14 maggio 2017 - Celebrazione delle Prime Comunioni
«Se uno mi ama osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui».
Provo a dirvi quale possa essere il significato di questa celebrazione insieme per questi bambini e per noi attraverso le parole di un racconto.
In un giardino ricco di fiori di ogni specie, cresceva, proprio nel centro, una pianta senza nome. Era robusta, ma sgraziata, con dei fiori stopposi e senza profumo. Per le altre piante nobili del giardino era né più né meno una erbaccia e non gli rivolgevano la parola. Ma la pianta senza nome aveva un cuore pieno di bontà e di ideali. Quando i primi raggi del sole, al mattino, arrivavano a fare il solletico alla terra e a giocherellare con le gocce di rugiada, per farle sembrare iridescenti diamanti sulle camelie, rubini e zaffiri sulle rose, le altre piante si stiracchiavano pigre.
La pianta senza nome, invece, non si perdeva un salo raggio di sole. Se li beveva tutti uno dopo l'altro. Trasformava tutta la luce del sole in forza vitale, in zuccheri, in linfa. Tanto che, dopo un po', il suo fusto che prima era rachitico e debole, era diventato uno stupendo fusto robusto, diritto, alto più di due metri.
Le piante del giardino cominciarono a considerarlo con rispetto, e anche con un po' d'invidia. «Quello spilungone è un po' matto», bisbigliavano dalie e margherite.
La pianta senza nome non ci badava. Aveva un progetto. Se il sole si muoveva nel cielo, lei l'avrebbe seguito per non abbandonarlo un istante. Non poteva certo sradicarsi dalla terra, ma poteva costringere il suo fusto a girare all'unisono con il sole. Così non si sarebbero lasciati mai.
Le prime ad accorgersene furono le ortensie che, come tutti sanno, sono pettegole e comari. «Si è innamorato del sole», cominciarono a propagare ai quattro venti. «Lo spilungone è innamorato del sole», dicevano ridacchiando i tulipani. «Ooooh, com'è romantico!», sussurravano pudicamente le viole mammole.
La meraviglia toccò il culmine quando in cima al fusto della pianta senza nome sbocciò un magnifico fiore che assomigliava in modo straordinario proprio al sole. Era grande, tondo, con una raggiera di petali gialli, di un bel giallo dorato, caldo, bonario. E quel faccione, secondo la sua abitudine, continuava a seguire il sole, nella sua camminata per il cielo. Così i garofani gli misero nome «girasole». Glielo misero per prenderlo in giro, ma piacque a tutti, compreso il diretto interessato.
Da quel momento, quando qualcuno gli chiedeva il nome, rispondeva orgoglioso: «Mi chiamo Girasole». Rose, ortensie e dalie non cessavano però di bisbigliare su quella che, secondo loro, era una stranezza che nascondeva troppo orgoglio o, peggio, qualche sentimento molto disordinato. Furono le bocche di leone, i fiori più Coraggiosi del giardino, a rivolgere direttamente la parola al girasole.
«Perché guardi sempre in aria? Perché non ci degni di uno sguardo? Eppure siamo piante, come te», gridarono le bocche di leone per farsi sentire. «Amici», rispose il girasole, «sono felice di vivere con voi, ma io amo il sole. Esso è la mia vita e non posso staccare gli occhi da lui. Lo seguo nel suo cammino. Lo amo tanto che sento già di assomigliargli un po'. Che ci volete fare? Il sole è la mia vita e io vivo per lui...».
Come tutti i buoni, il girasole parlava forte e l'udirono tutti i fiori del giardino. E in fondo al loro piccolo, profumato cuore, sentirono una grande ammirazione per «l'innamorato del sole».
La pianta senza nome, invece, non si perdeva un salo raggio di sole. Se li beveva tutti uno dopo l'altro. Trasformava tutta la luce del sole in forza vitale, in zuccheri, in linfa. Tanto che, dopo un po', il suo fusto che prima era rachitico e debole, era diventato uno stupendo fusto robusto, diritto, alto più di due metri.
Le piante del giardino cominciarono a considerarlo con rispetto, e anche con un po' d'invidia. «Quello spilungone è un po' matto», bisbigliavano dalie e margherite.
La pianta senza nome non ci badava. Aveva un progetto. Se il sole si muoveva nel cielo, lei l'avrebbe seguito per non abbandonarlo un istante. Non poteva certo sradicarsi dalla terra, ma poteva costringere il suo fusto a girare all'unisono con il sole. Così non si sarebbero lasciati mai.
Le prime ad accorgersene furono le ortensie che, come tutti sanno, sono pettegole e comari. «Si è innamorato del sole», cominciarono a propagare ai quattro venti. «Lo spilungone è innamorato del sole», dicevano ridacchiando i tulipani. «Ooooh, com'è romantico!», sussurravano pudicamente le viole mammole.
