Giovedì Santo - Celebrazione nella Cena del Signore
«Così non siete stati capaci di vegliare con me una sola ora»: questa parola di Gesù continua a stare fissa nella mia mente e nel mio cuore in questo inizio di Triduo Pasquale. L’ho detto tante volte in questi giorni, anche a voi, che questo è il cuore di tutto l’anno, sono i giorni più importanti dell’anno. Chiamiamo questi giorni “autentici” per dire che sono così veri che niente li può mettere in dubbio, per dire che il modo in cui viviamo questi giorni dice il modo in cui viviamo il nostro rapporto con Dio.
Arrivo a questi giorni con la percezione forte di non aver vegliato neppure una sola ora.
Mi sento di somigliare ai bambini quando vengono alla Messa e si annoiano perché le letture sono lunghe e difficili, perché non fanno niente, perché la predica non li coinvolge, perché spesso non conoscono neppure i canti che vengono proposti. Così quell’ora diventa faticosa ed è difficile intuire che quella celebrazione, l’Eucaristia, è il cuore della settimana, è il cuore della vita, è la fonte della gioia.
Mi sento un po’ come i ragazzi: il passaggio alle medie inizia a consegnare loro un po’ di autonomia e anche qualche sfida nei confronti soprattutto dei genitori, non tutto quello che viene detto loro è così chiaro, accettabile; iniziano a contestare, a dire “mah, è proprio così?”. Allora, se prima più o meno docilmente venivano alle celebrazioni, alla Messa, adesso c’è qualcuno che inizia a prendere le distanze: “a cosa serve? A cosa serve questo momento se non mi lascia nulla, se non mi entusiasma, se non mi appassiona, se non mi riempie il cuore di gioia o di qualche emozione?”. Così mi sento come i ragazzi che non comprendono che l’Eucaristia, ogni Eucaristia, è la possibilità di iniziare a conoscere Qualcuno, l’unico che ha la pretesa di dare un senso alla vita. Così si rischia di perdere di vista in questo tempo straordinario colui che vuole essere unicamente un Vero Amico.
Mi sento un po’ come gli adolescenti per i quali il tempo non è proprio quello cronologico, per cui li possiamo trovare ore e ore attaccati a un telefonino, senza parlare in realtà con nessuno ma avendo la percezione o il desiderio forse, di avere qualcuno che li ascolti. Anche per loro l’Eucaristia è diventata un peso: sì, alcuni ce la fanno a tenerla presente nella propria settimana, ma appena si può va in secondo piano, c’è altro da fare perché ci sono gli amici, lo sport, lo studio che capita sempre in quel momento lì mentre gli altri sono tutti buoni per fare altro…. Mi sento come gli adolescenti che hanno il desiderio di capire qualcosa di quello che funziona e non funziona nella loro vita, che a volte fanno anche memoria di qualche parola buona e di qualche esperienza positiva ma che si sentono sempre un po’ incompiuti. Così un’ora per il Signore è un’eternità.
Ma anche i giovani mi parlano di questa ora mancata. Sì, perché iniziano a costruire qualche progetto che viene costantemente frustrato dalla fatica di vivere o dal fatto che tutti dicono che tanto non c’è futuro - almeno in Italia. Così passa l’idea che non è importante impegnarsi: perché studiare se poi non si può realizzare nulla di quello che si sogna, di quello che si desidera? Cosa centra Gesù che non fa niente per darmi un futuro? Mi sento come quei giovani che hanno fatto magari anche un percorso, hanno vissuto l’Oratorio, qualche gruppo di catechesi, hanno partecipato a qualche momento importante come la Giornata Mondiale della Gioventù oppure a qualche evento ma che poi dicono “beh, un’ora per uno che non dà nessuna prospettiva?!”.
Ma anche gli adulti spesso sento, perché sono adulto con loro, che fanno fatica a dare un’ora di tempo per il Signore. C’è sempre qualcosa da fare, abbiamo sempre qualcosa di più importante da fare. Fare. Questo è quello che ci viene chiesto: produrre, fare. Stare in silenzio, ascoltare, pregare, entrare in intimità: tutto questo è roba o per bambini o per vecchi. Gli adulti devono fare. I papà che hanno la responsabilità - la maggior parte di loro - di portare a casa il necessario per vivere e le mamme che si fanno in due, tre quattro, cinque, sei, per loro il tempo non è mai sufficiente, tanto che trovare un’ora per stare in silenzio è come un mese di vacanza.
