25 gennaio 2015 - Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe
La Santa
Famiglia di Nazareth porta dentro di sé un messaggio per tutte le nostre
famiglie, anche in questo tempo nel quale questa istituzione sembra essere al centro
di un discredito e di una sfiducia grande.
Questo
messaggio, che raccogliamo oggi, è che è possibile non solo una santità
individuale, ma una bontà, una santità di un gruppo, di una famiglia,
condivisa. Un contagio di santità attraverso le relazioni buone che riusciamo a
costruire. Quando pensiamo alla santità pensiamo alla perfezione: il santo è
colui che non sbaglia mai, ineccepibile, quello che non si può riprendere in
nulla.
In
realtà la santità è questo cercare ogni giorno di entrare in sintonia con lo stesso
sguardo di Dio sulla realtà; e che santità non significhi perfezione ce lo insegna
anche la Santa Famiglia di Nazareth, perché neanche le relazione tra Maria,
Giuseppe e Gesù erano perfette. C’è un’angoscia che è creata da questo figlio
alle porte dell’adolescenza che sceglie di rimanere a Gerusalemme; ci sono dei
malintesi, Maria pensa che Giuseppe sappia dov’è Gesù e viceversa e invece no. Si
ritrovano dopo due giorni a fare i conti con un’incomprensione, ed è forte. Proviamo
ad immaginarla: due genitori che si ritrovano di fronte a un figlio sparito
quasi rinfacciandosi l’uno all’altro una fiducia troppo grande, oppure una
premura troppo piccola. E poi questo non comprendere le parole di Gesù: dopo un
accorato invito di Maria a rendere conto delle sue azioni, Gesù risponde con
una parola he non si capisce, troppo difficile.
La
santità non significa essere senza difetti ma mettersi costantemente, convertire
il proprio cuore al pensiero di Dio e cercare di farlo diventare gesto, parola,
esperienza di gioia, di condivisione.
Al
centro, al cuore del pensiero di Dio c’è l’amore. Questo ci viene detto in
tutta la Scrittura e tutte le volte che veniamo qui, alla Celebrazione dell’Eucaristia,
perché veniamo a una scuola dell’amore, un amore che arriva fino al dono della
vita. In quella casa di Nazareth, che non è perfetta secondo i criteri di una
perfezione nostra per cui non si sbaglia mai, lì c’è amore e c’è Dio non solo
perché la casa del Figlio di Dio. Questo amore non è spirituale, quasi
intimista, ma profondamente umano, vivo, forte, esigente, coraggioso, generoso,
gratuito, che si incarna nel quotidiano, che è visibile ma è fatto anche di
tanto che non si può dire, come è di ogni amore autentico E questo amore profondamente
umano si traduce in una carezza, in un cibo preparato con cura, in un
soprannome affettuoso che diventa il modo in cui ci si intende, in una parola
che è capace di scherzo e che sa sciogliere i momenti di tensione, nella
pazienza di ascoltare, nel desiderio di dirsi grazie solamente con un abbraccio.
Non ci sono due amori: un amore di Dio e uno degli uomini; nel cristianesimo
non ci sono un amore che è spirituale, più grande, e un amore umano, più
piccolo, c’è un unico grande progetto, un solo amore: che muove Adamo verso Eva,
che muove un genitore verso un figlio, che muove me verso un mio amico, che
muove Dio verso l’umanità.
Gesù
dopo quell’episodio torna a Nazareth e resta sottomesso a quell’uomo e a quella
donna; Gesù lascia i maestri, quelli che stanno nel tempio, che conoscono la
legge e sceglie di avere come maestri Giuseppe e Maria, che forse sanno meno
cose, sanno meno nozioni ma sono maestri di vita. Così, per tanti anni, Gesù
sta a questa scuola e impara l’arte di essere uomo, guardando i suoi genitori
vivere quotidianamente, in quel paese dimenticato da tutti, per nulla famoso,
non centro di grandi interessi economici o culturali, Nazareth, e trova Maria
che è una donna tenera e forte, e un uomo che non è autoritario, presente,
lavoratore ma che sa anche tirarsi in disparte. Altrimenti noi non avremmo mai
potuto conoscere quel volto di Dio che si rivela in Gesù, che è capace di
trattare le donne con quel modo che noi abbiamo scoperto, primo in tutta la
storia, sovranamente libero perché è stato Lui il primo a parlare di relazioni
tra uomo e donna che siano alla pari, così come erano nel progetto di Dio
quando l’uomo guardando la donna dice ecco
una che sta di fronte a me, che mi riguarda, una con la quale posso entrare in una relazione alla pari. Questo
ci consegna il Vangelo della famiglia cristiana. E Gesù ha imparato quelle
Beatitudini che poi canterà, offrendole a tuta la comunità, quelle che noi
conosciamo, le ha conosciute lì, le ha imparate da loro, Maria e Giuseppe,
poveri, giusti, puri nel cuore, miti, costruttori di pace, con un amore che è forte,
con quella compassione che traduce un verbo che dice la stessa passione amorosa,
lo stesso dolore che una donna prova quando dà alla luce il suo bambino. IL
parlare di questi due genitori era un si
si, no no, tutto il resto viene dal male. Stava bene con loro e impara il linguaggio
di casa. Quando parlerà del Padre, di Dio, del Dio creatore Salvatore,
Redentore, lo chiamerà Babbo, Abbà,
perché in casa suo papà Giuseppe era stato per lui un punto di riferimento e
aveva imparato in quella relazione quotidiana cosa significa essere custodito. Poi
questa capacità di relazioni che lo spinge a chiamare tutti fratelli non
schiavi, non sudditi, ma amici.
