4 dicembre 2016 - IV di Avvento



Ma se stiamo aspettando qualcuno, chi stiamo aspettando?
Diciamo che l’Avvento è il tempo dell’attesa del Signore. Che Signore stiamo attendendo? I bambini possono raccontarci dei loro sogni di bambini e dei racconti che noi grandi facciamo loro. Noi gli parliamo di Gesù Bambini e facciamo fatica a fargli capire che Gesù è venuto nella storia e che questo Natale è per noi - e per loro - memoria del fatto che Gesù viene sempre, in ogni istante; facciamo fatica a fargli capire che noi prepariamo questo momento con tanta cura perché non vogliamo abituarci al fatto che Lui venga sempre nella nostra storia.
Ma ai nostri ragazzi, ai nostri giovani cosa diciamo? Chi stiamo aspettando? Perché vale la pena aspettarlo, dedicare tempo, attenzione, cura, come di ogni attesa?
A tanti adulti cosa diciamo? A quelli che incontro ogni giorno nella visita alle famiglie di questo tempo, estranei a un cammino di fede legato alla comunità cristiana: chi stanno aspettando?
Poi ci sono gli anziani e i malati…. e c’è differenza tra loro. Un signore mi diceva «un conto è essere anziani, un conto è accettare di essere malati»: chi stiamo aspettando?
Il Signore viene, lo abbiamo ascoltato anche in questo Vangelo posto in modo insolito all’interno del tempo di Avvento. Un Vangelo che ci ricorda la volontà di Dio di entrare nella nostra storia, nelle nostre città, nei nostri cuori. Quel voler essere partecipe della vita di tutti, non un estraneo, non uno che viene e cala dall’alto i suoi comandamenti, i suoi ordini, i suoi precetti. Davvero stiamo aspettando il Signore Gesù? Il Re della Giustizia e della pace? Così come abbiamo ripetuto più volte nel Salmo.
Giustizia e pace sono caratteristiche fondamentali del Messia, di Cristo ma sono anche responsabilità per tutti coloro che vogliono e dicono di essere cristiani. Il giusto nel linguaggio della Bibbia è colui che agisce come agisce Dio. L’uomo giusto è colui che osserva i comandamenti di Dio. Capiamo che questo ci impegna immediatamente. Tutti noi abbiamo il dovere di domandarci “ma davvero voglio che il Natale sia esperienza mia personale di una rinnovata adesione al Signore nella scelta di osservare le sue parole? È questo per me il Natale? È questo per me l’Avvento che prepara il Natale?”.
C’è poi la pace, che è la somma di tutti i doni di Dio. Quando Gesù incontra i suoi amici per la prima volta la sera di Pasqua dice «Pace a voi» e non è una parola casuale. Pace racchiude tutta la grazia di Dio che si è manifestata nella Risurrezione; pace è una parola che non è solamente assenza di conflitti ma è partecipazione del mistero trinitario di Dio, che è un mistero d’amore così grande che non lascia spazio a nessuna forma di contesa e di odio ma che è anche impegno a vivere tutta la vita cercando di creare comunione.
Chi stiamo aspettando? Quale Signore? Quale volto di Dio abbiamo nel cuore e stiamo aspettando? È importante per noi chiedercelo a poche settimane dal Natale perché corriamo, altrimenti, il rischio di essere travolti, soprattutto in queste ultime settimane dove per tutti necessariamente iniziano a profilarsi giorni in cui inseguire tante realtà buone ma esteriori, periferiche del Natale. Se non custodiamo un punto fermo, un nucleo caldo della nostra esperienza di Fede corriamo il rischio di arrivare a Natale dicendo “è già passato Natale…” senza che si risvegli in noi il desiderio di una vita cristiana che sia testimonianza innanzitutto per noi stessi, e non solo per gli altri. Nel momento in cui incontro veramente il Signore, lo riconosco nel gesto umile del venire nella mia casa non con forza ma con mitezza, non cavalcando il destriero del comandante, ma l’umile cavalcatura del re nel tempo di pace, io cambio sguardo su di me e scelgo di vivere il momento della riconciliazione in modo preparato, consapevole. E non mi sento giudice nei confronti degli altri, della loro fragilità, del loro peccato, della loro incapacità ad accogliere il Signore. Mi sento, invece, fratello, prossimo, colui che porta-con-sè, che accompagna senza avere la pretesa di essere davanti a guidare ma di fianco perché possa essere consolazione.
«Consolate, consolate il mio popolo» e noi che siamo di Cristo in questo tempo abbiamo il compito non tanto di metterci nel coro dei lamentosi, dei disperati, di coloro che continuano a rimpiangere un passato che non ci sarà più, siamo chiamati a consolare, a stare con chi è solo per annunciare un Vangelo di un Dio che sceglie di abitare ancora questa terra, che sceglie di venire e entrare nelle nostre città, in questo mondo. Come Lui ha scelto di avere un corpo per testimoniare attraverso i suoi gesti, le sue parole, fino al dono della vita che cosa significhi essere in comunione con il Padre anche noi, tutti noi, possiamo essere capaci di questa testimonianza in forza dello Spirito che abita in noi e che si ravviva ogni volta che noi celebriamo i Sacramenti di Dio, come l’Eucaristia di questa sera.
Chi stiamo aspettando? Questa sera proviamo a rispondere a questa domanda perché la giustizia e la pace che il Signore porta abitino sempre di più il nostro cuore e perché il nostro partecipare alla Messa, all’Eucaristia sia davvero l’occasione nella quale ascoltare la parola, rivivere i gesti dell’amore per farli sempre di più nostri. Allora saremo capaci di uno sguardo diverso su di noi e sul mondo, saremo uomini e donne di consolazione e il mondo sa di avere bisogno di uomini e donne così.
Chiediamo al Signore che questa quarta domenica di avvento e questa settimana nel cuore di questo tempo diventi l’occasione per ripartire, e se ci siamo distratti nel primo tratto, riprendiamo in mano il percorso, ridefiniamo la nostra regola di vita, guardiamo alla meta con il desiderio di accogliere il Signore Gesù mettendo in gioco noi stessi.

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