Il nostro attendere Dio
L’attesa non è un atteggiamento molto popolare. L’attesa non è qualcosa a cui la gente pensa con grande simpatia. Infatti, la maggior parte della gente considera l’attesa una perdita di tempo. Forse perché la cultura nella quale viviamo fondamentalmente dice: “Su, dai! Fa’ qualcosa! Dimostra che sei capace di agire! Non stare lì seduto ad aspettare!”. Per molti l’attesa è un deserto arido che si stende tra il luogo in cui essi si trovano e quello in cui vogliono andare. E alla gente non piace molto un posto simile. La gente vuole uscirne facendo qualcosa. Nella nostra situazione storica particolare, l’attesa è anche più difficile perché siamo cosi timorosi. Una delle emozioni più pervasive nell’atmosfera attorno a noi è la paura. La gente ha paura: paura dei sentimenti interiori, paura degli altri, e anche paura del futuro. Le persone timorose soffrono nell’attesa, perché quando abbiamo paura vogliamo andare via da dove siamo.
Ma se non possiamo fuggire, possiamo invece combattere. Molti dei nostri atti distruttivi derivano dalla paura che ci possa essere fatto qualcosa di dannoso. E se assumiamo una prospettiva più ampia - per cui non solo singoli individui, ma intere comunità e nazioni potrebbero avere paura di essere danneggiate - possiamo capire quanto sia penoso aspettare e che tentazione sia agire. Qui sono le radici di un approccio del ‘primo attacco’ agli altri. Le persone che vivono in un mondo di paura è più probabile che diano risposte aggressive, ostili e distruttive che non le persone che non sono cosi impaurite. Più paura abbiamo, più penoso diventa l’aspettare. Questo è il motivo per cui l’attesa e un atteggiamento tanto impopolare per tanta gente.
Mi colpisce, pertanto, che tutte le figure che appaiono nelle prime pagine del Vangelo di Luca siano in attesa. Zaccaria ed Elisabetta stanno aspettando.
Maria sta aspettando. Simeone ed Anna, che si trovavano nel tempio mentre vi veniva condotto Gesù stanno aspettando. L’intera scena nuziale della buona novella è piena di persone che aspettano. E proprio all’inizio tutte queste persone in un modo o nell’altro sentono le parole: “Non temere! Ho qualcosa di bello da dirti”. Queste parole indicano che Zaccaria, Elisabetta, Maria, Simeone ed Anna stanno aspettando che qualcosa di nuovo e di bello accada loro.
Chi sono questi personaggi? Rappresentano Israele che attende. I Salmi sono pieni di questa attesa. “Io spero nel Signore, l’anima mia spera nella sua parola. L’anima mia attende il Signore più che le sentinelle l’aurora. Israele attenda il Signore, perché presso il Signore è la misericordia e grande presso di lui la redenzione” (Sal 129,5-7). “L’anima mia attende il Signore”: questo e il tema che risuona in tutta la Scrittura ebraica.
Ma non tutti coloro che abitano in Israele sono in attesa. Infatti, potremmo dire che i profeti criticavano il popolo (almeno in parte) per aver distolto la sua attenzione da ciò che stava venendo. L’attesa alla fine divenne l’atteggiamento del resto di Israele, di quel piccolo gruppo di israeliti che erano rimasti fedeli. Il profeta Sofonia dice: “Farò restare in mezzo a te un popolo umile e povero; confiderà nel nome del Signore il resto d’Israele. Non commetteranno più iniquità e non proferiranno menzogna; non si troverà più nella loro bocca una lingua fraudolenta” (Sof 3,12-13). È il resto purificato del popolo fedele che è in attesa. Elisabetta, Zaccaria, Maria, Simeone ed Anna sono i rappresentanti di quel resto. Sono capaci di aspettare, di essere attenti, di vivere nella speranza…
(Henry J.M Nouwen, Il sentiero dell'attesa, Queriniana, pp. 6-9)
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