Giovedì Santo


C’è un’usanza tra i presbiteri di annotare il numero delle messe celebrate, il luogo e anche l’intenzione; su appositi registri, su quaderni avviene questa operazione quotidiana. Anche io all’inizio del mio ministero ho iniziato a fare questo esercizio ma poi un po’ per mancanza di costanza, di pigrizia, un po’ per il passaggio faticoso nel primo trasferimento da una parrocchia all’altra ho perso questa abitudine. Così oggi non so quale sia il numero preciso della celebrazione che sto vivendo e, anche se mi sto avvicinando al mio venticinquesimo con tutta la carica emotiva che sento e che è anche intorno a me, certo avrei la curiosità di sapere quante siano. Verosimilmente penso di aver superato le 10.000 e subito quando ci penso la curiosità diventa timore. 
C’è una domanda che mi accompagna da sempre, che prendo dalla tradizione francescana, attribuita a Francesco d’Assisi che davanti all’Eucaristia diceva: «Perchè questo amore che arde non mi consuma?». Anch’io oggi parto da questa domanda “perchè questo amore così grande non mi ha ancora fatto diventare come Lui?”. Sento anche tutta la forza e la serenità di queste parole: «Chiunque mangia il pane o beve al calice del Signore in modo indegno sarà colpevole verso il Corpo e il Sangue del Signore. Ciascuno esamini se stesso e poi mangi di questo pane e beva di questo calice, perchè chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore mangia e beve la propria condanna». Sento tutta l’urgenza di vivere con intensità l’amore per il Signore, eppure faccio esperienza della mia fragilità, di quella inadeguatezza che mi accompagna da sempre. Mi domando: perchè questo amore che arde non mi consuma? Eppure, anche io sono stato rivestito dello Spirito del Signore, lo Spirito con l’unzione mi ha consacrato e poi mi ha mandato per portare a tutti coloro che incontro questo lieto annuncio: Il Signore per te dà la vita. Sempre.
Ho provato a dare una risposta a questa domanda e al perchè dopo tante celebrazioni mi sento ancora così distante. Mi sono detto che in questi anni non ho saputo custodire in pienezza lo Spirito del Signore che si è rivelato a me nella pietà che riconduco alla tenerezza dei bambini, a quell’abbandonarsi nelle braccia del papà e della mamma sicuri, sereni, tranquilli, senza alcun problema, quell’abbraccio che è il porto sicuro, il luogo dove  non accadrà nulla di male. Questa tenerezza che ho sperimentato in tanti incontri, tanti bambini non l’ho sempre saputa custodire ed è anche per questo che l’Amore ancora non mi ha consumato. Penso poi a tutti quei giovani che ho incontrato, alcuni li ho accolti bambini e li ho accompagnati sia nel cammino dell’Oratorio sia della Scuola, ho colto di loro lo spirito della scienza, dell’imparare, del conoscere, di quella curiosità che cambia il mondo e che ti fa sognare di diventare grande, capace di essere protagonista della tua vita, perché non solo guidato dalle buone capacità intellettuali ma anche dallo Spirito del Signore. Così ho incontrato tante persone, tanti ragazzi, tanti bambini diventati giovani, adulti, padri e madri e non sempre ho saputo sia ringraziare sia custodire questo dono dello Spirito. Penso a quello Spirito di Dio che si è manifestato e si manifesta nella fortezza, caratteristica che vedo nelle mamme, tutte quelle donne che hanno insegnato che la vita è autentica nel momento in cui è donata. Mamme straordinarie e mamme ordinarie, mamme che hanno speso tutta la vita nel custodire i propri figli, i propri sposi, mamme che hanno diviso il loro tempo tra pannolini, visite dal medico e corse come se fossero tassiste provette. Quanta fortezza nell’essere fedeli a una vocazione nella vocazione, una vocazione che continuamente cambia! Quanta benedizione ho ricevuto ma non sempre l’ho saputa custodire. Lo Spirito del Signore si è rivelato nella sapienza e penso ai papà, a quegli uomini che hanno imparato dalla quotidiana esperienza della vita che è lavoro, che è fatica, che è rinunciare ai propri interessi e mettere prima gli interessi degli altri. A volte con fatica ma anche con quella gioia che è impagabile. Ho imparato tanto da alcuni papà che sanno trasformare le cose semplici in regali splendidi e sanno inventare per i loro figli e per le loro spose idee straordinarie. C’è una sapienza che passa attraverso l’esperienza, la tenacia ma anche il coraggio di prendere decisioni difficili, di non avere paura. Penso poi di non essere stato capace di custodire neppure lo Spirito dell’intelletto. In questi venticinque anni ho avuto tanti maestri, tante persone che mi hanno insegnato qualcosa della fede, a leggere la realtà oltre ciò che appare, a vedere l’invisibile. Ma il Maestro più grande, quello che sento di avere un po’ tradito è colui che mi ha ordinato perchè penso che ci abbia regalato uno sguardo diverso sulla Chiesa e sul mondo, uno sguardo che non nasce solo dall’intelligenza che si modella intorno all’apprendimento di tecniche o di nozioni. Il cardinal Martini ci ha insegnato che la realtà va letta con la Parola di Dio perchè è da lì che ha origine, ed è l’unica parola che crea, che trasforma. Credo di non aver custodito sempre dello Spirito di Dio che si è rivelato nell’intelligenza dei miei maestri e di quel maestro in particolare. C’è poi lo Spirito del Signore che si è manifestato nel consiglio e questo l’ho imparato e lo imparo dagli anziani, a partire dal mio nonno Giovanni e della mia nonna Gisella. E poi tanti altri che hanno costellato la mia vita fino ad oggi, anche in questi giorni. A volte gli anziani dicono sempre le stesse cose, sono come il ritornello di una canzone che si ripete più volte, sono come una frase tipo “ti voglio bene”: chi si stanca di una parola così? Gli anziani hanno una sapienza che è maturata attraverso quello che noi non abbiamo sperimentato e forse non sperimenteremo mai: il tempo ce possiamo solo sentire dai loro racconti. Lo Spirito del Signore è stato per me consiglio attraverso gli insegnamenti degli anziani. E infine, il timore di Dio. C’è una scuola, quella della sofferenza, che insegna come il Signore è sempre presente alla tua vita, anche quando la fatica di vivere, la durezza della malattia te lo fa sembrare lontano. Noi questi giorni contempliamo Gesù Cristo, Colui che si è fatto carico di tutto il dolore, di tutta la sofferenza, di quella che vediamo e di quella che è nascosta nel cuore, di quella che si manifesta e di quella che diviene un sentimento profondo. Io non ho saputo custodire lo Spirito del Signore che a me si è rivelato nel timore di Dio che hanno gli ammalati, che non è paura della morte e neanche di un giudizio ma consapevolezza di passare attraverso un mistero che è quello dell’Eternità, ma è anche quello che fa guardare la vita con gratitudine. 

