5 giugno 2016 - III domenica dopo Pentecoste
È sempre faticoso scegliere di trovare il tempo o scegliere di andare a chiedere perdono al Signore. Tendiamo sempre a giustificarci, a pensare “perché dobbiamo chiedere perdono?, in fondo non ammazziamo nessuno, non rubiamo, siamo sempre i migliori di tanti altri che ci vengon opposti nei fatti di cronaca o dalle notizie che ci giungono dal nostro paese o da tutto il mondo”. Quando poi andiamo a confessarci, magari in occasione della Pasqua o del Natale, ci troviamo a dire “io non ho peccati, non ho fatto niente di male”…
Il motivo per cui non riusciamo a cogliere né l’importanza del sacramento né la valenza che esso può avere per la nostra vita è legato al fatto che ci confrontiamo sempre con noi stessi, con le nostre impressioni, con quello che pensiamo noi sia giusto oppure non sia giusto. L’incontro con la Parola di Dio ci aiuterebbe invece a scoprire che il peccato che genera ogni altro peccato è la sfiducia nei confronti di Dio. Il testo della Genesi ce lo presenta attraverso questo racconto che conosciamo bene: l’uomo e la donna hanno a disposizione tutto, hanno ricevuto da Dio la vita, quell’armonia che si è creata fra di loro, possono partecipare della creazione dando nome a ogni realtà creata. Un’unica cosa è chiesta loro: saper custodire la differenza. Dio chiede all’uomo di comprendere che il fatto di non poter accedere a tutto non è una limitazione ma una sua caratteristica: non essere Dio ma essere pienamente uomo, creatura di Dio. D’altra parte, le differenze tra di noi ci rendono unici, irripetibili. L’uomo pensa “se Dio mi priva di questo è perché è un imbroglione, perché non è dalla mia parte, limita la mia libertà, pone degli ostacoli alle mie possibilità, non è un bene per me” e appena compie quel gesto, rottura dell’alleanza, inizia tutto a confondersi e inizia a provare vergogna. La sua nudità, la sua fragilità sono un problema: prova vergogna e non riesce più ad accettarsi, come quando noi abbiamo vergogna e non riusciamo più ad accettare una situazione. Poi inizia ad avere paura: Dio non ha ancora fatto nulla, sente la sua voce «Dove sei?» e ha paura. Nessuna minaccia, nessuna azione violenta. Basta solamente la voce ascoltata in maniera diversa. Si rompe poi l’armonia: «È colpa sua! È stata lei!». La sfiducia nei confronti di Dio ci fa vedere il nostro limite come vergognoso, come impossibilità a compiere il bene. Ci fa avere paura del giudizio di Dio ma anche di quello degli altri. Ci costringe ad essere in conflitto con chi ci sta accanto, anche con la donna, con l’uomo, coloro che sono stati creati perché avessimo davanti a noi qualcuno che ci corrispondesse, che parlasse al nostro cuore, che fosse simile a noi perché l’uomo, per quanto possa trovare pace nella realtà creata, nella relazione anche con il mondo animale, trova la sua corrispondenza in chi come lui ha ricevuto lo Spirito di Dio, l’alito della vita.
Noi facciamo fatica a chiedere perdono, perché ci siamo dimenticati che Dio ha creato quell’alleanza per sempre, e che continuerà a chiederci di custodire la differenza non perché vuole essere un padre-padrone ma perché sempre ci ricorda che la differenza da Lui fa essere noi e che il suo desiderio di partecipare della nostra vita arriva fino al dono della vita stessa.
Così là dove ha abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia. Ci voleva una donna, capace di riaccogliere dentro di sé tutta la creazione, per generare un’umanità nuova. Ci voleva un uomo capace di custodire nella giustizia, nell’umiltà un mistero troppo grande da contenere nella propria intelligenza. Così, fin dall’inizio, Dio dà all’uomo una possibilità nuova: questa possibilità per noi è esperienza della misericordia. Ogni volta che sentiamo dentro di noi l’obiezione perché andare a confessarsi? Perché chiedere perdono? lasciamo che ciò che ci allontana da Dio prenda il sopravvento.
Il sacramento della riconciliazione non è un’opera magica ma è la possibilità concreta di essere ricreati, rimodellati intorno a quel progetto originario che dice la volontà di Dio di non far diventare la mia nudità il mio limite, di non far diventare le mie paure ciò che mi legano e mi impediscono di essere libero, di evitare che la disarmonia, conseguenza del peccato, possa togliermi il desiderio di scegliere ogni giorno di creare legami di autentiche relazioni, legami di pace.
