24 maggio 2015 - Pentecoste


Tutto ha sempre inizio da una proposta, non da un’imposizione. L’atteggiamento che Dio ci ha rivelato in Gesù è quello dell’invito, dell’esortazione. Anche quando Gesù parla dei comandamenti, non parla di imposizioni, di regole, di urgenze, parla di sé. È possibile osservare i comandamenti se prima abbiamo disposto il nostro cuore all’Amore per Lui.
Così, per 50 giorni abbiamo atteso questo giorno. Se dovessimo guardare, sono ancora di più dei giorni che utilizziamo per preparare la Pasqua, perché la festa di Pentecoste è una delle Feste più importanti di tutto l’anno liturgico, ci ricorda che noi siamo abitati dallo Spirito, siamo uomini e donne spirituali, cioè che vivono l’esperienza quotidiana di essere mossi dalla presenza stessa di Dio in noi, non per un merito ma perché dal giorno del nostro Battesimo, in modo che noi non possiamo descrivere fino in fondo, ma questa presenza di Dio è cresciuta in noi. La finalità di questa vita nello Spirito è che noi siamo “in Cristo” e lo possiamo essere attraverso l’azione dello Spirito che ci ricorda e ci fa rivivere tutto quello che Gesù ci ha insegnato e ha vissuto. Per questo veniamo all’Eucaristia, perché qui ascoltiamo una parola che non è nostra e riviviamo gesti d’Amore che sono straordinari rispetto alla nostra capacità di amare, ma che sono capaci di dare forma alla nostra carità. Così, in una comunità cristiana come la nostra non tutti sono chiamati a compiere lo stesso servizio, non tutti hanno lo stesso compito. Questo non dovrebbe disturbarci o far nascere tra di noi divisioni, giudizi perché nel momento in cui riconosciamo che è azione dello Spirito il fatto che qualcuno tra noi abbia un incarico particolare – che non sia frutto della sua ambizione, della sua smania protagonismo -, dovremmo esserne lieti perché tutta la Comunità è arricchita dal servizio di coloro che vengono scelti per una utilità comune.
Così, ciascuno di noi è chiamato anche a scoprire qual è il carisma che in modo singolare gli è stato donato e nessuno di noi può dire “io non ne ho, il Signore si è dimenticato”: non è possibile. Certo, magari qualcuno può risplendere maggiormente, qualcuno rimane più nel nascondimento, nell’ombra, ma ciascuno ha ricevuto almeno un carisma che gli consente di essere testimone della presenza di Dio e del suo amore per l’umanità nella concretezza della vita quotidiana. I doni dello Spirito sono molteplici, sono certamente quelli che insegniamo ai nostri ragazzi quando si preparano a vivere la Cresima e forse ce li ricordiamo anche noi - sono i più famosi -. Ma Paolo nelle sue lettere descrive in modi diversi le azioni dello Spirito e questa azione dello Spirito ci ricorda un atteggiamento che abbiamo un po’ dimenticato e una parola che non usiamo più spesso nel nostro vivere quotidiano: virtù.
Cos’è una virtù? È un atteggiamento costante del cuore, che decide di orientare tutte le proprie forze, la propria intelligenza, la propria volontà, il proprio affetto verso il Signore. Coltivare una virtù significa non specializzarsi in un piccolo settore ma dilatare il cuore e renderlo sempre più disponibile ad accogliere i doni dello Spirito. Vivere una vita virtuosa non significa vivere una vita perfetta, dove uno non sbaglia mai o è protetto da qualsiasi difficoltà, ma è come quando uno parte per un viaggio e preparare ciò che è necessario per il cammino, sceglie cosa mettere nel suo zaino e sa bene che tutto ciò che è necessario gli sarà utile e gli permetterà di raggiungere la meta speditamente. Ma se inizia a portare delle cose inutili (potrebbe servire, potrebbe….) si trova un fardello enorme che invece di facilitare il cammino lo ostacolano. Così è la vita di tutti i giorni: l’uomo virtuoso è colui che sa scegliere ciò che è essenziale e necessario per arrivare alla meta. Questo noi possiamo farlo sotto l’azione dello Spirito. Dove questo “essere sotto” non significa che noi siamo qui, inerti, con il nostro destino quindi qualsiasi cosa facciamo sappiamo che qualcuno ha già deciso per noi; “sotto” vuol dire che essendo Dio più grande di noi  - lo riconosciamo anche nei gesti che compiamo come la genuflessione - , riconosciamo che Lui può indicarci la via che noi liberamente possiamo seguire.
Gesù dice: “il mondo non mi conosce, non conosce il Padre e non può riconoscere lo Spirito Santo”, significa che abbiamo il compito, ed è quello che abbiamo fatto in questo tempo di Pasqua e in questa novena di Pentecoste, di porre attenzione ai segni dello Spirito perché è proprio di Dio non usare la via dello straordinario, dell’eclatante, delle grida di piazza, di elementi che sbalordiscono. Perché se Dio ha scelto l’incarnazione in un paese sconosciuto, se ha scelto una donna umile, di un paese sconosciuto, se ha scelto di vivere per 30 anni nel nascondimento di una terra sconosciuta, allora vuol dire che il seme della presenza di Dio anche in noi può non apparire con miracoli, con parole che sanno scaldare il cuore, ma può portare un frutto quotidiano di umiltà, di pazienza, di benevolenza, di accoglienza, di perdono. Allora, invochiamo lo Spirito con questo desiderio: che si rinnovi in noi la consapevolezza che l’essere creati ad immagine e somiglianza di Dio significa che io, non altri, io così come sono posso essere oggi, là dove vivo, testimone della presenza amorevole di Dio per questo mondo, perché innanzitutto è l’esperienza che faccio io. Nella misura in cui io cresco nella comunione con il Signore, divento benedizione non solo per me stesso ma per tutti.
Per questo noi cristiani abbiamo una responsabilità nei confronti di questo mondo: siamo coloro che hanno riconosciuto la presenza di Dio, siamo coloro che vedono l’azione di Dio nella storia. Non possiamo stare chiusi nel nostro cenacolo, ma nel momento in cui siamo investiti da questa presenza del Signore, usciamo fuori e diciamo a tutti quanto – come quel giorno a Gerusalemme – “Il Signore, crocifisso è risorto,  ed è tutta un’altra storia la vita”.

Che lo Spirito Santo, che oggi accogliamo con gioia, diventi davvero rifugio sicuro delle nostre giornate. Invochiamolo, sempre, all’inizio della giornata, prima di compiere una scelta, quando dobbiamo incontrare qualcuno che ci sta particolarmente antipatico, prima di dare un giudizio, prima di dire una parola, prima di scrivere una lettera, una mail, prima di mandare un messaggio… Perché noi possiamo essere nella quotidianità della nostra esistenza, segni di una comunione che abbiamo scelto di vivere personalmente per primi con Dio. Non mancherà il Signore di essere per noi maestro interiore, guida dei nostri passi, perché lo Spirito di Dio anche se noi non ce ne accorgiamo, ha riempito tutta la terra.

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