Il pane buono
Tempo fa', sul far della sera di un sabato qualunque, in una bella e
profumata giornata primaverile, stavo innaffiando l'erba e i fiori del piccolo
giardino che adorna la nostra casa, assorto nei lieti pensieri del dolce far
niente. Davanti al cancello, all'improvviso, appare la figura di una ragazzina.
Chiaramente una Rom, una zingara: il suo volto ed il suo cencioso abbigliamento
non lasciavano certo spazio a dubbi in tal senso.
Con un italiano piuttosto stentato mi chiama e mi dice: "Dio ti
benedica te e tua famiglia, mi dai pane vecchio per mangiare?".
Le rispondo:
- "Dove abiti?" (curioso, vero? Quando Dio ci parla, capita
spesso che di primo acchito cambiamo discorso).
- "Là, vicino fiume Mella".
- "E di cosa vivi?".
- "Quello che mi danno".
- "Non vai a scuola?".
- "No, mai andata".
- "E i tuoi genitori cosa dicono?".
- "Padre non so, non vedo da tanto, lui carcere; madre dice: andare
prendere qualcosa da mangiare. Mi dai pane vecchio?".
- "Sì, certo, scusa, volevi del pane vecchio. Ho quello fresco, buono,
di oggi, vado dentro a prenderti quello", le dico mentre mi giro e faccio
per entrare in casa.
- "Buono hai già dato".
- "Buono hai già dato".
Sono rimasto impietrito, come fulminato. Mi sono rigirato lentamente e l'ho
guardata: stava sorridendo. Non so, non ho mai voluto pensare che quella frase
fosse stata solo il frutto di un malriuscito tentativo di traduzione dal rumeno
all'italiano di chissà quale espressione.
Nemmeno che quel suo sorriso fosse solo un modo, forse l'unico che
conosceva, per dirmi la sua gioia nel vedere che il pane glielo avrei dato
davvero. No. Ho pensato che quel parlare con lei, ascoltarla, sorriderle, fosse
per lei, davvero, come spezzare insieme del pane fresco, del pane buono.
"Me l'hai già dato, il pane buono: mi hai accolto, mi hai parlato, mi hai
sorriso. Non ti sei girato dall'altra parte, non mi hai ignorato, né schernito,
né evitato, né maltrattato, né violentato. Mi hai parlato".
Pane che nutre, non denti che divorano. Basta davvero così poco per
sentirsi amati? E per essere fratelli, per essere cristiani? Sì. Ed Egle, mia
sposa, mentre - entrato in casa - le racconto la vicenda, dice serenamente,
quasi fosse la cosa più semplice e scontata di questo mondo: "Pane dei
gesti che accolgono, pane delle parole che accarezzano. Pane di Gesù: è questo".
Pane fresco e buono, che non diventa mai vecchio perché prodotto nel cuore
di chi crede in Colui che dice: "Io sono il pane della vita", e ci
lascia un comandamento nuovo: "Amatevi come io vi ho amato".
Amare quella ragazzina cenciosa, spezzare il pane con lei e con tutti i
cenci del mondo. Vivendo una vita nella solidarietà e nella comunione con
tutti.
Sforzandoci di vivere così, di spezzare il pane così, allora Dio parla in
noi; allora Dio parla con noi. Allora Dio spezza il pane e la parola tra noi:
nei panni di una cenciosa ragazzina.
(www.qumran2.net)
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