12 luglio 2015 - VII domenica dopo Pentecoste
Dopo
Abramo e Mosè, oggi ci è presentata la figura di Giosuè, il grande condottiero
delle tribù d’Israele nella conquista della terra promessa.
Anche
per lui un segno grande viene posto nella sua vita a dire il consenso,
l’appoggio di Dio all’operato di questo uomo. È tipico del primo testamento
sottolineare con delle manifestazioni divine, che riguardano la natura, il
favore che Dio riserva all’uomo giusto che è a capo del suo popolo.
Giosuè
è colui che raccoglie l’eredità pesante di Mosè, essendo però stato sempre al
suo fianco ne interpreta la capacità di fiducia nei confronti del Signore, la
determinazione nel seguire i comandi di Dio, il non fermarsi davanti agli
ostacoli. Così, dopo essere passato attraverso il Giordano, aver attraversato
Gerico non esita a mettersi a fianco di alleati per continuare l’opera che è
quella di arrivare ad avere una terra dove il suo popolo possa stare nella
pace.
Cosa
impariamo da Giosuè?
Innanzitutto
impariamo che è necessario, per tutti noi, stare accanto a qualcuno che ci
guidi, che ci dia una formazione perché poi possiamo essere anche noi capaci a
nostra volta di guidare altri. Nella vita spirituale, nella vita ecclesiale
nessuno è un battitore libero ma sempre inserito in una dimensione di comunità
e tutti coloro che pensano di poter fare da soli possono avere anche dei
successi, dei consensi ma il loro operato piano piano muore con loro stessi.
Possiamo
anche cogliere come la capacità di interpretare i segni che accadono intorno a
sé, permettono a Giosuè di acquistare favore e consenso nel suo popolo.
Significa che anche noi abbiamo il compito di guardare bene intorno e di
cogliere come il Signore non fa mancare i segni della sua presenza, così come
ci ha detto Paolo nella lettera che abbiamo ascoltato “non c’è nulla che ci può separare dall’amore di Dio in Cristo Gesù”,
non c’è nessuna realtà che sia tanto forte da impedirci di vivere in comunione
con Dio per mezzo di Gesù Cristo. Possiamo, anzi, dire così: la vita stessa,
l’esistenza che abbiamo ci è data perché noi conosciamo il volto di Dio. Perché
vivere? Perché venire al mondo? Molti si domandano “qual è il senso della
vita?”, che per tanti – molti - spesso è attraversata e segnata da dolore,
fatica, sofferenza.
La
risposta che mi sono dato in questi anni è questa: io sono venuto al mondo per conoscere il volto di Dio e per avere la
vita eterna, così come ci dice il Vangelo, una vita eterna che non sarà solo alla fine della storia con la mia
morte, ma la vita eterna che mi è stata data nel giorno del Battesimo. “Oggi ricevi la vita eterna”: quando uno
conosce Dio, quando hai la possibilità di incontrare il volto di Dio, vivi il
tuo tempo proteso verso l’eternità e comprendi che tutto quello che fai, che
scegli, che dici è orientato verso un compimento più grande. Certo, mi
rimangono delle domande su eventi che non so definire, che non so descrivere e
comprendere fino in fondo, ma come ci dice ogni volta che celebriamo
l’Eucaristia la Liturgia, ci sarà tolto
nel momento dell’incontro con Cristo lutto, pianto, questo senso di
solitudine che a volte ci assale. La vita eterna, però, la vivo già ora, ogni
volta che apro il mio cuore all’incontro reale con Cristo, ogni volta che come
Abramo mi fido della parola che ascolto e cerco di viverla; come Mosè che si
lascia prendere per diventare capo di una missione più grande di lui, come
Giosuè che si fida del Signore nonostante le difficoltà che ha davanti a sé.
Noi,
viviamo oggi l’esperienza della vita eterna quando decidiamo che la fedeltà
all’amore, che si ripete in gesti spesso quotidiani come quello di tante mamme
e tanti papà, anticipa quella profonda comunione dove le relazioni che abbiamo
già adesso acquisteranno le caratteristiche dell’autenticità, della semplicità
e scopriremo che vita eterna non significa arrivare davanti a Dio e stare lì a
guardarlo per l’eternità ma sarà una dimensione ancora di relazione che,
purificata da tutti ciò che è male e impedimento, ci permetterà di gustare in
pienezza quelle gioie che già ora viviamo. A volte ci sembra che ci siano delle
gioie che vorremmo trattenere perché non finiscano mai; sono alcuni momenti
particolari della vita o alcune situazioni particolari della vita. Proviamo a
immaginare questa gioia, per sempre!
Credo
che l’eternità sia questo: una gioia che già sperimento adesso ma che sarà per
sempre, che mi sarà data per sempre. Ora ne assaggio qualche istante, qualche
momento qualche tempo, ora è legata alla mia fatica di vivere, alla mia
fragilità, al mio peccato ma anche al peccato dei miei fratelli, all’incapacità
dei miei fratelli di accogliere, come me, il volto di Dio. Questa fatica mi
impedisce, a volte, di gustare in pienezza la presenza di Dio. Per questo noi,
che diciamo di essere cristiani abbiamo il compito di vivere la nostra vita con
intensità, mettendo a frutto i talenti e i carismi che abbiamo ricevuto.
Sappiamo che anche se viviamo delle ingiustizie, dei momenti d’incomprensione,
di persecuzione, anche se qualcuno può rifiutarci proprio in nome del fatto che
siamo cristiani, tutto questo non ci impedisce di vivere una profonda comunione
con Dio in Cristo Gesù.
In
fondo, quando pensiamo al nostro Battesimo, dobbiamo pensare a questa
vocazione: noi siamo nati e vivremo per
sempre. La qualità di questo vivere per sempre non dipende dagli eventi ma
dal concorso della mia libertà con quella di Dio, dalla mia disposizione ad
aprire il cuore alla Sua grazia, dal mio desiderio di credere che vivere per la
salvezza significa dare a tutto ciò che ora compio la profondità dell’amore che
ricevo nell’Eucaristia. Per questo veniamo qui, per imparare come si fa ad
amare. Sappiamo bene che poi, uscendo, avremo le nostre debolezze, le nostre
lentezze, cadremo ancora negli errori di sempre ma avremo ricominciato, saremo
ripartiti da questo gesto d’amore che non si stanca di offrirsi a noi.
Chiediamo
al Signore, allora, di aiutarci ad essere più lieti dell’appartenere a Lui e
del vivere la vita eterna già adesso: cambierà il nostro modo di guardare al
tempo, alle persone, alle contrarietà che spesso ci intristiscono e ci impediscono
di vivere in pienezza quello che possiamo vivere come esperienza di gioia.
Chiediamo al Signore che in questo tempo d’estate, quando i ritmi si
rallentano, quando facciamo esperienze straordinarie, possiamo dare anche un
po’ di carica alle nostre forze fisiche perché poi nella quotidianità del tempo
sappiamo mettere a frutto tutto ciò che è posto nelle nostre mani come risposta
al suo amore.
Allora,
ne sono certo, noi saremo di Cristo e chi ci incontra sarà lieto di
incontrarci, anche chi non condivide delle esperienze di Fede, perché vedrà
delle persone contente, e di persone contente ne abbiamo veramente tanto
bisogno.
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