16 giugno 2012 - Da Gesù la radice della vita buona

«Io vi dico: se la vostra giustizia 
non supererà quella degli scribi e dei farisei, 
non entrerete nel regno dei cieli».
(Mt 5, 20)

Avete inteso che fu det­to, ma io vi dico... Ge­sù non annuncia u­na nuova morale più esigen­te e impegnativa. Queste, che sono tra le pagine più radica­li del Vangelo, sono anche le più umane, perché qui ritro­viamo la radice della vita buona. Il discorso della monta­gna vuole condurci alla radi­ce, lungo una doppia diret­trice: la linea del cuore e la li­nea della persona. Il grande principio di Gesù è il ritorno al cuore, che è il laboratorio dove si forma ciò che poi u­scirà fuori e prenderà figura di parola, gesto, atto. È necessa­rio guarire il cuore per guari­re la vita. 
Fu detto: non ucciderai; ma io vi dico: chiunque si adi­ra, chiunque alimenta den­tro di sé rabbie e rancori, è già omicida. 
Gesù risale alla radice pri­ma, a ciò che genera la morte o la vita. E che san Giovanni esprimerà in un'affermazione colossale: «Chi non ama suo fratello è omicida» (1Gv 3,15). Cioè: chi non ama uccide. 
Non amare qualcuno è to­gliergli vita; non amare è un lento morire. 

È un unico salto di qualità quello che Gesù propone, la svolta fondamentale: passare dalla legge alla persona, dall'esterno all'interno, dalla re­ligione del fare a quella del­l'essere. Il ritorno al cuore, là dove nascono i grandi «per­ché» delle azioni. Allora il vangelo è facile, umanissimo, anche quando dice parole come queste, che danno le vertigini.
(Ermes Ronchi)

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