25 dicembre 2015 - Messa del giorno


Ho ascoltato come voi tante volte questo brano di Vangelo, ma in questo giorni e in particolare in queste ore c’è una parola che mi ha colpito: avvolse. L’ho sempre letta in riferimento a questo gesto di tenerezza, di premura che è caratteristico di una mamma, quello di custodire il suo bambino. Maria, che non ha trovato un luogo più adeguato - non perché non l’avesse cercato ma perché non le è stato offerto - mette il suo bambino in un luogo per noi indegno ma lo avvolge con delle fasce per proteggerlo. Pensiamo, le avrà preparate prima di partire, come fa chi è previdente e pensa a cosa sarà, sapendo bene che questo viaggio da Nazareth fino a Betlemme, oltre a esser un viaggio lungo e faticoso e incerto, si sarebbe compiuto con la nascita del Bambino. Lo avvolge in fasce, lo mette in una mangiatoia: è un gesto importante, viene ripetuto due volte in un brano così breve per dire che la tenerezza di Maria è un dato fondamentale insieme alla custodia di Giuseppe; la tenerezza di una donna che accoglie nel mondo la presenza di Dio. Dio che non fa finta di essere uomo, lo è veramente. Assume tutta l’umanità nel segno della più grande fragilità che è quello di essere bambini.
Questa parola, avvolse, viene utilizzata anche per dire la presenza di Dio che si comunica ai pastori «la gloria del Signore avvolse di luce i pastori». C’è un legame fortissimo tra la tenerezza di Maria e la gloria, la presenza di Dio. C’è un invito fortissimo a sentire come ogni volta che noi esprimiamo nella nostra vita i gesti di amore, di tenerezza, di bontà, noi diciamo la gloria del Signore. Basterebbe questo per essere lieti di celebrare questa sera l’Eucaristia e di vivere questo Natale, perché ci colma di speranza e ci toglie lo sguardo da ciò che continuamente ci viene detto essere brutto. Ma tutti voi, tutti noi possiamo compiere dei gesti di tenerezza: chi tra voi è madre di un bambino piccolo lo può fare con immediatezza, ma tutti, anche chi non ha ricevuto in dono la paternità o la maternità può dare ai suoi gesti la carica, la qualità, la caratteristica della tenerezza ed è un modo concreto per tradurre quella parola “misericordia” che ci viene costantemente, continuamente annunciata in questo tempo e che in questi mesi sentiremo ancora spesso visto che è legata fortemente a questo evento straordinario del Giubileo. Vivere gesti di tenerezza, di accoglienza, di bontà come atteggiamento di fondo, come volontà che ci caratterizza indipendentemente da quello che ci ritorna, da quello che ci guadagniamo sapendo che nel momento in cui faccio il bene, questo è di più del mio gesto, si propaga, si diffonde in modo che io stesso non posso nemmeno immaginare. La dolcezza di Maria nei confronti di Gesù diventa il segno per i pastori: «vedrete un bambino avvolto in fasce». Ciò che stupirà quegli uomini, abituati a vivere duramente, a spendere la notte nel custodire il proprio gregge che è il proprio tesoro, è il gesto di tenerezza nel quale vedranno l’inizio di una storia che non comprenderanno subito ma che inizieranno a raccontare come evento che ha cambiato la loro vita e, che non sanno, cambierà la vita di tutta l’umanità, anche di coloro che sono distratti, di coloro che con Dio sono arrabbiati, di quelli che vivono bene - dicono - senza di Lui. 
Noi oggi siamo qui come il pastori, veniamo qui per vedere un segno, è un segno fragile, piccolo, estremamente quotidiano eppure se lo guardiamo bene, con attenzione, con stupore, è capace di rinnovare in noi fiducia, speranza e di suscitare in noi il desiderio di una vita concreta d’amore.
L’augurio che ho fatto a tutte le comunità radunate durante l’Eucaristia è quello che avevo scritto durante la visita alle famiglie. Questa tenerezza di Dio, questa misericordia di Dio, questa gloria del Signore la possiamo tradurre nella quotidianità dei nostri gesti. L’ho raccolta attorno a tre atteggiamenti, a tre parole, a tre verbi. 
La prima è il salutare. La prima cosa che facciamo quando qualcuno non ci va a genio è togliere il saluto, ma Gesù ci dice che “se salutate solamente quelli che vi salutano che cosa fate di straordinario? Fanno così anche quelli che non conoscono Dio”. Allora il salutare come il gesto dell’accoglienza, io saluto e dico a te “so chi sei” o meglio ancora “anche se non ti conosco, mi sono accorto di te”, non chiudo la porta.
La seconda parola è interessarsi che è diverso da impicciarsi. Siamo in una cultura dove tutto è messo in piazza, dove tutti vanno a raccontare delle loro storie, dei loro litigi, delle loro controverse ma poi è difficile prendersi cura dell’altro. Maria, invece, ci insegna a prenderci cura, ad avere un atteggiamento carico di tenerezza: nella misura in cui ci è possibile, interessiamoci degli altri, stiamo dentro la vita degli altri, offriamo quello che possiamo sapendo bene che non possiamo risolvere tutto i problemi, che non siamo noi quelli che cambiano la vita, ma possiamo accompagnarla, possiamo stare accanto.
L’ultima parola è benedire. Usiamo solamente parole bene-dette perché se non possiamo dire bene è meglio tacere. Benedire. È la stessa cosa che Dio fa su ciascuno di noi, ci guarda e dice “io sono contento che tu ci sia, non posso immaginare la mia vita senza di te”. Noi probabilmente non arriveremo a tanto ma almeno facciamo in modo che le  nostre parole siano benedette. Allora, credo che anche in questo concretizzare in maniera semplice il Vangelo possiamo sentire di più la presenza di Dio, la gloria del Signore, sentire che questa luce che viene nel mondo, che avvolge tutto l’universo, che è senso unico e definitivo della storia, è bene, che non siamo qui per caso o per abitudine ma perché vogliamo credere veramente che Gesù è il Signore, che è la Luce del mondo, che è capace di dissipare tutte le tenebre della nostra storia e del mondo intero, che è la risposta a tutte le domande, altrimenti capite che essere qui non ci giova a nulla.

Chiediamo allora gli uni per gli altri la grazia di vivere questa Eucaristia con questo atto di fede, con questa speranza rinnovata decidendo che la nostra carità sia concreta, nei gesti di tutti i giorni che sono quelli del salutare, dell’avere cura degli altri e di dire sempre parole buone.

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