Venerdì Santo
Ad uno ad uno i giorni della Settimana Santa ci parlano del fine ultimo della nostra vita, ci vengono donati giorno per giorno, ognuno con i suoi segni, con i suoi simboli, con le sue parole, con i suoi gesti.
La gioia della domenica delle Palme che aveva visto l’ingresso di Gesù in Gerusalemme accompagnato dai rami di palma e d’ulivo sembra così lontana, come avviene spesso anche nelle nostre vite: momenti di gioia intensa che vengono cancellati in un istante per una sofferenza improvvisa, per una morte improvvisa, per un’ingiustizia, per uno scoraggiamento profondo. E poi lunedì, martedì, mercoledì, tre giorni nella ferialità che ci hanno portato a guardare Gesù che annuncia la sua passione e morte tra lo stupore e l’incapacità di comprendere dei suoi discepoli, ai quali assomigliamo molto perchè spesso non capiamo quello che Gesù ci dice. È vero anche che dedichiamo poco tempo ad ascoltarlo, ma soprattutto ci troviamo sempre così distanti dalla comprensione del suo Vangelo, forse perchè non lo abbiamo ancora scelto come il nostro unico Signore e Maestro, come l’Amico al quale cercare di affidare la nostra vita, non perchè Lui si sostituisca a noi ma perchè accanto a noi cammini verso il compimento della vita. E poi la giornata di ieri, che abbiamo celebrato nella Cena del Signore, ricordando il gesto umile, da schiavo, del lavare i piedi ai propri amici e poi quello spezzare il Pane, quel versare il Sangue per dire la volontà di essere per ciascuno di noi fino alla fine. Del Triduo Pasquale questo però è il giorno più duro, quello che nessuno di noi può dire di aver capito o di capire fino in fondo: perchè tanto dolore?
Perchè tanta sofferenza?
Perché questa sofferenza si rinnova costantemente, ogni giorno, nelle nostre vite e nelle pieghe della vita dell’umanità?
Perchè ogni giorno sentiamo dire che la croce di Cristo è ancora in mezzo a noi?
Perché ogni giorno dobbiamo ascoltare il grido di sofferenza di uomini e donne vicine e lontane da noi?
Lo sappiamo che la sofferenza accompagna la storia di ogni uomo, dal suo sorgere al suo compimento, eppure non vogliamo abituarci a tutto questo e vogliamo contemplare la croce, noi che diciamo di essere di Cristo, perchè lì, in quella realtà, tutti siamo accumunati. Il Signore ha abbracciato la croce per insegnarci che la vita è continua volontà di lottare contro ogni forma di male, quel male che a volte nasce da noi e quel male che a volte subiamo e Lui, che non conosce il male, diventa il male-detto, perchè ciascuno di noi possa trovare in Lui un punto di riferimento, il senso, la forza per affrontare la sofferenza e la morte.
Io non so - è una delle domande che farò al Signore quando lo vedrò faccia a faccia - perchè cosi tanto dolore; io non so, quando mi capita di essere accanto a chi è nel dolore, dire parole sapienti, che sanno risolvere i problemi; io non so perchè ogni giorno sono costretto ad essere attento al mio mondo, a subire la violenza che viene dalle notizie che parlano di morte, di sofferenza, che parlano di ingiustizia. So solo che ho la grazia di essere cristiano, di scegliere di essere cristiano e di affidarmi a questo segno che è la croce di Cristo e lì porre tutte le mie domande e le mie fatiche di vivere e lì portare il dolore di tutti coloro che incrociano la mia vita e di tutti i fratelli e le sorelle di questa umanità che sento mia perché a questa umanità appartengo. Io so che posso guardare al Crocifisso e non trovare una risposta magica, non trovare una sorta di soluzione facile; io so che guardando al Crocifisso ho una strada da percorrere e non sono da solo.
Coloro che guardavano lo spettacolo della croce erano chiusi nella propria convinzione di stare facendo un’azione come tante altre, uccidere in nome di una bestemmia. I soldati romani facevano quel mestiere tutti i giorni e non si davano pena di chi fossero coloro che venivano condannati a morte. Giocavano con Gesù, quel giorno avevano qualcosa di diverso da fare, non la solita consuetudine dei gesti che portavano la crocifissione, ma uno che si poteva prendere in giro in modo strano, anzi, attraverso il “gioco del re” - così lo chiamavano: la corona, di spine, il manto scarlatto, la canna erano parte di questo gioco che umiliava coloro che venivano scelti per essere l’oggetto dello scherno di tutti. Davanti a quello spettacolo qualcosa accade e sconvolge anche chi, come il centurione, era abituato a compiere quei gesti. Non solo si è davanti alla morte di un uomo come tanti altri prima di lui, ma quest’uomo ha qualcosa di speciale perché non maledice, non impreca, non grida, non insulta ma sulla croce prega e perdona.
