Domenica 24 novembre 2019 - II d'Avvento



Il popolo era in attesa, in attesa di capire se quest’uomo, Giovanni, fosse il Cristo. Un po’ perché ci si aspettava un Cristo che liberasse finalmente il popolo dall’oppressione, che fosse forte, che fosse deciso, che avesse una parola che discrimina il giusto dall’ingiusto, il buono dal cattivo, che finalmente ripristinasse quell’antico potere che da Davide in poi non si era più visto con tutta quella forza. 
Il popolo era in attesa, perché in fondo tutti attendono, attendono qualcuno che dica una parola incontrovertibile, che non lasci spazio a nessun altro. Tutti hanno una fede da coltivare e anche se si dice che la fede nel cristianesimo sta diminuendo, in realtà la fede è un’espressione della vita dell’uomo e tutti, anche quelli che dicono di non avere nessuna fede, credono in qualcosa, in qualcuno, ripongono la loro fiducia in qualche aspetto della vita, grande o piccolo che sia, ma che motiva le loro scelte al punto da farle diventare bene o male a secondo l’idea, l’ideologia, la passione che hanno.    
Noi che siamo di Cristo e per questo siamo qui, siamo venuti ancora una volta per chiedere al Signore di aiutarci ad avere una fede più grande in Lui, a riconoscerlo come il Signore della storia. Luca introduce questo brano di Vangelo proprio collocando Giovanni in un tempo, in un luogo, nella storia, a ricordarci che Dio c’entra con la storia, con la nostra storia e che lasciarlo fuori da essa significa cercare un’altra strada, un’altra via.
Innanzitutto, allora, il primo pensiero che ho nel cuore e che custodisco oggi è “che cosa sto attendendo? Che cosa aspetto? che cosa cerco?”, ma anche “qual è il Volto di Dio che ho nel cuore? Qual è il Volto di Cristo che ho nel cuore?”. 
Mi stupisce sempre come questi uomini e queste donne andassero da Giovanni pur essendo maltrattati da lui: «Razza di vipere!». Chi di noi andrebbe volentieri ad ascoltare qualcuno da cui viene insultato o giudicato così fortemente, smascherato nelle proprie ipocrisie o iniquità. Ma il popolo era in attesa, in attesa di una parola che desse un significato alla vita, che permettesse di dare un senso anche ai gesti, al proprio lavoro, e così i pubblicani chiedono “che cosa dobbiamo fare?” e così i soldati “che cosa dobbiamo fare?” perché la vita è così, è ricerca di un compimento, è ricerca di un senso. E noi veniamo all’Eucaristia ogni domenica non perché dobbiamo farlo, perché altrimenti la scure è già posta alla radice e pertanto verremo tagliati o esclusi dal regno di Dio.  Veniamo qui perché vogliamo capire, vogliamo comprendere se davvero questo Gesù e il suo Vangelo, questa Parola di Dio e questi gesti d’amore possono dare senso alla nostra vita e fare in modo che siamo giusti in mezzo agli ingiusti, che siamo buoni in mezzo a persone cattive, che siamo cercatori di verità in mezzo a tanti che si lasciano abbagliare da false luci. Noi veniamo all’Eucaristia non perché siamo meglio di altri, ma perché siamo cercatori, perché siamo in attesa. E allora chiediamo al Signore proprio che cosa dobbiamo fare perché a volte c’è una frattura tra la nostra preghiera e le nostre azioni, tra il nostro venire all’Eucaristia e il nostro agire quotidiano, perché ci dimentichiamo che Dio c’entra con la storia di tutti i giorni, con ogni istante della nostra esistenza, che non avrebbe senso essere discepoli di un Cristo che c’entra solamente in qualche momento della vita. Allora sì, potremmo sentirci rimproverati ma non tanto da un Dio cattivo, che giudica, che esclude ma dalle nostre stesse azioni.
Allora oggi vogliamo chiedere al Signore innanzitutto di rinnovare in noi questo desiderio dell’attesa della sua venuta. Lui che viene in questa Eucaristia, Lui che viene in ogni giorno, Lui che viene nel Natale per ricordarci che è venuto nella storia. Vorremmo prendere con noi questa esortazione di Paolo e tenerla come programma di vita questa settimana ma forse anche per tutta la vita: «cerchiamo di piacere al prossimo nel bene per edificarlo». È vero che a volte quando noi compiamo il bene qualcuno lo interpreta male; è vero che non sempre quello che noi crediamo essere fatto bene viene compreso dagli altri come bene, ma in questo siamo discepoli di Gesù, che davanti anche al miracolo aveva qualcuno che diceva “non è possibile” oppure che lo giudicava perché lo aveva compiuto di sabato, o perché non si può compiere un gesto così essendo peccatori.
Allora chiediamo al Signore la forza di rinnovare in noi la fiducia in Lui, in Lui che ci viene presentato come quello che viene a donarci lo Spirito Santo, che ci battezza in Spirito Santo e fuoco. Noi, che abbiamo già ricevuto questo battesimo, abbiamo oggi, in questa Eucaristia, l’opportunità di rinnovarlo, proprio in una adesione della fede, come faremo tra poco, nell’adesione a Lui nel cibarci del suo corpo, nel scegliere che le sue parole siano la nostra vita. Allora cerchiamo di fare tutto nel bene, per edificare i fratelli, questo non perché abbiamo paura del giudizio di Dio ma perché è quello che Gesù fa anche per la nostra vita: fa il bene per edificarci.
E noi, che siamo discepoli di questo Signore, proviamo, nella quotidianità della nostra esistenza, ad imitarlo.

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