24 giugno 2012 - Il dramma dell'uomo che si sbagliò su Dio
«Amico, come mai sei entrato qui
senza l’abito nuziale?».
(Mt 22,12)
Tutto comincia con un invito. Non un
obbligo o un dovere, ma un invito: che dichiara la tua libertà immensa e
drammatica. Drammatica per te, ma anche per Dio. L'uomo è il rischio di Dio: il
Dio dalla sala vuota, dalle chiese vuote e tristi, il Dio del pane e del vino
che nessuno vuole, nessuno cerca, nessuno gusta, è debole di fronte al cuore
dell'uomo. Eppure invita: non alla fatica della vigna, ma a nozze, ad
un'esperienza di pienezza, al piacere di vivere. Questo testimonia il vangelo:
il suo dono e il suo segreto sono una vita bella; e Dio non è più un dovere, ma
un desiderio.
Ma se ne andarono chi al proprio
campo, chi ai propri affari! Gli invitati vivono per le cose, non hanno tempo
neppure per la gioia. Vivono all'esterno di se stessi. Ma il re non si
scoraggia, ha sempre nuove idee per realizzare il suo sogno, e si fa
allietatore di crocicchi e di strade, di buoni e di cattivi. Non ha bisogno di
gente che lo serva, ma di chi lo lasci essere servitore della vita. Dopo la
parte di Dio, viene però la nostra parte. La parabola inizia con una reggia
senza canti, con una sala vuota, e termina con un dramma: gettatelo
fuori. È possibile fallire la vita! Ad ognuno di noi è posta una
condizione: il vestito di nozze. L'uomo senza veste nuziale non è peggiore degli
altri; egli non ha creduto alla festa, non ha portato il suo contributo di
bellezza alla liturgia delle nozze. Non pensava possibile che il re invitasse a
palazzo straccioni e poveracci; che si trattasse davvero del banchetto di nozze
del figlio del re. Un re non fa così, pensava; un re pretende, prende e non
dona. Si è sbagliato su Dio.Sbagliarsi su Dio è un dramma, è la cosa
peggiore che possa capitarci, perché poi ci sbagliamo sul mondo, sulla storia,
sull'uomo, su noi stessi. Sbagliamo la vita (David M. Turoldo).
L'abito da indossare per non fallire la vita è Gesù Cristo (Ef 4,24). Nel
battesimo ho ricevuto, con la veste bianca, il compito di passare la vita a
rivestirmi di Cristo. Ad avere i suoi sentimenti, ad essere eco delle sue
parole, a preferire coloro che lui preferiva, seminare i suoi gesti nel mondo.
A respirarlo.Respirate sempre Cristo, è il compito ultimo che l'abate
Antonio morente affida ai monaci. È l'esperienza di Paolo: in Lui
esistiamo, ci muoviamo e respiriamo (Atti 17,28). Allora porteremo il
nostro contributo dovunque la vita celebri la sua festa.
È la preghiera di san Patrizio: Cristo davanti
a me, Cristo dietro di me, Cristo alla mia destra, Cristo alla mia sinistra,
Cristo nei miei occhi, Cristo in ogni mio passo. Indossare un abito nuovo,
dopo aver deposto quello vecchio (Ef 4,24). Ci ha voluti pronti a giocarci
l'intera posta, lui compreso. Rifiutiamo l'invito perché contiene
un'esigenza eccessiva: che le cose di Dio c'importino più delle nostre, più del
lavoro, del tempo, del denaro. Eppure le cose di Dio non sono altro che le
nostre proprie sorgenti.
Ancora dentro questo nostro tempo dolente e splendido
Dio ripropone i suoi inviti, a dirci che l'eternità non è altrove, in un altro
orologio, ma che questo tempo è già un frammento di eterno colmo di inviti, già
ora con Dio la vita celebra la sua festa se appena abbiamo un cuore che
accoglie e che sa condividere. L'invito alla convivialità è anche invito a
passare dall'economia delle cose all'economia delle persone, a prenderci del
tempo per l'incontro, per gli amici, per Dio, per la vita interiore.
(Ermes Ronchi)
Commenti
Posta un commento