29 giugno 2019 - Santi Pietro e Paolo - Brebbia (Va)




Quando ho incontrato don Giuseppe alla Festa dei Fiori a Venegono, l’occasione in cui si festeggiano gli anniversari (e tra questi anche il 25esimo), mi ha invitato a celebrare una Messa; però delle mie quattro parrocchie, delle mie sei chiese, due sono dedicate ai Santi Pietro e Paolo e quindi era un po’ difficile pensare di essere qui questa sera. Poi sono riuscito ad aggiustare le cose ed eccomi qui, contento di avere questa possibilità di celebrare l’Eucaristia in questa Chiesa. Mi ha dato del brebbiese anche se non sono proprio di Brebbia, diciamo che se il 28 dicembre 1968 mia mamma non si fosse sposata in questa Chiesa io non ci sarei: sono un po’ brebbiese forse per questo anche se sono poi cresciuto in altri luoghi. In realtà io sono legato a questa chiesa per tantissimi ricordi e, di questi ricordi, vorrei lasciarvi un messaggio legato a questa festa e alla nostra vita cristiana.
Il primo ricordo che ho è che quando venivamo a trovare la nonna, praticamente tutte le domeniche, andavamo a Messa alla sera e ci sedevamo sempre nella navata sotto i santi e io, piccolino, alzavo lo sguardo e vedevo queste figure molto grandi. Così la prima esperienza che ho fatto dei santi è che per me loro erano dei giganti. Erano immagini grandi e per me indecifrabili, non riuscivo a riconoscerle. 
L’altro ricordo che ho è il pallone: la prima volta che ho visto bruciare il globo è stato proprio in questa Chiesa e da bambino mi domandavo perché si facesse questa cosa. Era divertente, anche perchè le persone si spostavano per evitare che qualcosa li colpisse e così io mi spostavo per cercare di vedere.
Il terzo pensiero è che mi guardavo intorno e vedevo che mancavano dei pezzi, c’erano dei buchi… e mi chiedevo “chissà quando aggiustano questa chiesa!”.
Questi tre ricordi possono diventare invito per me e per voi. Il primo è che oggi noi celebriamo la memoria di due santi che sono all’origine della nostra esperienza di fede. Senza di loro noi oggi non saremmo qui: sono davvero dei giganti! Non nel senso che fanno delle cose straordinarie o che sono personaggi celebrati dalla letteratura come fuori dal normale. Certo, se ascoltiamo il discorso di Paolo di questa sera ci sembra un supereroe che ha superato tutte le avversità e non è morto, sembra un personaggio dei videogiochi che continua a vivere. L’invito è quello di diventare dei giganti: lo stare con il Signore, il cercare di volergli bene nonostante le nostre fragilità - e Pietro sapeva bene quanto fosse fragile - ci fa diventare capaci di azioni d’amore che noi non potremmo neanche immaginare. Il Santo è un gigante proprio perché è capace di compiere azioni d’amore gratuite, arriva - il martire santo - fino a dare la vita. Il secondo pensiero è legato al globo che brucia: tutti sapete il significato. Pensavo a come sarebbe bello se la nostra vita fosse un consumarsi per il Signore. Nel Giovedì Santo ho proposto questa riflessione partendo da una domanda che ho nel cuore sempre, da molti anni: perchè questo amore che arde - guardando l’Eucaristia - non mi consuma? È un’espressione di San Francesco d’Assisi che si chiedeva davanti all’Eucaristia. Vedendo consumare questa realtà, forse anche la mia vita dopo 25 anni di presbiterato deve rinnovarsi nel desiderio di essere tutta spesa, tutta donata, tutta bruciata per il Signore. È l’augurio che faccio anche a voi perchè amare così intensamente Dio da spendersi al suo servizio non è solo per i preti. Infine la Chiesa rotta: tante volte vediamo la chiesa che non è come vorremmo, tante volte altri ne parlano male e anche noi, a volte, parliamo male della nostra chiesa. Non tanto dell’edificio ma della Chiesa istituzione, che siamo noi. Abbiamo sempre qualche sottolineatura negativa da dare e speriamo sempre che qualcuno l’aggiusti. In realtà la Chiesa siamo noi e la possibilità che sia aggiustata, che risplenda nella sua bellezza dipende da noi. Non solo dalla santità del Papa, dei suoi collaboratori, dei preti, di coloro che sono consacrati ma da noi. Questi ricordi si mischiano insieme a tanti altri, alcuni lieti (penso al Battesimo dei miei nipotini) e altri più dolorosi, penso a uno dei più grandi dolori che ho vissuto che è stato il funerale del mio nonno Giovanni pochi mesi prima di diventare diacono. Quando rileggo le parole di Pietro che dice un angelo mi ha visitato io penso al mio nonno Giovanni che credo che, tra tutti nella mia famiglia, fosse quello che aveva capito di più ciò che mi stava accadendo, quello che avrebbe voluto esserci con tutte le sue forze. Se ne è andato nei giorni della Pasqua, la domenica delle Palme ed è stato un momento difficile da accettare, forse il primo distacco così violento e doloroso. Avevo perso altre persone care ma il nonno era un punto di riferimento. Dieci anni fa abbiamo salutato la nonna Gisella: queste due persone, credo per molti che le hanno conosciute, hanno lasciato un segno, certamente lo hanno lasciato nella storia e nella fede di tanti di noi. Una fede semplice, fatta di un’esperienza quotidiana di preghiera e soprattutto della percezione reale che Dio centra con tutto ciò che mi accade. Sia questo parli di gioia sia questo parli di tristezza e di dolore. I miei nonni, i vostri nonni, i nostri genitori ci hanno regalato questo e oggi sono lieto di poter vivere qui l’Eucaristia pensando proprio a loro, ricordando certamente anche altre persone care che ho salutato proprio in questa chiesa: la zia Vittorina, don Serafino. Quello che tengo nel cuore, oggi, è la gratitudine per la testimonianza di fede che ho ricevuto e che mi ha accompagnato. 

Oggi per me motivo di grande gioia è non solo ringraziare per questi 25 anni di presbiterato ma anche per i 50 anni di professione religiosa della Zia: una coincidenza, che per me è provvidenza, che ci permette di tornare in questo luogo insieme per dire grazie per il dono della vita, per il dono della vita nella fede e per la possibilità di cercare - con l’aiuto di Dio ti basta la mia grazia, non avere paura della tua debolezza - di diventare, con l’aiuto di Dio, dei giganti nella fede, nell’amore, nella speranza; di bruciare d’amore per il Signore e per la sua Chiesa, che certo anche noi vorremmo a volte un po’ diversa ma è l’unica che abbiamo ed è l’unica che possiamo aggiustare attraverso la nostra stessa vita.
Vi auguro allora di vivere una festa patronale che sia occasione per ringraziare per tutto ciò che in questo anno vi è stato dato: attraverso i sacramenti, la testimonianza di fede reciproca, attraverso i desideri che a volte si sono realizzati, altre volte no, i progetti che avete cercato di perseguire e che a volte hanno avuto un buon fine, a volte no. Ringraziare per tutto l’amore che è passato tra di voi, originato proprio dall’Eucaristia. È l’occasione anche per chiedere perdono, per avere più pazienza, per attendere chi è rimasto un po’ indietro, per rinnovare la stima dei confronti di coloro che cercano, come ciascuno di noi, di amare il Signore. Sarà allora una buona festa patronale se ciascuno sentirà nel cuore questa domanda “ma tu mi vuoi bene?”: se cerchi di volermi bene non aver paura della tua fragilità, ti basta la mia grazia. Seguimi.

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