11 settembre 2016 - II domenica dopo il martirio di San Giovanni

Sappiamo bene che facciamo più volentieri, con più dedizione e attenzione, cura, fedeltà, le cose che amiamo. Poi siamo chiamati a fare anche tante attività che non amiamo. Ma ci rendiamo conto come questa cosa semplice ci accompagna nella vita. Esserne persuasi o consapevoli ci aiuta perché ci permette di capire come mai a volte altre realtà le tralasciamo, le rimandiamo…. Inoltre, sappiamo bene che siamo disposti a compiere delle attività, dei lavori, delle mansioni e anche delle obbedienze più volentieri se la persona che abbiamo davanti è una persona che amiamo o dalla quale ci sentiamo amati.
Questo è importante perché ci aiuta a capire cosa vuole dirci il Signore oggi attraverso questa piccola parabola, chiede il nostro parere: «Cos’è giusto?». Quelli che lo ascoltano rispondono bene perché «è giusto fare quello che il Padre chiede» anche se inizialmente abbiamo mostrato della resistenza, anche il rifiuto. A volte invece ci pare di essere un po’ di più come il secondo figlio, diciamo “sì” e poi ci dimentichiamo. L’invito di Gesù è quello di considerare come nel rapporto con lui, nel rapporto con Dio, ciò che è decisivo è l’amore che noi mettiamo in quello che facciamo. Possiamo fare tante cose religiose, possiamo fare tante cose di chiesa ma se non arrivano al cuore, se non nascono dal cuore, non ci cambiano. È vero che è già molto decidere di venire qui, oggi, a quest’ora per celebrare l’Eucaristia ma è anche vero che nella misura in cui in questo gesto metto tutto me stesso allora anche la ripetitività dei gesti, anche il fatto di dire sempre le stesse parole, mi cambieranno. Se invece il mio atteggiamento è quello di stare qui passivo, se è l’atteggiamento di chi subisce questo momento, senza togliere nulla alla grazia di Dio, sarà più difficile che il mio cuore si trasformi sempre di più in quello che il Signore mi chiede perché è il mio bene.
Dio non si stanca della nostra incapacità a metterci tutto il cuore. Nella prima lettura abbiamo ascoltato questa immagine molto bella, nella quale Dio dice al suo popolo «cosa potevo fare di più?». È un po’ come chi cura il proprio giardino e fa di tutto per metterlo in ordine, per creare tutte le condizioni ma poi non cresce alcun frutto e si chiede “cosa devo fare di più?”. Dio non punisce il suo popolo abbandonandolo. Dio continua a trovare strade nuove per averne maggiore cura. Dio fa così con noi ma la possibilità che noi abbiamo di rendere speciale l’Eucaristia come ogni momento che noi dedichiamo al Signore sta nel fatto che noi intuiamo che prima di tutto noi siamo amati, siamo perdonati, siamo riconciliati.
È quello che Paolo ci dice nella lettura che abbiamo ascoltato. Lui ha fatto un’esperienza straordinaria di essere perdonato e arriva a dire queste parole che concludono la lettura: «Questa vita che io vivo nel corpo la vivo nella fede del Figlio di Dio che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me». Questa è un po’ la meta del nostro cammino: vivere una vita nella fede del Figlio di Dio, che si è rivelato a me non dicendomi cosa devo fare, non è un manuale di buona educazione il Vangelo, non è un testo di etica pratica, non è un mansionario che mi dice come districarmi nella vita. Il Vangelo è uno stile di vita ed è quello di Gesù. La possibilità che tutto quello che faccio, anche piccolo, sia orientato a lui è decisiva nella misura in cui mi sento amato.
Settimana scorsa la Chiesa ha vissuto questo grande momento di presa di coscienza di una santità, che è già molto diffusa tra tanti fedeli del popolo di Dio, di una piccola donna che dice che non è nelle tante cose che faccio che sta il bene, il mio bene, ma nell’amore che metto anche nelle piccole cose.
Allora cosa possiamo chiedere al Signore per noi in questa Eucaristia? Che le scelte che compio di preghiera personale, di preghiera comunitaria, i momenti ai quali cerco di aderire siano maggiormente risposta a un amore che ho sperimentato. Questo amore lo sperimento solamente quando mi sento perdonato. Gesù infatti dice: «A colui al quale è perdonato molto, molto cresce in amore», perché nella consapevolezza che così come sono sono apprezzato, stimato e amato allora io sento l’urgenza di rispondere a questo amore, ma se sono sempre nella presunzione di essere giusto, di non aver bisogno del perdono, di non aver bisogno mai di chiedere scusa, di dire al Signore “ma cosa vuoi tu nella mia vita?” allora il rischio è che anche quel gesto che compiamo ripetutamente non arrivi al cuore e non ci cambia. Che il Signore ci aiuti, allora, a vivere questa nostra domenica e questa settimana in un abbandono fiducioso che è anche la strada di santità di molti uomini e donne che hanno compreso che ciò che è decisivo è mettere al centro della propria vita Cristo in ogni momento della giornata, domandandosi “cosa farebbe Gesù al mio posto in questo momento? Che cosa direbbe? Che scelta farebbe?” e nel cercare di imitarLo scoprire che questo ci porta sempre di più in profondità in una comunione che rende, anche le cose che facciamo sempre, anche le attività che si ripetono stancamente, il luogo dove io vivo la mia più profonda comunione con il Signore e la mia santificazione. In fondo, la fedeltà è uno dei doni più belli di Dio e questa fedeltà è possibile unicamente se prima io ho scoperto che questo Dio che mi chiama a compiere le azioni, prima di tutto, mi abbraccia sempre con la sua benevolenza, il suo amore e il suo perdono.

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