22 aprile 2018 - IV dopo Pasqua


Siamo verso la conclusione del capitolo decimo di Giovanni, che conosciamo come il testo del “Buon Pastore”: così Gesù si presenta a coloro che lo ascoltano. Siamo nel contesto della Festa della Dedicazione e Gesù è nel tempio, le sue parole sono molto forti perchè dicono ai giudei che Lui è il nuovo tempio, che Lui è il Buon Pastore, colui che si prende cura realmente delle pecore. Non assomiglia ai pastori del popolo di Israele che Ezechiele aveva descritto come uomini che non sanno pascere coloro che gli sono affidati ma solamente se stessi. Il rapporto che Gesù dichiara di avere con le sue pecore è un rapporto completamente nuovo: non è basato su riti, su benefici, su quello che si ricava dal proprio gregge. Il pastore buono dà la vita per le sue pecore. Proprio perchè è sempre in questo atteggiamento di benevolenza, di accoglienza le pecore ascoltano la sua voce. La voce che ritorna sempre come tema in Giovanni: è la voce di uno che grida nel deserto, Giovanni Battista; è la voce che viene dal cielo e che conferma Gesù il Figlio prediletto. È la voce. Quando noi sentiamo la voce di una persona cara anche in mezzo a tante, subito questa fa suscitare in noi emozioni belle; riconoscere la voce significa essere in intimità con qualcuno, essere chiamato per nome. La voce cambia tutto, come quella mattina di Pasqua quando Maria si sente chiamata per nome e lei, che non aveva riconosciuto quell’uomo come il Signore e il Maestro, lo riconosce dal modo in cui viene chiamata, dalla sua voce. Le pecore seguono il Signore, seguono il pastore buono perchè lo conoscono. Conoscere è un’esperienza nella Scrittura che non è limitata all’intelligenza ma è un’esperienza: possiamo dire che conoscere è avere nel cuore qualcuno, essere così intimamente legati da sentire una cosa sola, come il Padre e il Figlio sono una cosa sola, il desiderio che il pastore buono ha per le sue pecore è che anch’esse siano con Lui una cosa sola.
Il buon pastore ha tre caratteristiche fondamentali: dà la vita eterna, non lascerà che le pecore vadano perdute e nessuno le strapperà dalla sua mano.
Dà la vita eterna, già ora e non alla fine del tempo. Questa eternità non significa ovviamente immutabilità delle cose, delle situazione e delle persone ma vuol dire pienezza di vita. Vivere già con uno sguardo verso l’eternità significa dare compimento ora, a tutto quello che facciamo, della nostra capacità più alta di amare, come il buon pastore.
Nessuno verrà perduto in eterno: non c’è nessuno che sarà mai dimenticato perchè il pastore buono è venuto per dare la vita, per darla in abbondanza, perchè tutti coloro che lo conoscono possano conoscere il Padre.
Nessuno strapperà le pecore dalla sua mano: queste mani che noi conosciamo bene, sono le mani di chi alza da terra l’adultera ormai condannata a morte, sono le mani che plasmano del fango sugli occhi del cieco nato, sono le mani bucate e forate dai chiodi sulla croce. Queste mani sono quelle che ci permetteranno di non essere mai soli, come un bambino che prende con forza la mano dell’adulto, del papà e della mamma, e sa che in quella stretta c’è tutta la sicurezza, la forza di chi conduce, di chi protegge. Nella Scrittura, ancora, si dice che il nome di ciascuno di noi «è scritto nel palmo della mano» e così Dio ci ha sempre presenti, non si dimentica mai di noi e se anche noi ci dimentichiamo di lui, lui non lo può fare; e se anche le avversità della vita ci paiono parlare di un Dio lontano è perchè non lo conosciamo.
Chiediamo al Signore di poter fare esperienza di Lui in questo modo, di entrare in unità così profonda da sentirne la voce. Che possiamo contemplare l’opera che lui compie in ciascuno di noi donandoci quella pienezza di vita che ci permette di stare in ogni realtà, come coloro che sanno amare come Gesù. Rinnovi in noi la certezza che nulla ci può separare dall’amore di Dio in Cristo Gesù, che nessuno ci strapperà dalla mano di Gesù e Gesù dice ancora «nessuno strapperà dalle mani del Padre» come a rinforzare questo annuncio. Nessuno di noi vuole certamente rimanere solo.
Voi sapete che ormai tradizionalmente questa quarta domenica del tempo di Pasqua è dedicata alla preghiera per le vocazioni. “Dammi un cuore che ascolta”: questa è la parola che accompagna questa giornata. Il nostro pensiero va inevitabilmente a tutte le persone che conosciamo e che sono in cammino verso il compimento della propria scelta vocazionale. Pensiamo a don Andrea, a Luigi, a Samuele, a Francesco, ad Angelo, a Flaviano e Marco che sono tra noi ma anche a quei giovani che si pongono delle domande reali sulla consacrazione della propria vita. Chiediamo al Signore che ogni giovane sia capace di ascolto, perchè questo conduce a conoscere la voce di Dio e a decidere di seguirlo. Qualsiasi strada sia quella compirà sarà pienezza di vita e diventerà a sua volta capace di donare forza, di sostenere, di tenere per mano. Chiediamo al Signore che mandi ancora uomini santi nel suo popolo, che siano pastori buoni, capaci di dare la vita per le proprie pecore, capaci di ascoltare e di rinnovare ogni giorno la fiducia di essere sostenuti dalla sua forza e dalla sua presenza, dal suo amore.

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