9 novembre 2017 - Dio ti ha consacrato con olio di letizia.
Oggi è il giorno del mio battesimo.
Nella gratitudine per il dono della vita e della vita nella fede condivido l'omelia di domenica scorsa in occasione del mio ingresso a Binago.
Vi chiedo la grazia della preghiera.
Dio vi benedica!
Omelia nel giorno del mio ingresso come Parroco a Binago
5 novembre 2017
Dio ti ha consacrato con olio di letizia.
Queste parole del salmo che abbiamo letto oggi mi hanno riportato al cuore alcune parole del Vescovo Tonino Bello che nella messa del giovedì santo del 1991 diceva così ai suoi presbiteri: “La gioia dilaghi dal vostro cuore di carne, e contagi tutti coloro che vi accostano, sorpresi di tanta freschezza. Non ci sia catastrofe umana che freni l’onda lunga della vostra letizia. Nessuna delusione pastorale vi spenga il sorriso sulle labbra, o attenui l'estasi dei vostri annunci di liberazione, o appanni il lampeggiamento dei vostri occhi che hanno contemplato il volto di Dio”.
Quando invitai coloro che mi conoscevano allo stupore per l’essere stato chiamato a diventare prete lo feci esortando alla preghiera nella quale chiedevo il dono dell’umiltà, della pazienza, della letizia e della fedeltà.
In questi anni ho continuato a chiedere il dono della gioia perché spesso mi ritrovo ad incupirmi quando la realtà non è come l’avevo pensata, quando vengo ferito da un giudizio che reputo ingiusto, quando mi pare di fare senza però costruire, quando la fatica si rivela essere sproporzionata alle forze.
Così può accadere che i miei occhi appaiano più stanchi che luminosi e che l'essere discepolo del Signore non sia ragione sufficiente a riempire di letizia il mio tempo.
C’è un racconto che mi è caro e che vorrei condividere in questo giorno. Durante il Medioevo, un pellegrino aveva fatto voto di raggiungere un lontano santuario, come si usava a quei tempi. Dopo alcuni giorni di cammino, si trovò a passare per una stradina che si inerpicava per il fianco desolato di una collina brulla e bruciata dal sole. Sul sentiero spalancavano la bocca grigia tante cave di pietra. Qua e là degli uomini, seduti per terra, scalpellavano grossi frammenti di roccia per ricavare degli squadrati blocchi di pietra da costruzione.
Il pellegrino si avvicinò al primo degli uomini. Lo guardò con compassione. Polvere e sudore lo rendevano irriconoscibile, negli occhi feriti dalla polvere di pietra si leggeva una fatica terribile. Il suo braccio sembrava una cosa unica con il pesante martello che continuava a sollevare ed abbattere ritmicamente.
"Che cosa fai?", chiese il pellegrino.
"Non lo vedi?" rispose l'uomo, sgarbato, senza neanche sollevare il capo. "Mi sto ammazzando di fatica".
Il pellegrino non disse nulla e riprese il cammino.
S'imbatté presto in un secondo spaccapietre. Era altrettanto stanco, ferito, impolverato.
"Che cosa fai?", chiese anche a lui, il pellegrino.
"Non lo vedi? Lavoro da mattino a sera per mantenere mia moglie e i miei bambini", rispose l'uomo.
In silenzio, il pellegrino riprese a camminare.
Giunse quasi in cima alla collina. Là c'era un terzo spaccapietre. Era mortalmente affaticato, come gli altri. Aveva anche lui una crosta di polvere e sudore sul volto, ma gli occhi feriti dalle schegge di pietra avevano una strana serenità.
"Che cosa fai?", chiese il pellegrino.
"Non lo vedi?", rispose l'uomo, sorridendo con fierezza. "Sto costruendo una cattedrale".
E con il braccio indicò la valle dove si stava innalzando una grande costruzione, ricca di colonne, di archi e di ardite guglie di pietra grigia, puntate verso il cielo.
Da quando sono Parroco questo racconto è diventato per me ancora più significativo. Chiamato ad essere responsabile di più comunità ed oggi in particolare con l’ufficiale ingresso nella Parrocchia di Binago, sento che mi è chiesto di essere servo del Re che costruisce il suo Regno.
Questa immagine del costruire poi è stata in me come confortata dalla scoperta davvero sorprendente ed anche emozionante che le pietre che sono state realizzate per costruire il campanile di Binago sono state cavate a Cocquio Sant’Andrea, il mio paese di origine, nel 1900. Così questa enorme guglia di pietra grigia che punta verso il cielo mi ricorda che appartengo ad una storia che mi precede, alla fatica anonima di tanti uomini e donne che hanno contribuito a costruire questo segno che parla della presenza di una Comunità cristiana che chiama alla preghiera e che orienta al cielo.