La meraviglia toccò il culmine quando in cima al fusto della pianta senza nome sbocciò un magnifico fiore che assomigliava in modo straordinario proprio al sole. Era grande, tondo, con una raggiera di petali gialli, di un bel giallo dorato, caldo, bonario. E quel faccione, secondo la sua abitudine, continuava a seguire il sole, nella sua camminata per il cielo. Così i garofani gli misero nome «girasole». Glielo misero per prenderlo in giro, ma piacque a tutti, compreso il diretto interessato.
Da quel momento, quando qualcuno gli chiedeva il nome, rispondeva orgoglioso: «Mi chiamo Girasole». Rose, ortensie e dalie non cessavano però di bisbigliare su quella che, secondo loro, era una stranezza che nascondeva troppo orgoglio o, peggio, qualche sentimento molto disordinato. Furono le bocche di leone, i fiori più Coraggiosi del giardino, a rivolgere direttamente la parola al girasole.
«Perché guardi sempre in aria? Perché non ci degni di uno sguardo? Eppure siamo piante, come te», gridarono le bocche di leone per farsi sentire. «Amici», rispose il girasole, «sono felice di vivere con voi, ma io amo il sole. Esso è la mia vita e non posso staccare gli occhi da lui. Lo seguo nel suo cammino. Lo amo tanto che sento già di assomigliargli un po'. Che ci volete fare? Il sole è la mia vita e io vivo per lui...».
Come tutti i buoni, il girasole parlava forte e l'udirono tutti i fiori del giardino. E in fondo al loro piccolo, profumato cuore, sentirono una grande ammirazione per «l'innamorato del sole».
Non vi ho raccontato una storia perché non saprei parlare dell’Eucaristia o perché non saprei parlare di Gesù. Vi ho parlato con questa storia perché tutti possano comprendere che quello che accade a questi bambini non è un fatto marginale alla vita, ma può cambiare la loro vita. Invece, noi grandi, che siamo diventati grandi non pensiamo più che il Signore possa cambiare la nostra vita e anche in questo momento c’è qualcuno tra di noi che è qui un po’ obbligato, non è qui con tutto il cuore e così le parole escono come tutti i giorni, senza un motivo. Mentre chi scopre che il Signore centra con la vita sa fare tanto silenzio, sa seguire il sole, ha un progetto: diventare quello che è. All’inizio quella pianta, che sembrava sgraziata e senza nessun futuro si lascia trasformare dal sole, diventa tutt’uno con il sole, ne acquista il nome, sente di assomigliargli anche un po’.
Oggi allora questi bambini hanno l’opportunità di avvicinarsi al sole, hanno la possibilità di diventare un po’ come lui. Anzi, quando noi riceviamo l’Eucaristia, quando diciamo “faccio la comunione” diciamo proprio questo: voglio essere come Gesù, voglio che i miei sentimenti, il mio modo di sentire, il mio modo di vivere sia il più possibile sempre più vicino a quello di Gesù. Sarà lui a trasformarmi.
Per fare questo bisogna essere tenaci, costanti, fedeli. Per questo noi veniamo all’Eucaristia ogni domenica perché ci lasciamo trasformare da Colui che ci chiama per dirci una parola e per mostrarci dei segni che possono trasformare le nostre parole e renderci capaci di compiere gli stessi segni. Per noi non è un precetto celebrare l’Eucaristia, non è un dovere, non è un tributo ma è risposta a un invito «beati gli invitati alla cena del Signore», tanto che oggi questi bambini accoglieranno quello che stiamo per celebrare nella misura in cui con il vostro aiuto, con il nostro aiuto, hanno imparato prima a comprendere quello che ascoltiamo oggi e quello che facciamo oggi. Vale così per tutta la vita, per tutte le cose della vita. Quando ci apprestiamo a vivere una cosa nuova siamo un po’ disorientati, non sappiamo bene come comportarci. Quando ci alleniamo a vivere un’esperienza allora dopo diventiamo anche più sicuri, più certi e sappiamo cogliere quello che altri non riescono vedere. Così vale anche per l’Eucaristia. Così può accadere che oggi non tutti comprendiamo bene quello che stiamo facendo, ma non è una colpa legata all’ignoranza o legata al fatto che non si è nella capacità, nella possibilità di conoscere ma perché è necessaria una volontà, è necessario un amore per poter incontrare Gesù. Lui vuole incontrarci, ci precede sempre ma chiede che noi siamo disposti ad accoglierlo.