Anche
se ogni giorno, l’istituzione della famiglia viene messa in discussione da chi
vorrebbe equipararla a qualsiasi altra forma di convivenza, anche se ogni
giorno ci sono uomini e donne che propongono di snaturare questo percorso di
vita, anche se ogni giorno ci son uomini e donne che avendo alle spalle
un’esperienza negativa, o perché pensano che sregolando ogni cosa si possa
vivere felice, ogni giorno anche nelle nostre comunità ci sono delle famiglie
che in silenzio, lontano da qualsiasi elemento di pubblicità, cercano con
grande fatica di tessere legami d’amore e hanno lo scopo di creare tra le
persone rispetto accoglienza, benevolenza, perdono; sono capaci di creare un
buon vicinato e sono anche coloro che ci regalano collaborazione e che basandosi
sulle piccole cose imitano da vicino ciò che è accaduto tanti anni fa a
Nazareth.
Ci
sono famiglie sante anche nella nostra comunità, non perché sono perfette, ma perché
ogni giorno si rialzano dalle fatiche, dalle delusioni, quelle create perché
non sempre siamo capaci di mantenere una promessa, una parola data, perché non
sempre i nostri figli sono come li avremmo voluti, ma sono sante perché ogni giorno
cercano di mettere al centro della loro vita l’amore.
La
famiglia è il luogo dove si impara il nome di Dio, e il nome più bello di Dio è
Padre e Madre; la famiglia è il luogo primo dove si assapora
l’amore e quindi si fa esperienza di Dio.
Le nostre
case possono essere luogo dove riceviamo il primo magistero al quale la Chiesa
fa riferimento. Credo che il Sinodo voluto dal Papa, anticipato lo scorso
ottobre e celebrato i prossimi mesi non sarà solamente per dire i problemi, per
rispondere alle urgenze, ma per ridire che ancora oggi che in questo mondo è possibile
pensare alla vita famigliare come fondamento di una reale condizione di santità
della vita, benedizione per la Chiesa ma anche per la società civile.
Noi
usciamo dalle porte delle nostre case, da lì escono i santi perché sono coloro
che sanno donare nella via di tutti i giorni quell’amore che hanno prima
ricevuto; per questo quando uno riceve amore nella sua casa diventa benedizione
e può vivere una vita felice. Abbiamo un grande compito, quello di custodire le
nostre famiglie, di aiutare i giovani a costruire famiglie che siano sante, abbiamo
il compito di guardare con grande compassione a chi si trova nella fatica, a
chi sbaglia, a chi si trova ad essere solo, abbiamo la premura di sostenere
quei genitori che si trovano in difficoltà a motivo dei loro figli, abbiamo a
cuore che, senza idealizzare nulla, noi possiamo ridire che che abbiamo un messaggio del Vangelo sulla famiglia, la quale
è capace ancora oggi di indicarci strade
di santità, nella ricerca quotidiana di creare relazioni autentiche, gratuite,
disposte al dono. Noi veniamo qui, all’Eucaristia perché vogliamo imparare
questo.
Dio
benedica le nostre famiglia, benedica i giovani che pensano a come costruire
una famiglia, ci doni sempre uno sguardo buono che pur sapendo guardare ai
problemi, si ricorda innanzitutto che Dio ha scelto di venire nel mondo e di
abitare con dei genitori, un padre e una madre. Questo noi dobbiamo annunciarlo,
rinnovarlo come coscienza di un’esperienza felice come possibilità offerta ad
ogni uomo.
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