Ci sono poi coloro che iniziano a guardare al compimento della propria vita, quelli che non sono vecchi ma non sono neanche più giovani. Hanno in mente Messe diverse da quelle che celebriamo oggi, non è detto che fossero migliori, c’era sicuramente un po’ più di gente, ci si conosceva anche un pochino di più. La Messa era un momento di incontro: ci si parlava, ci si raccontava. Non si era estranei gli un agli altri e quell’ora diventa sempre un po’ di più perché ci si fermava a parlare fuori di quello che era accaduto, delle malattie, del lavoro, delle fatiche, dei figli, delle suocere. Un’ora era più che sufficiente per celebrare la Messa ma diventa un momento per stare insieme. Ora non c’è più tempo neanche per questo: si viene e si va e non ci si racconta mai, non ci si incontra mai e l’Eucaristia non è il luogo della comunione.
Ci sono poi coloro che non riescono più a venire a Messa, i nostri anziani, i nostri malati. In questi giorni uno di loro mi ha detto «quando guardo la Messa alla televisione mi sembra di essere al cinema: come mi manca venire in Chiesa!» e non è importante che quella Messa venga trasmessa da San Pietro o da qualsiasi altra parte del mondo perché ciò che manca è il contatto con le persone, è la possibilità di incontrare il Signore anche nel volto di chi ogni giorno faticosamente cerca di trovare almeno un’ora per stare con Lui.
«Così non siete stati capaci di vegliare con me una sola ora. Vegliate e pregate per non entrare in tentazione. Lo spirito è pronto ma la carne è debole».
Allora questa sera all’inizio del Triduo, credendo fortemente che questi sono i giorni più importanti dell’anno, credendo realmente che sono matrice di tutto il tempo che ho a disposizione, io chiedo al Signore per i nostri bambini la gioia di incontrarlo, non solo quanti riceveranno la Prima Comunione fra poche settimane ma tutti. Chiedo poi che i ragazzi rimangano contagiati dall’amore del Signore attraverso la testimonianza di chi è più grande - adolescente, giovane - e ha potuto fare esperienze vere e reali della presenza del Signore e che diventa non solo “quello più grande” ma anche colui che annuncia, che fa vedere, che mostra che credere nel Signore è una realtà buona, è una realtà bella, che riempie la vita.
Prego per gli adulti che sono la chiave di lettura delle nostre comunità cristiane, che sono il cuore perché sono coloro che hanno giù maturato sufficiente esperienza della vita per sapere individuare ciò che è importante e scartare ciò che non lo è, per saper scegliere ciò che viene prima e lasciare indietro ciò che è dopo. Gli adulti sono coloro che possono dare ai nostri giovani una rinnovata speranza, che possono indicare ai più giovani che il futuro lo si costruisce, certo, con la fatica di ogni giorno ma anche scegliendo sempre di più la strada della condivisione e della solidarietà, perché non ci sia nessuna Ninive che venga scartata a priori neppure dagli uomini che si sentono giusti; perché non ci sia nessuno che possa alzare il dito contro un altro perché straniero, perché diverso, perché non ce la fa.
E poi gli anziani che hanno il tesoro della saggezza. Ascoltare chi ha una vita lunga ti insegna molto della vita e anche se non sanno usare il telefonino o il computer, anche se vedono solamente due canali sulla televisione, sanno raccontarti della vita e di quel Dio che è il Signore della vita.
Portiamo qui poi tutti i nostri malati, coloro che vorrebbero avere un’ora per stare in questa Chiesa come in ogni altra chiesa. Li portiamo qui con la stima e l’affetto, con la preghiera chiedendo per loro che la comunione con il Signore sia così profonda che non si abbia paura della morte, perché il passaggio verso quell’intimità e verso quella comunione, cercata in ogni Eucaristia, ci riporta vivo l’amore di Dio per ciascuno di noi e ci rivela oggi e sempre che tutto ciò che è vissuto nell’amore è già nell’eternità.
