23 aprile 2017 - II di Pasqua


«Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto»: Gesù parla di noi e noi ci domandiamo se davvero siamo lieti, beati, contenti di essere qui questa mattina; se davvero siamo lieti di essere coloro che voglio essere discepoli del Signore. Ci domandiamo se davvero siamo contenti che lui sia il Signore Risorto, il Crocifisso Risorto.
Nel Vangelo di Giovanni vedere è uguale a credere: noi non abbiamo visto però siamo qui perché abbiamo ascoltato l’annuncio della Pasqua, altri prima di noi ci hanno detto «abbiamo visto il Signore», altri ci hanno ripetuto «il Crocifisso, il Signore Gesù è risorto!». Per questo motivo noi siamo qui: “siamo contenti di essere discepoli del Signore?”.
Il primo saluto che Gesù rivolge ai suoi amici, gli stessi che lo avevano abbandonato nel momento più importante della sua vita (quando proprio si ha bisogno di essere difesi, accompagnati da coloro da quali ti aspetti maggiore sostegno, gli amici), è «pace a voi». Questa parola “pace” è il segno, è la parola che raccoglie tutti i doni del Messia, tutto ciò che può donare Gesù lo dona attraverso questa parola e attraverso un gesto: soffia su di loro quello stesso Spirito che lo aveva sostenuto, lo stesso Spirito che emise nel consegnarsi pienamente al Padre sulla Croce. Lo Spirito che lo aveva sostenuto nel cammino della vita e che gli aveva permesso di stare saldo di fronte all’atrocità del supplizio della Croce. Questo Spirito è subito legato a un’esperienza di perdono, a ricordarci che Gesù ci ha rivelato il volto di Dio, del Padre, che è misericordia.
Noi oggi lo ricordiamo in modo speciale in questa domenica che San Giovanni Paolo II ha voluto domenica della Divina Misericordia: come Gesù ha confidato nel Padre, così noi siamo chiamati a confidare in Gesù, vero volto del Padre che nello Spirito ci accompagna nel cammino della vita.
Gesù non rimprovera i suoi amici, non fa loro una predica nel senso più brutto del termine, ma dice «pace» e li esorta ad andare, non più da soli ma con la forza dello Spirito, con questa presenza di Dio in loro. Abbiamo ascoltato nella prima lettura come questo Spirito renda forti Pietro e Giovanni tanto che i farisei, i sommi sacerdoti rimangono stupiti che proprio per mezzo di due sempliciotti, due pescatori sia accaduto un segno evidente. Prima c’era un maestro, un ‘sedicente’ Messia che veniva dalla Galilea, da un paese insignificante, compiva gesti straordinari, tante persone lo seguivano e loro lo avevano ucciso…eppure nel Suo nome accadono segni evidenti. Questo Gesù allora forse non è davvero un ciarlatano!
Tra i discepoli manca uno, in quel cenacolo di paura dove si nascondono perché hanno paura di finire come Gesù - si ricordavano anche di ciò che Lui aveva detto «se trattano così il legno verde, che cosa faranno del legno secco?» - manca l’incredulo, il dubbioso, Tommaso, che poi apparirà coraggioso perché va e viene, sembra non avere paura. Tommaso è onesto, ci assomiglia tanto: «se non vedo, se non tocco non credo». Quante volte anche noi abbiamo detto al Signore “se non mostri la tua presenza non ci credo” in qualche passaggio difficile della vita, soprattutto nella sofferenza, nella malattia; quante volte abbiamo detto “tu non mi vuoi bene perché non mi aiuti, perché non mi sostieni, perché non rispondi alla mia preghiera. Se non vedo non credo”. Quante volte anche noi abbiamo messo in dubbio la presenza di Dio proprio nel momento in cui ci sembrava di essere abbandonati, dimenticando l’esperienza dolorosa della croce che lui stesso ha vissuto. Anche a Tommaso Gesù non rivolge una parola cattiva, di disprezzo. Rimane lì, nella sua fatica di credere, lo accompagna nella sua fatica ad affidarsi e Lui, che si è completamente affidato al Padre, si fida ancora anche di Tommaso e gli dice «
Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo ma credente!» e Tommaso esprime la sua fede con delle parole che potremmo utilizzare ogni volta che facciamo la genuflessione, ogni volta che ci mettiamo in ginocchio davanti al Signore «Mio Signore e mio Dio». Poche parole per dire la volontà di confidare, di affidare la nostra vita al Signore.
Oggi noi nella fede che ci accomuna accogliamo questo nostro fratellino, Alexander David, e nella fede dei suoi genitori, del padrino e della madrina, di tutti noi chiediamo al Signore che inizi una vita nuova nello Spirito. Questo bambino è già amato da Dio - sarebbe assurdo credere in un Dio che non ama le sue creature - ma oggi prendiamo coscienza, ci rendiamo conto di quello che sta accadendo nella vita di questo bambino. Cresce, i genitori lo accompagnano in tutti i passaggi che caratterizzano il suo diventare grande e scelgono oggi di aiutarlo anche attraverso l’esperienza della fede, hanno intuito che l’incontro con Gesù non è un accessorio alla vita ma è una possibilità perché questa vita sia vissuta in modo autentico. Loro ci mettono la propria esperienza di fede, hanno chiesto di essere sostenuti da persone che hanno scelto, tutta la Comunità si fa carico di questo nella preghiera, innanzitutto, nell’amicizia e nella stima, ma anche nella testimonianza. Questo bambino ha bisogno di vedere che ci sono degli adulti, in questa comunità, che vivono il Vangelo e sono contenti di viverlo.
«Beati quelli che pur non avendo visto hanno creduto». Noi oggi facciamo corona intorno a lui: lo accogliamo e nei segni del battesimo che ora vivremo, riviviamo anche il nostro battesimo e chiediamo al Signore di avere il coraggio di viverlo autenticamente e di essere lieti di aver ricevuto la possibilità di essere suoi testimoni. Lo facciamo partendo proprio dai segni e dalle parole che ci sono state consegnate nella Scrittura e nella Chiesa perché possiamo credere che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché credendo possiamo avere tutti la vita nel suo nome.

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