Non voglio che il mio lavoro per la costruzione dalla cattedrale del regno sia come quello del primo spacca pietre. Non voglio che il mio tempo sia un ammazzarsi di fatica che indurisce il cuore, che la lamentela abiti i miei racconti, che prevalga nel mio quotidiano la parola dello sconforto per quello che non sono riuscito a fare, per gli inevitabili ritardi, per le valutazioni sbagliate, per le parole inopportune. Non voglio che il dover cambiare casa diventi solo un problema, nonostante il dispiacere per il fatto che in quella casa il mio Papà mi abbia lasciato, perché questo trasloco mi pesa non solo per la comprensibile difficoltà ma anche per il fatto di non avere lui al mio fianco in tante preziosissime occasioni. Non voglio che chi mi incontra veda solo la fatica e non riceva la letizia di un sorriso.
Non voglio neppure che il mio lavoro per la costruzione dalla cattedrale del regno sia come quello del secondo spacca pietre. Il motivo nobile dell’essere a vantaggio di una famiglia composta di quattro parrocchie non nasconda la stanchezza del ripetere gesti che non hanno slancio, che non si nutrono di meraviglia. La vita parrocchiale nel suo distendersi nella ferialità non mi trovi a rinnovare gesti senza che essi alimentino la mia fede. Non voglio che il mio essere pastore del gregge che mi è stato affidato sia essenzialmente un lavoro anche fedele ma che non riempie il cuore di letizia, e che a lungo andare lasci spazio alla tentazione di misurare il dono della propria vita con l’efficacia dei frutti che si pretende di vedere e di ottenere.
Voglio assomigliare al terzo spacca pietre. Voglio che la fatica, anche quando apparirà troppo grande, non spenga il sorriso. Voglio che lo spendere la vita non sia legato all’entusiasmo di un’iniziativa che ha successo. Voglio che l’impegno assunto oggi non sia solo per voi ma con voi.
Una Comunità si costruisce insieme. Tutti, proprio tutti possono portare il proprio dono. I bambini che ci parlano dell’infinita pazienza di Dio nel scegliere la vita anche quando tutto parla di morte. I ragazzi ci raccontano della pazienza di Dio nell’accompagnare il loro crescere diviso tra grandi domande e facili entusiasmi. I giovani ci parlano della pazienza di Dio nel disegnare quella vocazione che li renderà sale della terra e luce del mondo. Gli adulti ci svelano come la pazienza di Dio si nasconda nella fedeltà all’impegno preso, alla parola data, nella capacità di rialzarsi dopo aver sbagliato. I malati ci ricordano l’infinita pazienza di Dio che non misura la bontà sull’efficienza, sul fare, perché lui guarda nel segreto dei cuori e ha buona memoria di tutto il bene compiuto. Gli anziani ci rivelano la pazienza di Dio che non subisce lo scorrere inesorabile del tempo come una condanna a morte ma come l’unica possibilità di mostrare che la vita vale per come si sceglie di viverla.
I poveri gridano l’infinita pazienza di Dio nel nascondersi nelle pieghe di una storia che lo ha visto vivo, povero tra i poveri, e che lo vede ora povero in tutte quelle esperienze che spesso ci infastidiscono, altre volte ci inquietano. Esse ci ricordano che il Regno di Dio non si costruisce senza i poveri e che anche noi dobbiamo trovare strade nuove per superare la logica dello spreco e dello scarto.
Tutti possiamo contribuire a costruire il Regno di Dio che per noi è anche impegno reale a costruire una Comunità che non sia solo un tentativo di rispondere alle oggettive difficoltà della Chiesa oggi, ma che sia la volontà di riscoprire come la fede sia esperienza che scelta personalmente chiede a ciascuno la carità della condivisione.
Infine, quando accadrà che i miei occhi non lampeggino della gioia propria di chi ha contemplato il volto di Dio vi chiedo il dono della pazienza, l’umiltà della comprensione, la carità della preghiera e la dolcezza di una parola che incoraggia.
Allora sono certo che costruiremo il Regno di Dio in questa comunione di Comunità. Se porremo tutti e solo su Gesù il nostro fondamento di fede sarà visibile a tutti, come guglia che punta verso il cielo, la possibilità che il Regno dei Cieli abbia suoi bellissimi riflessi anche sulla terra.
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