19 giugno 2016 - V domenica dopo Pentecoste



C’è dunque qualcuno che può essere escluso dalla salvezza? Quando parliamo di “salvezza” che cosa intendiamo? Cosa significa per me essere salvo?
Far coincidere la salvezza unicamente con il paradiso ci limita molto, perché il paradiso non è qui, adesso. Ci si potrebbe chiedere il perché di tanta fatica allora… La salvezza è un’esperienza che vivo già qui, ora, che certo mi apre le porte per una felicità eterna ma che non può essere come una sospensione, un’attesa per alcuni lunga, per alcuni tormentata, per altri più lineare…
La salvezza non deve essere solo un’esperienza dopo la morte, ma deve riguardare anche questo momento, anche questa celebrazione che sto vivendo. 
Qualcuno può rimanerne escluso? La Parola di Dio di oggi ci rivela tre momenti che si legano poi tutti insieme. Innanzitutto, la più grande preghiera di intercessione di Abramo, il padre nella fede, lui intercede per un popolo di pagani. Non sono credenti nel Dio che lui sta imparando a conoscere ma sente quella profonda comunione con l’umanità che lo rende il padre di tutti i credenti e allora davanti alla possibilità di salvare quel popolo mette la sua faccia, mette la sua voce, intercede cioè sta in mezzo a quella situazione, cerca di trovare il modo perché questa realtà non accada. Sappiamo bene che il popolo d’Israele legge gli eventi alla luce della volontà di Dio. Sodoma e Gomorra sono queste due città che vivevano un’esperienza di paganesimo e vengono scelte da parte di Israele come simbolo della negazione di Dio: una sciagura, un terremoto, un evento straordinario li distrugge e così Israele legge questo evento come una punizione divina.
Intanto, in questa situazione, Abramo si pone come colui che intercede, come colui che vuole, che desidera che ognuno uomo conosca la presenza di Dio, che sia salvo. 

Allora, salvezza è riconoscere la presenza quotidiana di Dio nella mia storia. Sono salvo quando una sola parola, come diciamo prima dell’Eucaristia, giunge al mio cuore e diventa la mia vita. Io riconosco che Dio è qui, in mezzo a noi, è presente nella mia vita. Questa intuizione guida i miei passi, le mie parole, le mie scelte, i miei sogni, i miei progetti e fa in modo che la mia vita sia un andare incontro al compimento dell’esistenza: l’incontro con Lui. Questa salvezza, ci dice Paolo, è possibile perché chi come Abramo ha vissuto nella fede, vi accede. È la fede la chiave che permette di entrare nel mistero della storia, credere profondamente nella presenza di Dio, credere nella sua fedeltà, nella sua provvidenza, credere che questa realtà così confusa come quella che viviamo noi oggi non è abbandonata al male ma che c’è un bene sempre più grande, che però va raccontato, va presentato altrimenti facciamo il gioco di chi ogni giorno ci martella con tutte queste notizie negative e ci toglie quelle esperienze di salvezza quotidiana che certo non possono cambiare la storia di tutto l’universo ma possono ambiare la mia storia e renderla più luminosa, più capace di distribuire e diffondere il bene. Non basta, ci dice il Vangelo, che noi pensiamo di essere con Gesù, «Non so di dove siete» oppure questi dicono “abbiamo mangiato con te, ti abbiamo visto nelle nostre piazze, abbiamo celebrato l’Eucaristia, tu attraverso i tuoi sacerdoti ci hai fatto giungere la tua parola”…. «Non so di dove siete»: perché? Perché la fede è cogliere tutto quello che noi celebriamo e renderlo vita, quotidianità, scelte concrete. Fino a quando quello che accade qui dentro rimane un’esperienza più o meno bella, più o meno sentita, più o meno partecipata, ma uscendo da quella porta non diventa il nostro agire quotidiano allora la salvezza rimane una parola vuoti. Tanti uomini e tante donne attendono invece che qualcuno riempia la loro vita di una parola autentica, di una parola che cambia il cuore, che lo rende accogliente, buono, giusto. Non vogliamo essere tra coloro che compiono ingiustizie: la giustizia è l’azione di Dio, l’ingiustizia è andare contro Dio. Vogliamo anche noi essere tra coloro che il Signore lo incontrano veramente. Lo facciamo a partire da questa Eucaristia, mentre iniziamo a preparare il cuore alla festa patronale che accompagnerà gli ultimi giorni della Comunità di Beregazzo dedicata ai Santi Pietro e Paolo. Il nostro ritrovarsi intorno al Signore, nell’amicizia e nella condivisione del gioco e del cibo, ci permetta di conquistare la consapevolezza che insieme, camminando insieme, avendo a cuore di guardare nel volto degli altri e di vedere la presenza del Signore, noi possiamo arrivare alla salvezza, che non è solamente nella vita eterna. Quando un uomo fa veramente esperienza di Dio, vive una profonda pace e sa che in ogni realtà certo farà fatica ma non sarà mai solo. È l’augurio che ci rivolgiamo gli uni gli altri in questo inizio del tempo dell’estate: vogliamo che il nostro core, la nostra fede non vada in vacanza ma sia sempre alla ricerca di ciò che permette di essere come Abramo capaci di vedere l’invisibile. Allora anche noi, così come siamo, saremo strumenti attraverso i quali il Signore rivelerà ai nostri fratelli la sua presenza e noi saremo veramente suoi testimoni.

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