19 febbraio 2013 - L'opera più grande è contemplare Dio
«Risplenda la vostra luce davanti agli uomini,
perché vedano le vostre opere buone
e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli».
(Mt 5,16)
Quali sono le opere buone che potrebbero portare un
non credente a rendere gloria a Dio?
La coerenza, la credibilità, la carità, l'onestà, la
povertà evangelica? Queste sono tutte cose buone, che possono destare
ammirazione, ma anche disagio e rifiuto. Sono cose che mi mettono in luce, ma
che non portano a rendere gloria a Dio.
Una persona perfetta, mi da fastidio, perché la sua
semplice esistenza mi fa sentire giudicato e scadente; quindi ho tendenza a
evitarla, pur ammirandola, e mi suscita la domanda: "Perché Dio mi ha
creato cosi diverso? Dov'è la sua giustizia?".
Il sale della terra, la luce del mondo è Gesù. La mia
vita sarà luce e sale se parlerà di Lui, e il meno possibile di me che sono
contemporaneamente tramite e intralcio.
Penso che le uniche opere che posso compiere affinché
qualcuno renda gloria a Dio è parlare di Gesù, raccontando ciò che ha fatto e fa',
e pregare. Rischierò di non essere ascoltato o di essere deriso, ma non darò
fastidio e non susciterò un rifiuto. Una persona che sta ginocchioni a pregare
non da fastidio a nessuno, ed è un faro!
Se mi metto a guardare un quadro in un museo, quel quadro
susciterà interesse, e altri si fermeranno a guardarlo. La gente non guarderà a
me che guardo il quadro, ma vedendomi, avrà voglia di guardare il quadro e,
senza neanche accorgersi che io esisto, renderà gloria al quadro! Se mi siedo
in un ristorante vuoto, il ristorante si riempie.
Chi mi ha portato a guardare a Dio sono le persone che
guardano a Dio e che mi parlano di suo figlio Gesù; Perciò penso che l'opera
più grande è contemplare Dio!
Chi si crede migliore perché cristiano urta le
coscienze. Chi si ritiene fortunato perché crede, suscita una salutare invidia.
Signore donami di poter essere un riflesso della tua
luce, e di poterti contemplare sempre di più, sollecitato dalla contemplazione
dei fratelli che mi doni.
(Ermes Ronchi)
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