Che il Signore doni a ciascuno di noi la gioia di riscoprire l’Eucaristia come l’unico luogo dove trovare una profonda comunione con Lui che diventi invito, esortazione, forza, scelta di vivere in comunione fra di noi. Lui, che non smetterà mai di invitarci a vegliare e a pregare e che non smetterà mai di chiamarci “amici” anche quando il tempo non lo troviamo.
Arrivo a questi giorni con la percezione forte di non aver vegliato neppure una sola ora.
Mi sento di somigliare ai bambini quando vengono alla Messa e si annoiano perché le letture sono lunghe e difficili, perché non fanno niente, perché la predica non li coinvolge, perché spesso non conoscono neppure i canti che vengono proposti. Così quell’ora diventa faticosa ed è difficile intuire che quella celebrazione, l’Eucaristia, è il cuore della settimana, è il cuore della vita, è la fonte della gioia.
Mi sento un po’ come i ragazzi: il passaggio alle medie inizia a consegnare loro un po’ di autonomia e anche qualche sfida nei confronti soprattutto dei genitori, non tutto quello che viene detto loro è così chiaro, accettabile; iniziano a contestare, a dire “mah, è proprio così?”. Allora, se prima più o meno docilmente venivano alle celebrazioni, alla Messa, adesso c’è qualcuno che inizia a prendere le distanze: “a cosa serve? A cosa serve questo momento se non mi lascia nulla, se non mi entusiasma, se non mi appassiona, se non mi riempie il cuore di gioia o di qualche emozione?”. Così mi sento come i ragazzi che non comprendono che l’Eucaristia, ogni Eucaristia, è la possibilità di iniziare a conoscere Qualcuno, l’unico che ha la pretesa di dare un senso alla vita. Così si rischia di perdere di vista in questo tempo straordinario colui che vuole essere unicamente un Vero Amico.
Mi sento un po’ come gli adolescenti per i quali il tempo non è proprio quello cronologico, per cui li possiamo trovare ore e ore attaccati a un telefonino, senza parlare in realtà con nessuno ma avendo la percezione o il desiderio forse, di avere qualcuno che li ascolti. Anche per loro l’Eucaristia è diventata un peso: sì, alcuni ce la fanno a tenerla presente nella propria settimana, ma appena si può va in secondo piano, c’è altro da fare perché ci sono gli amici, lo sport, lo studio che capita sempre in quel momento lì mentre gli altri sono tutti buoni per fare altro…. Mi sento come gli adolescenti che hanno il desiderio di capire qualcosa di quello che funziona e non funziona nella loro vita, che a volte fanno anche memoria di qualche parola buona e di qualche esperienza positiva ma che si sentono sempre un po’ incompiuti. Così un’ora per il Signore è un’eternità.
Ma anche i giovani mi parlano di questa ora mancata. Sì, perché iniziano a costruire qualche progetto che viene costantemente frustrato dalla fatica di vivere o dal fatto che tutti dicono che tanto non c’è futuro - almeno in Italia. Così passa l’idea che non è importante impegnarsi: perché studiare se poi non si può realizzare nulla di quello che si sogna, di quello che si desidera? Cosa centra Gesù che non fa niente per darmi un futuro? Mi sento come quei giovani che hanno fatto magari anche un percorso, hanno vissuto l’Oratorio, qualche gruppo di catechesi, hanno partecipato a qualche momento importante come la Giornata Mondiale della Gioventù oppure a qualche evento ma che poi dicono “beh, un’ora per uno che non dà nessuna prospettiva?!”.
Ma anche gli adulti spesso sento, perché sono adulto con loro, che fanno fatica a dare un’ora di tempo per il Signore. C’è sempre qualcosa da fare, abbiamo sempre qualcosa di più importante da fare. Fare. Questo è quello che ci viene chiesto: produrre, fare. Stare in silenzio, ascoltare, pregare, entrare in intimità: tutto questo è roba o per bambini o per vecchi. Gli adulti devono fare. I papà che hanno la responsabilità - la maggior parte di loro - di portare a casa il necessario per vivere e le mamme che si fanno in due, tre quattro, cinque, sei, per loro il tempo non è mai sufficiente, tanto che trovare un’ora per stare in silenzio è come un mese di vacanza.
