11 giugno 2017 - Santissima Trinità


«Voglio avvicinarmi per vedere questo strano spettacolo. Perchè il roveto arde ma non si consuma?» Uno strano spettacolo, qualcosa che ci colpisce e non comprendiamo. Può essere così anche del dogma della Trinità, fondamento della nostra fede, eppure quando siamo chiamati a parlarne ci rendiamo conto che subito ci incartiamo. Se rimaniamo a un livello di voler far diventare “tre in uno”, “uno in tre” creiamo solo più confusione.
Se noi guardiamo a questo mistero - dove questa parola ci indica qualcosa che possiamo  solo balbettare - ci rendiamo conto che per comprenderlo di più dobbiamo cogliere qual è l’essenza, attraverso quel linguaggio che Gesù ci presenta. Gesù ci parla continuamente di una relazione, di un rapporto che lui ha con il Padre e con lo Spirito. Il mistero della Trinità ci dice che all’origine di tutto c’è un legame, non c’è solitudine, non c’è pensare unicamente a se stessi, ma dall’inizio c’è una comunione. Un solo Dio, tre persone. Dio non è in se stesso solitudine ma comunione. Le caratteristiche di questo nostro Dio sono un infinito desiderio di amare perché amare è andare verso l’altro, è reciprocità, scambio, incontro, famiglia, festa.
Quando nel principio, all’inizio di tutto, Dio dice «facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza» l’immagine non è quella del Creatore, né dello Spirito, né del Verbo Eterno di Dio ma è tutte queste realtà insieme. Noi siamo ad immagine di Dio che crea, dello Spirito che consola, del Verbo di Dio - Cristo - che ci salva. Noi siamo creati ad immagine della Trinità, per tanto se cuore dell’essenza di Dio è la relazione, cuore della nostra essenza è vivere in comunione, è vivere insieme. Per questo la solitudine ci pesa e ci fa paura, perché è contro la nostra stessa natura. Ecco perché quando trovo un amore vero, un’amicizia autentica allora sto bene perchè è secondo la mia natura, la mia stessa vocazione. In principio a tutto c’è un legame d’amore. Gesù ci dice che molte cose ha ancora da dirci ma non è ancora il momento in cui le comprendiamo. Perchè? Perché pensare di poter dire “ho capito il mistero della Trinità” equivale a dire “non ho capito niente”. È come se in fondo uno incontrasse la persona che ama e dicesse “ho capito già tutto”, poi si accorge che la capisce, la comprende solo nel paziente sceglierla ogni giorno. Così vale per un figlio, per un amico, per la realtà che ci mette in relazione gli uni gli altri. Non possiamo dire “ho capito tutto”, come pensiamo di poterlo capire di Dio? Gesù è saggio, ci dice che non possiamo capire tutto ma che ci darà lo Spirito, ci darà una chiave di lettura che ci permetterà di tornare a Lui costantemente, poiché Lui è la Rivelazione del Volto del Padre e noi siamo ad immagine di questo Dio che è rivelazione, che non può neppure pensarsi al di fuori di un legame di amore. Questo Spirito è posto nel nostro cuore perchè diciamo “Abbà Padre”, perchè ci rivolgiamo a Dio con la confidenza di un figlio, ancora di più con la tenerezza di un bambino, perché la nostra relazione con Dio non sia più come quella di Mosè che si ferma, che deve stare a distanza nonostante sia lui quello che vedrà faccia a faccia Dio. Noi, in Gesù Cristo, facciamo esperienza nuova: Dio entra dentro di noi, noi possiamo diventare come Lui. Così, ogni volta che noi ci definiamo cristiani, diciamo “noi crediamo di venire dall’unico Dio che ama essere in comunione con l’uomo perchè può pensarsi solamente così. Noi crediamo in un Dio, l’unico Dio, che decide che questa comunione va difesa fino al dono della vita”. Così, quando noi ci diciamo cristiani lo facciamo anche attraverso un segno, il segno della croce, che dice il fondamento della nostra fede. Crediamo che Dio è uno solo ma si rivela a noi come Padre, Figlio e Spirito Santo. Crediamo che Gesù, il Figlio di Dio, si è fatto carne, è crocifisso ed è risorto.
Questa domenica, allora, posta tra la Pentecoste e la celebrazione della Festa dell’Eucaristia - il Corpus Domini - è invito a riscoprire chi siamo noi veramente, a riscoprire come la festa della Trinità è specchio del mio cuore nella sua più grande profondità; è il senso ultimo dell’universo. Noi siamo incamminati verso un Padre che è la fonte della vita, verso un Figlio che mi permette di innamorarmi del Padre, verso uno Spirito che accende di comunione il mio desiderio di non essere da solo. Ci sentiamo piccoli davanti a questo spettacolo strano, come Mosè che si ferma, si toglie i calzari e non capisce. Ci sentiamo piccoli di fronte al dogma ma noi crediamo di poter guardare a questo Dio nella semplicità dei bambini, abbracciando dentro di noi il desiderio che sia sempre di più a farci entrare nel mistero amoroso della sua relazione perché, imparando ad amare i fratelli, io possa essere riflesso di quella relazione.
Che il Signore ci aiuti allora non tanto a voler spiegare un mistero ma a viverlo, perchè nel momento in cui cercheremo di fare questo, scopriremo che questo spettacolo strano è la ragione per cui noi possiamo anche sfidare il faraone, anche andare incontro a ciò che ci sembra impossibile da vincere, portando nel cuore quanto lui ha già seminato: la sua presenza, una presenza di comunione. A partire dai gesti che compiamo più tranquillamente e più comunemente, il segno della croce, viviamo questa Eucaristia con questa richiesta “aumenta la mia fede e aiutami a vivere il mistero della tua comunione perché io possa sempre di più assistere con gioia a questo spettacolo strano”.

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