15 aprile 2020 - Soltanto una Parola e sarò salvato

Può accadere a tutti di arrivare all’incontro con Gesù indeboliti dalla fatica, smarriti a causa delle incertezze sul futuro, prostrati dalla sofferenza e dalla morte e così il Signore che ci viene incontro lo sentiamo come un forestiero, uno che non comprende, che non sa, che non può capire, uno che ha tradito la speranza. 

Il Signore tuttavia non si stanca di farsi accanto a questo nostro camminare, e chiede di abitare la nostra vita che conosce bene perché l’ha vissuta in pienezza, conosce la fatica della lotta contro il male, lo smarrimento davanti ad un futuro che lo vede perseguitato, la prostrazione nel dolore fino alla morte.
Può accadere a tutti di arrivare impreparati all’incontro con Gesù: la liturgia penitenziale all’inizio della celebrazione eucaristica ci chiede di raccogliere tutta la nostra vita e offrirla così com’è al Padre. Egli con quell’argilla informe creerà un’opera meravigliosa.

Può accadere a molti di essere estranei alla Parola. Molte parole assediano la nostra mente ma la Parola di Dio no: difficile, contraddittoria, e poi ci domandiamo: “come è possibile che sia vera?“ Così abbiamo bisogno che ci venga annunciata e spiegata. “Ignorare le Scritture significa ignorare Cristo.” Ed è proprio Lui la Parola rivelata del Padre ad indicarci la via: il Vangelo, buona notizia, Parola che se accolta ha la forza di un fuoco ardente nel cuore, che non possiamo contenere.
Può accadere a molti di essere estranei alla Parola: la liturgia della Parola nella celebrazione eucaristica chiede l’umiltà dell’ascolto perché quella Parola diventi lampada e luce al cammino. Perché viene sempre la sera, perché è necessario camminare nella luce.

Può accadere agli amici di Gesù coloro, che hanno preparato la Pasqua, di trovarsi invitati alla cena del Signore e di rinnovare il gesto dello spezzare del pane, quel pane di vita, pane del Cielo che desideriamo tanto e del quale siamo privati in questo prolungato tempo di limitazioni a motivo dell’emergenza sanitaria.
Può accadere agli amici di Gesù di essere “beati perché invitati alla cena del Signore!”: la liturgia eucaristica è il tempo nel quale rivivere la Pasqua di Gesù e aderire a Lui con fiducia coraggiosa, con tenace speranza, con gratuita carità. 
Quale Pasqua abbiamo vissuto? Quella stanca di Cleopa e del suo amico o quella lieta di chi annuncia “davvero il Signore è risorto”, parola che ahimè ripetiamo ma che non ci sconvolge più, annuncio cuore della fede, fondamento di ogni scelta nel tempo fino all’eternità, perché basta una parola per dare a senso alla nostra storia per sempre: “dì soltanto una parola e io sarò salvato”.

Può accadere che la richiesta del perdono, l’ascolto della Parola, lo spezzare del pane facciano comprendere quale sia l’amore di Dio per ciascuno di noi e ci spingano a scegliere di non trattenere questo annuncio, di non avere paura. 
Può accadere che il congedo finale della celebrazione eucaristica assomigli più che ad un saluto ad un comando, all’invito urgente di far conoscere che c’è un perdono da ricevere e che ti rende creatura nuova; che c’è un Parola d ascoltare e che ti rende una creatura illuminata;  che c’è un pane da condividere, che fa della vita un dono. 

Nell’incontro con Gesù non temo di essere chiamato stolto e lento di cuore, desidero solo avere il coraggio, oggi e sempre, di ripetere quella supplica: “rimani con me perché si fa sera, con te anche la notte non farà più paura. Rimani con noi in questa notte che ci avvolge con te non avremo paura”.

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