Ci sono poi coloro che iniziano a guardare al compimento della propria vita, quelli che non sono vecchi ma non sono neanche più giovani. Hanno in mente Messe diverse da quelle che celebriamo oggi, non è detto che fossero migliori, c’era sicuramente un po’ più di gente, ci si conosceva anche un pochino di più. La Messa era un momento di incontro: ci si parlava, ci si raccontava. Non si era estranei gli un agli altri e quell’ora diventa sempre un po’ di più perché ci si fermava a parlare fuori di quello che era accaduto, delle malattie, del lavoro, delle fatiche, dei figli, delle suocere. Un’ora era più che sufficiente per celebrare la Messa ma diventa un momento per stare insieme. Ora non c’è più tempo neanche per questo: si viene e si va e non ci si racconta mai, non ci si incontra mai e l’Eucaristia non è il luogo della comunione.
Ci sono poi coloro che non riescono più a venire a Messa, i nostri anziani, i nostri malati. In questi giorni uno di loro mi ha detto «quando guardo la Messa alla televisione mi sembra di essere al cinema: come mi manca venire in Chiesa!» e non è importante che quella Messa venga trasmessa da San Pietro o da qualsiasi altra parte del mondo perché ciò che manca è il contatto con le persone, è la possibilità di incontrare il Signore anche nel volto di chi ogni giorno faticosamente cerca di trovare almeno un’ora per stare con Lui.
«Così non siete stati capaci di vegliare con me una sola ora. Vegliate e pregate per non entrare in tentazione. Lo spirito è pronto ma la carne è debole».
Allora questa sera all’inizio del Triduo, credendo fortemente che questi sono i giorni più importanti dell’anno, credendo realmente che sono matrice di tutto il tempo che ho a disposizione, io chiedo al Signore per i nostri bambini la gioia di incontrarlo, non solo quanti riceveranno la Prima Comunione fra poche settimane ma tutti. Chiedo poi che i ragazzi rimangano contagiati dall’amore del Signore attraverso la testimonianza di chi è più grande - adolescente, giovane - e ha potuto fare esperienze vere e reali della presenza del Signore e che diventa non solo “quello più grande” ma anche colui che annuncia, che fa vedere, che mostra che credere nel Signore è una realtà buona, è una realtà bella, che riempie la vita.
Prego per gli adulti che sono la chiave di lettura delle nostre comunità cristiane, che sono il cuore perché sono coloro che hanno giù maturato sufficiente esperienza della vita per sapere individuare ciò che è importante e scartare ciò che non lo è, per saper scegliere ciò che viene prima e lasciare indietro ciò che è dopo. Gli adulti sono coloro che possono dare ai nostri giovani una rinnovata speranza, che possono indicare ai più giovani che il futuro lo si costruisce, certo, con la fatica di ogni giorno ma anche scegliendo sempre di più la strada della condivisione e della solidarietà, perché non ci sia nessuna Ninive che venga scartata a priori neppure dagli uomini che si sentono giusti; perché non ci sia nessuno che possa alzare il dito contro un altro perché straniero, perché diverso, perché non ce la fa.
E poi gli anziani che hanno il tesoro della saggezza. Ascoltare chi ha una vita lunga ti insegna molto della vita e anche se non sanno usare il telefonino o il computer, anche se vedono solamente due canali sulla televisione, sanno raccontarti della vita e di quel Dio che è il Signore della vita.
Portiamo qui poi tutti i nostri malati, coloro che vorrebbero avere un’ora per stare in questa Chiesa come in ogni altra chiesa. Li portiamo qui con la stima e l’affetto, con la preghiera chiedendo per loro che la comunione con il Signore sia così profonda che non si abbia paura della morte, perché il passaggio verso quell’intimità e verso quella comunione, cercata in ogni Eucaristia, ci riporta vivo l’amore di Dio per ciascuno di noi e ci rivela oggi e sempre che tutto ciò che è vissuto nell’amore è già nell’eternità.
Che il Signore doni a ciascuno di noi la gioia di riscoprire l’Eucaristia come l’unico luogo dove trovare una profonda comunione con Lui che diventi invito, esortazione, forza, scelta di vivere in comunione fra di noi. Lui, che non smetterà mai di invitarci a vegliare e a pregare e che non smetterà mai di chiamarci “amici” anche quando il tempo non lo troviamo.
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