Festa della Repubblica - Martedì 2 giugno 2020


Faccio parte di un popolo che ha vissuto esperienze di grande unità ed esperienze di divisione; faccio parte di un popolo che ha sperimentato che cosa significhi vivere la guerra, la guerra anche tra persone dello stesso popolo; faccio parte di un popolo che ha scelto di darsi l’ordinamento di governo perchè la concordia, la pace, la fraternità fossero esperienze quotidiane per chi allora aveva negli occhi ancora l’orrore della guerra e per chi guardava già al futuro, alle nuove generazioni con la speranza che non avrebbero mai dovuto sperimentare quello che loro, purtroppo, avevano vissuto; faccio parte di un popolo che, come il popolo d’Israele, ha poca memoria e si dimentica spesso dei doni ricevuti, di aver avuto delle grandi guide, illuminate non solo da virtù morali cresciute attraverso l’intelligenza dello studio, la partecipazione politica, il lavoro ma anche attraverso quella fiducia nei confronti di Dio che illumina le azioni e i pensieri, le scelte e che permette a noi di avere una Costituzione che è comunque riferimento non solo per il nostro popolo ma per tanti popoli. Faccio parte di un popolo, di un paese, che è stato costruito grazie al servizio di molti che si sono fatti trovare pronti sia nei momenti lieti sia in quelli tristi, uomini e donne che hanno servito questo Paese e che spesso hanno perso la vita, che assomigliano molto al seme caduto per terra che deve morire per portare frutto. A volte ci ricordiamo di loro con una lapide, con un mazzo di fiori ma tante volte tradiamo la loro memoria quando non sappiamo custodire non solo le loro parole, ma soprattutto le loro azioni, le loro testimonianze. Faccio parte di un popolo che è spesso lamentoso, come il popolo d’Israele che mormora e pensa sempre che prima era meglio e dimentica che non c’è mai un tempo che è in assoluto il migliore, o meglio: lo è quando io decido di metterci tutto quello di cui sono capace per renderlo il tempo migliore per me e per chi mi sta accanto. Faccio parte di un popolo, di una nazione, di un insieme di persone che hanno cercato e cercano di camminare insieme. La concordia, la pace, la fraternità non siano solo parole in questo giorno ma siano esperienze che nascono innanzitutto dalla solidarietà, che è necessaria a motivo anche dell’emergenza sanitaria che ancora viviamo, ma anche di quella capacità di una stima reciproca per il bene che ciascuno può portare indipendentemente dal fatto che non sempre si è appartenuto a questo popolo, che non sempre sia nato all’interno dei nostri confini. Una stima che è anche per coloro che sognano in grande e spesso si trovano chiuse in faccia le porte di chi dice “un tempo era meglio” e guarda indietro e si dimentica che solamente sognando in grande abbiamo potuto costruire questo nostro Paese così com’è. Se anche a volte ne vediamo soprattutto i tratti di decadenza non dimentichiamoci che in realtà esso è stato costruito e ci è stato consegnato perchè dei servi buoni e generosi lo hanno servito fino al dono della vita.
Oggi, più che percorrere strade in piazza o gridare slogan, rivendicare diritti vorrei unicamente dire grazie perchè faccio parte di un popolo che è stato capace di rialzarsi e sarà capace di rialzarsi ancora, non nonostante gli errori di alcuni ma grazie al contributo quotidiano di servi e serve che nel silenzio, come accade sempre, sapranno mettersi al lavoro anche nel cuore della notte, anche quando sono stanchi, sfiniti per garantire per tutti la possibilità che questo tempo sia il migliore che possono vivere.
Ringrazio il Signore perché abbiamo avuto in dono questa eredità. Chiedo la responsabilità di saperla, anche con la mia fragilità, custodire.

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