7 gennaio 2018 - Battesimo del Signore


«Gesù uscì all’acqua ed ecco si aprirono i cieli e vide lo Spirito di Dio discendere come una colomba sopra di lui». Lo Spirito e l’acqua sono tra le immagini che con più favore ricordiamo perché accompagnano tutta la Scrittura e li troviamo all’inizio della Genesi, quando già al secondo versetto del capitolo I leggiamo «la terra era informe e deserta ma lo Spirito di Dio aleggiava sulle acque». Così la prima azione di Dio, il primo movimento della vita nella Bibbia è una danza: lo Spirito che danza sulle acque. Questa danza ci ricorda il volo di una colomba che cerca il suo nido, che con premura cova la vita prima che si dischiuda. Da allora, dall’inizio sempre lo Spirito e l’acqua sono legati al sorgere della vita e sono presenti nel Battesimo di Gesù e, se ci pensiamo bene, sono presenti anche nel nostro Battesimo, come una vita-sorgente. Ma qual è la vita nello Spirito che ci è stata donata nel Battesimo? La troviamo spiegata nelle parole che Gesù sente dire su di sé uscendo dall’acqua, la voce dal cielo dice «questi è il Figlio mio, l’amato. In Lui ho posto il mio compiacimento». Innanzitutto, Figlio per ricordare che nessuno è solo, ogni figlio ha un legame con la vita che lo precede. Nessuno ha in se stesso la sorgente della vita, vive della vita che gli è stata consegnata dal Padre, viene da un altro. Quella voce che Gesù ha sentito è quella che è stata rivolta anche a noi nel giorno nel nostro Battesimo. Tutti noi siamo stati portati davanti al Signore dall’amore di persone che hanno intuito che il Battesimo potesse essere per noi occasione buona, la possibilità di diventare Figlio di Dio. Così come abbiamo ascoltato in queste settimane nel prologo di Giovanni «non da carne né da volere di uomo ma da Dio sono stati generati figli» e i nostri genitori, i nostri nonni, i nostri parenti che ci hanno portato al Signore hanno riconosciuto che certo la vita era legata a una loro esperienza ma hanno anche compreso che la vita è un dono di Dio e noi siamo immersi in questa sorgente della vita per diventare un’unica cosa con il Signore. Così abbiamo contemplato nel Natale Dio che diventa uomo e nel nostro Battesimo noi che diventiamo la casa di Dio. Il Natale di Dio è il nostro Natale, tanto che il giorno del nostro Battesimo dovremmo custodirlo come il nostro Natale, l’inizio di una umanità rinnovata.
Poi questa parola amato: noi ci dimentichiamo spesso che siamo amati, fin dall’origine, prima che noi potessimo fare qualsiasi cosa per cercare di rispondere all’amore di Dio, prima di poter fare qualcosa noi siamo amati. Anzi, ogni mattina quando ci svegliamo dovremmo ricordarci che il nostro nome è amato. Dovremmo mettere sempre il nostro nome e poi questo (amato) che non è solamente un aggettivo, è una condizione, è un’essenza tanto che nel giorno del nostro Battesimo noi abbiamo cambiato vita e, anche se apparentemente non sembra, non appare, è così perché Dio si è impegnato in quel giorno ad essere per noi Padre e ad amarci sempre, anche quando non lo meritiamo. Il suo è uno sguardo sull’umanità così buono e amorevole che aspetta certo di essere riconosciuto ed amato ma anche nel momento in cui non fosse così non si stanca di continuare ad amare. Figlio amato.
C’è poi un’altra parola che ultimamente viene utilizzata spesso e tuttavia, invece, dovremmo considerare preziosa e rara: in te mi sono compiaciuto. Tu sei il mio compiacimento. In particolare tra i giovani, anche tra i non più giovani, c’è ultimamente questa pratica di cliccare su un pulsante e dire “mi piace” di qualsiasi cosa (una canzone, un video, un’immagine, un pensiero). Se ci pensiamo bene questa parola è carica di un significato che è troppo prezioso, troppo importante. Non si può dire “mi piace” a tutto. Ciò che mi piace è ciò che mi fa gioire, è ciò che mi riempie di gioia. Allora non possiamo usare superficialmente questa parola, dobbiamo custodirla di più, dobbiamo sentirla, gustarla da parte di Dio nei nostri confronti. Il Signore mi guarda e mi dice “tu sei la mia gioia”, “in te ho posto il mio compiacimento”: e questo è così perché il Natale ci ricorda come Dio non abbia smesso di amare l’umanità, anche questa umanità che sembra così estranea, così ostile ma se ci pensiamo bene la sua venuta nel mondo è stata così: non c’era posto per lui nell’albergo, è nato in un luogo dedicato agli animali, subito dopo ha dovuto fuggire a motivo della violenza di Erode, è tornato ed andato ad abitare in un buco della Terra, lontano da qualsiasi spettatore interessato…. Se Dio ama così tanto la terra, l’umanità, noi che siamo suoi figli non possiamo che continuare a stupirci dell’azione di Dio nella nostra vita e nella vita degli uomini. Come possiamo rispondere a questo amore noi che spesso ci troviamo pigri, incostanti, che misuriamo il tempo che diamo al Signore, che non abbiamo mai tempo per lui, che abbiamo sempre troppe cose da fare? Come possiamo rispondere al Signore noi che abbiamo fatto tutti esperienza del tradimento, del peccato? In realtà noi possiamo offrire unicamente noi stessi, con le nostre fragilità, con la nostra capacità di amare e e con le nostre capacità di sbagliare. Dio ci guarderà sempre così: come figli amati, fonte della sua gioia. Dio continuerà a chiederci di fidarci di Lui, di affidarci a Lui. A volte capita di sentire anche i cristiani dire “a cosa serve? A cosa serve il battesimo?”, “a cosa serve andare in Chiesa, pregare?”. Spesso lo diciamo incontrano qualcuno che dice di non essere credente e che pure fa tanto bene. Io non credo che sia una questione di fare, di quantità, ma è una questione di essere, di avere la consapevolezza che il Signore ha posto in noi la sorgente dell’amore, della vita, che ha fatto ciascuno di noi un’opera capace di riflettere il Suo amore e la sua presenza. Anche a noi è chiesto con la nostra esistenza di squarciare il cielo, di offrire spazi sereni, di dare speranza, di essere uomini e donne che vivono pienamente il proprio battesimo. Così, anche se al termine della nostra vita non potremmo portare la vita santa, io sono certo che Lui continuerà a guardarci con la stessa tenerezza del primo sguardo e, anche se noi saremo carichi della nostra fatica di vivere, lui saprà rialzarci. Ci guarderà e ci dirà ancora una volta «Tu sei il figlio mio, il mio amore, la mia gioia» e ci regalerà quell’abbraccio che tutti desideriamo. L’abbraccio di chi si sente accolto per quello che è, senza essere giudicato per quello che non sa fare, che non sa dire. Quante volte ci sentiamo soli, anche all’interno delle nostre famiglie perché qualcuno si aspetta sempre qualcosa in più da noi. Ricordiamoci che il Signore ci ama per quello che siamo, e allora forse troveremo il coraggio, il desiderio, il piacere, la gioia di mettere più amore, più vita, più speranza in tutto quello che facciamo. 

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