e supera in tutti i modi ciò che essa può immaginare....

Ma penso che ci siano anche altri momenti, fuggevoli e veloci, in cui essa avverte nello stesso tempo che il Cristo è suo figlio, il suo bambino, ed è Dio. Lo guarda e pensa: “Questo Dio è mio figlio. Questa carne divina è mia carne. È fatto di me, ha i miei occhi, la forma della sua bocca è la forma della mia, mi assomiglia. È Dio che mi assomiglia”.

Nessuna donna ha mai potuto avere in questo modo il suo Dio per sé sola, un Dio bambino che si può prendere tra le braccia e coprire di baci, un Dio caldo che sorride e respira, un Dio che si può toccare e che ride.

È uno di questi momenti che dipingerei, se fossi pittore, Maria.
(Jean Paul Sartre)

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