Prega e perdona.
Noi oggi siamo venuti qui a contemplare la croce di Gesù e a chiedere ancora una volta che in mezzo all’indifferenza e al male, in mezzo agli insulti, in mezzo a tutte quelle ingiustizie che passano anche attraverso la derisione del male, che passano attraverso la banalità del male, possiamo ricevere la grazia del perdono, un perdono ricevuto e un perdono offerto. Siamo qui perchè crediamo che la croce di Cristo non sia finita non solo perchè oggi uomini e donne soffrono ingiustamente, muoiono ingiustamente, ma anche perchè la croce di Cristo - proprio in questi giorni ci è stata mostrata - è ancora viva quando un uomo è capace di dare la vita per un altro, quando un uomo è capace di rinunciare a se stesso per il bene di un altro, e non di un amico ma di uno sconosciuto, riproponendo così da vicino l’amore di Gesù che è per tutti gli uomini, anche per quelli che mentre lui moriva lo deridevano, lo insultavano, lo provocavano. Noi siamo qui oggi per pregare e per chiedere perdono, perchè nella misura in cui riusciremo ad accogliere Gesù così anche noi sapremo offrire perdono e allora faremo fiorire la croce nella nostra vita quotidiana, nei gesti d’amore che sappiamo compiere, nelle costanti decisioni di essere dalla parte dei più deboli e dei più poveri. Ma innanzitutto oggi siamo qui per pregare, perchè questa è la sorgente dell’amore, perché solamente chi prega sa chiedere perdono e offrire perdono, perchè solamente chi prega ha capito il segreto di Gesù, ha capito perchè Lui si è affidato pienamente a quel Padre che in tutta la vita aveva pregato, ogni giorno e ogni notte, per essere pronto ad accogliere qualsiasi strada avrebbe dovuto compiere per mostrare e rivelare l’amore che c’è tra Lui e il Padre nello Spirito Santo. Siamo venuti qui per pregare e per chiedere perdono e per impegnarci a perdonare: solamente così noi diremo ancora oggi che la Croce di Cristo è in mezzo a noi, non solo nella sofferenza, nella violenza subita e nella morte ma anche nell’amore che arriva a donare la vita.
La gioia della domenica delle Palme che aveva visto l’ingresso di Gesù in Gerusalemme accompagnato dai rami di palma e d’ulivo sembra così lontana, come avviene spesso anche nelle nostre vite: momenti di gioia intensa che vengono cancellati in un istante per una sofferenza improvvisa, per una morte improvvisa, per un’ingiustizia, per uno scoraggiamento profondo. E poi lunedì, martedì, mercoledì, tre giorni nella ferialità che ci hanno portato a guardare Gesù che annuncia la sua passione e morte tra lo stupore e l’incapacità di comprendere dei suoi discepoli, ai quali assomigliamo molto perchè spesso non capiamo quello che Gesù ci dice. È vero anche che dedichiamo poco tempo ad ascoltarlo, ma soprattutto ci troviamo sempre così distanti dalla comprensione del suo Vangelo, forse perchè non lo abbiamo ancora scelto come il nostro unico Signore e Maestro, come l’Amico al quale cercare di affidare la nostra vita, non perchè Lui si sostituisca a noi ma perchè accanto a noi cammini verso il compimento della vita. E poi la giornata di ieri, che abbiamo celebrato nella Cena del Signore, ricordando il gesto umile, da schiavo, del lavare i piedi ai propri amici e poi quello spezzare il Pane, quel versare il Sangue per dire la volontà di essere per ciascuno di noi fino alla fine. Del Triduo Pasquale questo però è il giorno più duro, quello che nessuno di noi può dire di aver capito o di capire fino in fondo: perchè tanto dolore?
Perchè tanta sofferenza?
Perché questa sofferenza si rinnova costantemente, ogni giorno, nelle nostre vite e nelle pieghe della vita dell’umanità?
Perchè ogni giorno sentiamo dire che la croce di Cristo è ancora in mezzo a noi?
Perché ogni giorno dobbiamo ascoltare il grido di sofferenza di uomini e donne vicine e lontane da noi?
