19 maggio 2012 - Una linfa d'amore che porta la vita

Rimanete in me e io in voi. 
Come il tralcio non può portare frutto da se stesso 
se non rimane nella vite, 
così neanche voi se non rimanete in me.
(Gv 15, 4) 

Avevamo sempre pensato che Dio fosse il buon pa­drone del campo, il conta­dino operoso e fiducioso. 
Ma ora Gesù afferma qual­cosa di assolutamente nuo­vo: «Io sono la vite, voi i tral­ci». In Cristo il vignaiolo si è fatto vite, il seminatore si è fatto seme, il vasaio argilla, il Creatore creatura. 
Dio è in me, non come pa­drone ma come linfa vitale. 
Dio è in me, non come voce che impone ma come il se­greto della vita. Dio è in me, come radice delle mie radi­ci, perché io sia intriso di Dio. 
Tra poco cominceranno a profumare i fiori della vite, i più piccoli tra i fiori. All’inizio della primavera, il vi­gnaiolo attende che la linfa', salita misteriosamente lun­go il tronco, si affacci alla fe­rita del tralcio potato, come una goccia, come una lacri­ma. All’apparire di quella la­crima sui tralci, mio padre diceva: è la vite che va in a­more! 
Se la stessa linfa scor­re in Cristo vite e in me tral­cio, allora anche la mia vita porterà, attraverso vene d’a­more, frutti buoni. 
C’è una linfa' che sale dalla radice del mondo, ad un mi­sterioso segnale della terra e del sole, e in alto apre la corteccia che sembrava sec­ca e morta e la incide di fio­ri e di foglie. E per un mira­colo, che neppure arriva più a stupirci, trasforma il calo­re del sole in profumo e il buio della terra in colore. 
Quella linfa', quella goccia d’amore, che tante volte ho visto tremare sulla punta del tralcio, è umile immagine di Dio, dice che un amore per­corre il mondo, sale lungo i ceppi di tutte le vigne, di tut­te le vite. E perfino le mie spine ha fatto rifiorire. Vie­ne da prima di me e va oltre me. Viene da Dio, e dice a questo piccolo tralcio: «Ho bisogno di te per una ven­demmia di sole e di miele». Ho bisogno di te, anche di un grappolo solo, perché senza i vostri tralci la vite è sterile. 
Parole centrale oggi: «rima­nete in me», noi siamo già in Dio, Dio è già in noi, siamo percorsi da Lui, non c’è da cercarlo lontano, è qui, è dentro, scorre nelle vene dell’essere. 
E poi «portare frutto», il no­me nuovo della morale e­vangelica non è sacrificio ma fecondità, non ubbi­dienza ma espansione, non rinuncia ma centuplo. Non di penitenze c’è bisogno, ma di frutti con dentro un buon sapore di vita, a disse­tare l’arsura delle cose. 
Nessun albero consuma i propri frutti, nessuna vite; essi sono portati, sono offerti per la gioia e l’alimen­to delle altre creature. Que­sta è la perfezione: maturare e dimenticarsi nel dono.
(Ermes Ronchi)


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