L’augurio che facciamo a questi bambini è che questo giorno di festa rimanga nel loro cuore a lungo perché può diventare inizio di un progetto, di una vocazione. E il Signore ha una vocazione per ciascuno, anzi. Come abbiamo detto la settimana scorsa, ciascuno di noi è la sua vocazione. È un’esperienza che scopre di giorno in giorno e il Signore parla anche al cuore dei bambini perché loro possono vedere Dio. Chiediamo oggi che attraverso le emozioni, i sentimenti buoni che viviamo grazie a loro, anche noi possiamo riscoprire come Gesù sia il sole che illumina la nostra vita, che trasforma tutte le nostre intenzioni buone, tutte le realtà buone che abbiamo nel cuore in possibilità di essere benedizione per tutti coloro che incontriamo. In questo giorno, chiediamo a Maria, che abbiamo contemplato ieri nella memoria delle apparizioni a Fatima, che sia Lei a dire ogni giorno a questi bambini e a ciascuno di noi «fate quello che vi dirà, qualunque cosa vi dica fatela». Rimanendo nel Signore noi possiamo veramente dare alle nostre vite una qualità, una bellezza che all’inizio può sembrare sconosciuta ma che tutti potranno riconoscere: questo è il dono più grande che noi possiamo fare a noi stessi e all’umanità. Nessuno di noi è qui a caso. Ciascuno di noi cerchi di cogliere e di sfruttare al massimo quello che il Signore ci offre attraverso la Sua Parola e i gesti del Suo Amore.
Oggi allora questi bambini hanno l’opportunità di avvicinarsi al sole, hanno la possibilità di diventare un po’ come lui. Anzi, quando noi riceviamo l’Eucaristia, quando diciamo “faccio la comunione” diciamo proprio questo: voglio essere come Gesù, voglio che i miei sentimenti, il mio modo di sentire, il mio modo di vivere sia il più possibile sempre più vicino a quello di Gesù. Sarà lui a trasformarmi.
Per fare questo bisogna essere tenaci, costanti, fedeli. Per questo noi veniamo all’Eucaristia ogni domenica perché ci lasciamo trasformare da Colui che ci chiama per dirci una parola e per mostrarci dei segni che possono trasformare le nostre parole e renderci capaci di compiere gli stessi segni. Per noi non è un precetto celebrare l’Eucaristia, non è un dovere, non è un tributo ma è risposta a un invito «beati gli invitati alla cena del Signore», tanto che oggi questi bambini accoglieranno quello che stiamo per celebrare nella misura in cui con il vostro aiuto, con il nostro aiuto, hanno imparato prima a comprendere quello che ascoltiamo oggi e quello che facciamo oggi. Vale così per tutta la vita, per tutte le cose della vita. Quando ci apprestiamo a vivere una cosa nuova siamo un po’ disorientati, non sappiamo bene come comportarci. Quando ci alleniamo a vivere un’esperienza allora dopo diventiamo anche più sicuri, più certi e sappiamo cogliere quello che altri non riescono vedere. Così vale anche per l’Eucaristia. Così può accadere che oggi non tutti comprendiamo bene quello che stiamo facendo, ma non è una colpa legata all’ignoranza o legata al fatto che non si è nella capacità, nella possibilità di conoscere ma perché è necessaria una volontà, è necessario un amore per poter incontrare Gesù. Lui vuole incontrarci, ci precede sempre ma chiede che noi siamo disposti ad accoglierlo.
L’augurio che facciamo a questi bambini è che questo giorno di festa rimanga nel loro cuore a lungo perché può diventare inizio di un progetto, di una vocazione. E il Signore ha una vocazione per ciascuno, anzi. Come abbiamo detto la settimana scorsa, ciascuno di noi è la sua vocazione. È un’esperienza che scopre di giorno in giorno e il Signore parla anche al cuore dei bambini perché loro possono vedere Dio. Chiediamo oggi che attraverso le emozioni, i sentimenti buoni che viviamo grazie a loro, anche noi possiamo riscoprire come Gesù sia il sole che illumina la nostra vita, che trasforma tutte le nostre intenzioni buone, tutte le realtà buone che abbiamo nel cuore in possibilità di essere benedizione per tutti coloro che incontriamo. In questo giorno, chiediamo a Maria, che abbiamo contemplato ieri nella memoria delle apparizioni a Fatima, che sia Lei a dire ogni giorno a questi bambini e a ciascuno di noi «fate quello che vi dirà, qualunque cosa vi dica fatela». Rimanendo nel Signore noi possiamo veramente dare alle nostre vite una qualità, una bellezza che all’inizio può sembrare sconosciuta ma che tutti potranno riconoscere: questo è il dono più grande che noi possiamo fare a noi stessi e all’umanità. Nessuno di noi è qui a caso. Ciascuno di noi cerchi di cogliere e di sfruttare al massimo quello che il Signore ci offre attraverso la Sua Parola e i gesti del Suo Amore.
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