Lo sappiamo che la sofferenza accompagna la storia di ogni uomo, dal suo sorgere al suo compimento, eppure non vogliamo abituarci a tutto questo e vogliamo contemplare la croce, noi che diciamo di essere di Cristo, perchè lì, in quella realtà, tutti siamo accumunati. Il Signore ha abbracciato la croce per insegnarci che la vita è continua volontà di lottare contro ogni forma di male, quel male che a volte nasce da noi e quel male che a volte subiamo e Lui, che non conosce il male, diventa il male-detto, perchè ciascuno di noi possa trovare in Lui un punto di riferimento, il senso, la forza per affrontare la sofferenza e la morte.
Io non so - è una delle domande che farò al Signore quando lo vedrò faccia a faccia - perchè cosi tanto dolore; io non so, quando mi capita di essere accanto a chi è nel dolore, dire parole sapienti, che sanno risolvere i problemi; io non so perchè ogni giorno sono costretto ad essere attento al mio mondo, a subire la violenza che viene dalle notizie che parlano di morte, di sofferenza, che parlano di ingiustizia. So solo che ho la grazia di essere cristiano, di scegliere di essere cristiano e di affidarmi a questo segno che è la croce di Cristo e lì porre tutte le mie domande e le mie fatiche di vivere e lì portare il dolore di tutti coloro che incrociano la mia vita e di tutti i fratelli e le sorelle di questa umanità che sento mia perché a questa umanità appartengo. Io so che posso guardare al Crocifisso e non trovare una risposta magica, non trovare una sorta di soluzione facile; io so che guardando al Crocifisso ho una strada da percorrere e non sono da solo.
Coloro che guardavano lo spettacolo della croce erano chiusi nella propria convinzione di stare facendo un’azione come tante altre, uccidere in nome di una bestemmia. I soldati romani facevano quel mestiere tutti i giorni e non si davano pena di chi fossero coloro che venivano condannati a morte. Giocavano con Gesù, quel giorno avevano qualcosa di diverso da fare, non la solita consuetudine dei gesti che portavano la crocifissione, ma uno che si poteva prendere in giro in modo strano, anzi, attraverso il “gioco del re” - così lo chiamavano: la corona, di spine, il manto scarlatto, la canna erano parte di questo gioco che umiliava coloro che venivano scelti per essere l’oggetto dello scherno di tutti. Davanti a quello spettacolo qualcosa accade e sconvolge anche chi, come il centurione, era abituato a compiere quei gesti. Non solo si è davanti alla morte di un uomo come tanti altri prima di lui, ma quest’uomo ha qualcosa di speciale perché non maledice, non impreca, non grida, non insulta ma sulla croce prega e perdona.
Prega e perdona.
Noi oggi siamo venuti qui a contemplare la croce di Gesù e a chiedere ancora una volta che in mezzo all’indifferenza e al male, in mezzo agli insulti, in mezzo a tutte quelle ingiustizie che passano anche attraverso la derisione del male, che passano attraverso la banalità del male, possiamo ricevere la grazia del perdono, un perdono ricevuto e un perdono offerto. Siamo qui perchè crediamo che la croce di Cristo non sia finita non solo perchè oggi uomini e donne soffrono ingiustamente, muoiono ingiustamente, ma anche perchè la croce di Cristo - proprio in questi giorni ci è stata mostrata - è ancora viva quando un uomo è capace di dare la vita per un altro, quando un uomo è capace di rinunciare a se stesso per il bene di un altro, e non di un amico ma di uno sconosciuto, riproponendo così da vicino l’amore di Gesù che è per tutti gli uomini, anche per quelli che mentre lui moriva lo deridevano, lo insultavano, lo provocavano. Noi siamo qui oggi per pregare e per chiedere perdono, perchè nella misura in cui riusciremo ad accogliere Gesù così anche noi sapremo offrire perdono e allora faremo fiorire la croce nella nostra vita quotidiana, nei gesti d’amore che sappiamo compiere, nelle costanti decisioni di essere dalla parte dei più deboli e dei più poveri. Ma innanzitutto oggi siamo qui per pregare, perchè questa è la sorgente dell’amore, perché solamente chi prega sa chiedere perdono e offrire perdono, perchè solamente chi prega ha capito il segreto di Gesù, ha capito perchè Lui si è affidato pienamente a quel Padre che in tutta la vita aveva pregato, ogni giorno e ogni notte, per essere pronto ad accogliere qualsiasi strada avrebbe dovuto compiere per mostrare e rivelare l’amore che c’è tra Lui e il Padre nello Spirito Santo. Siamo venuti qui per pregare e per chiedere perdono e per impegnarci a perdonare: solamente così noi diremo ancora oggi che la Croce di Cristo è in mezzo a noi, non solo nella sofferenza, nella violenza subita e nella morte ma anche nell’amore che arriva a donare la vita.
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