La frase più bella: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?
(Betlemme, Grotte di San Girolamo) |
Se dovessi conservare
una sola frase di Cristo, sarebbe questa: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai
abbandonato?» (Matteo 27,46). È l’espressione più amorosa che ci sia. Ognuno ne
conosce la vibrazione intima. Nessuna vita può fare a meno di questo grido.
Queste parole che Cristo rivolge al suo invisibile padre sono il cuore segreto
dell’amore, il suo centro tremante, la sua fiamma che vacilla, s’inclina e non
si spegne. Esse sono pure la sola prova dell’esistenza di Dio: non ci si
rivolge così al nulla. Non si lanciano rimproveri al niente. C’è qualcuno
dietro questo grido, c’è un viso dietro l’abisso. Dopo questo grido, zero
rumori: lo strazio del respiro, l’energia che diserta ciò che di colpo diventa
carne morta. «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?»: quest’ultima
vampata dello spirito, quest’ultimo zampillo di parola è pure ciò che impedisce
a Cristo di essere un angelo, ciò che ne fa un uomo, il nostro fratello
angosciato e fragile. I suoi amici hanno intessuto per lui un abito di
scrittura quasi troppo ricco. Si potrebbe finire per pensare che egli sia un
mago capace di tramutare l’acqua in vino, di moltiplicare i pani, di guarire
gli inguaribili. Una lettura sonnolenta del Vangelo potrebbe farci credere che
un abisso ci separa da lui, da quest’atleta dell’invisibile. Se tutto gli è
stato già dato in anticipo come potrebbe raggiungerci? «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» Queste parole pronte ad esplodere sul volto di marmo di un
Dio muto fanno di colui che le pronuncia un nostro intimo, il più stretto fra i
parenti stretti: anzi, noi stessi quando la fiducia fuoriesce come sangue da
una vena tagliata, ma continuiamo a parlare con amore a ciò che ci uccide.
(Christian Bobin,
traduzione di Daniele Zappalà – Avvenire 12 febbraio 2012)
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