Perchè questo amore che arde non mi consuma? Non so quante celebrazioni eucaristiche ancora vivrò, non mi metterò a contarle perchè avrò sempre un po' timore di quel numero. Vorrei solo che questo amore mi facesse sentire come sente Lui, pensare come pensa Lui, desiderare come desidera Lui, amare come ama Lui. Se anche voi a volte vi siete domandi perchè questa messa che celebriamo non ci cambia così tanto, se anche voi qualche volta vi siete domandati  Perchè questo amore che arriva fino al dono della vita non mi rapisce veramente? Proviamo a chiedere al Signore di imparare da questa Celebrazione, da questo giorno ad amarlo.
Chiedo al Signore che in questo anno così speciale per me rinnovi la sua effusione dello Spirito e mi renda finalmente lieto di quello che sono perchè Lui, attraverso questa Celebrazione Eucaristica, mi ha un po’ trasformato. Chiedo di essere nuovamente benedetto dalla tenerezza dei bambini, dalla curiosità intelligente dei giovani, dalla fortezza delle mamme, da quella sapienza che è fatta di coraggio e di tenacia dei padri, dalla forza del magistero di uomini santi, dal consiglio degli anziani e dal timore di Dio che nella malattia molto uomini e donne sanno vedere. Chiedo anche a voi di chiedere al Signore per me la grazia di essere finalmente consumato da quell’amore che ogni giorno arde per noi.

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