Chiediamo allora al Signore il coraggio di non relegare il sacramento della riconciliazione a un episodio che accade ogni tanto, legato a qualche festa particolare, ma a sceglierlo come possibilità di essere sempre ricreati da Lui, perché quell’alleanza che Lui ha posto in Gesù Cristo è per sempre e sempre noi possiamo attingere a questa misericordia con la larghezza e la sovrabbondanza che Paolo ci racconta nella lettura odierna. Così, se qualcuno di noi si trova in una situazione complicata, si sente così distante dal Signore, sente che ciò che ha sbagliato lo condiziona a tal punto da fargli pensare che sia impossibile il perdono, scopra e riscopra che il Signore è venuto proprio a cercare chi si è smarrito e ogni volta che noi ci avviciniamo a Lui, lui che non è il padre-padrone ma è il nostro Creatore, avrà sempre una parola nuova di creazione.
Il motivo per cui non riusciamo a cogliere né l’importanza del sacramento né la valenza che esso può avere per la nostra vita è legato al fatto che ci confrontiamo sempre con noi stessi, con le nostre impressioni, con quello che pensiamo noi sia giusto oppure non sia giusto. L’incontro con la Parola di Dio ci aiuterebbe invece a scoprire che il peccato che genera ogni altro peccato è la sfiducia nei confronti di Dio. Il testo della Genesi ce lo presenta attraverso questo racconto che conosciamo bene: l’uomo e la donna hanno a disposizione tutto, hanno ricevuto da Dio la vita, quell’armonia che si è creata fra di loro, possono partecipare della creazione dando nome a ogni realtà creata. Un’unica cosa è chiesta loro: saper custodire la differenza. Dio chiede all’uomo di comprendere che il fatto di non poter accedere a tutto non è una limitazione ma una sua caratteristica: non essere Dio ma essere pienamente uomo, creatura di Dio. D’altra parte, le differenze tra di noi ci rendono unici, irripetibili. L’uomo pensa “se Dio mi priva di questo è perché è un imbroglione, perché non è dalla mia parte, limita la mia libertà, pone degli ostacoli alle mie possibilità, non è un bene per me” e appena compie quel gesto, rottura dell’alleanza, inizia tutto a confondersi e inizia a provare vergogna. La sua nudità, la sua fragilità sono un problema: prova vergogna e non riesce più ad accettarsi, come quando noi abbiamo vergogna e non riusciamo più ad accettare una situazione. Poi inizia ad avere paura: Dio non ha ancora fatto nulla, sente la sua voce «Dove sei?» e ha paura. Nessuna minaccia, nessuna azione violenta. Basta solamente la voce ascoltata in maniera diversa. Si rompe poi l’armonia: «È colpa sua! È stata lei!». La sfiducia nei confronti di Dio ci fa vedere il nostro limite come vergognoso, come impossibilità a compiere il bene. Ci fa avere paura del giudizio di Dio ma anche di quello degli altri. Ci costringe ad essere in conflitto con chi ci sta accanto, anche con la donna, con l’uomo, coloro che sono stati creati perché avessimo davanti a noi qualcuno che ci corrispondesse, che parlasse al nostro cuore, che fosse simile a noi perché l’uomo, per quanto possa trovare pace nella realtà creata, nella relazione anche con il mondo animale, trova la sua corrispondenza in chi come lui ha ricevuto lo Spirito di Dio, l’alito della vita.
Noi facciamo fatica a chiedere perdono, perché ci siamo dimenticati che Dio ha creato quell’alleanza per sempre, e che continuerà a chiederci di custodire la differenza non perché vuole essere un padre-padrone ma perché sempre ci ricorda che la differenza da Lui fa essere noi e che il suo desiderio di partecipare della nostra vita arriva fino al dono della vita stessa.
Così là dove ha abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia. Ci voleva una donna, capace di riaccogliere dentro di sé tutta la creazione, per generare un’umanità nuova. Ci voleva un uomo capace di custodire nella giustizia, nell’umiltà un mistero troppo grande da contenere nella propria intelligenza. Così, fin dall’inizio, Dio dà all’uomo una possibilità nuova: questa possibilità per noi è esperienza della misericordia. Ogni volta che sentiamo dentro di noi l’obiezione perché andare a confessarsi? Perché chiedere perdono? lasciamo che ciò che ci allontana da Dio prenda il sopravvento.
Il sacramento della riconciliazione non è un’opera magica ma è la possibilità concreta di essere ricreati, rimodellati intorno a quel progetto originario che dice la volontà di Dio di non far diventare la mia nudità il mio limite, di non far diventare le mie paure ciò che mi legano e mi impediscono di essere libero, di evitare che la disarmonia, conseguenza del peccato, possa togliermi il desiderio di scegliere ogni giorno di creare legami di autentiche relazioni, legami di pace.
Chiediamo allora al Signore il coraggio di non relegare il sacramento della riconciliazione a un episodio che accade ogni tanto, legato a qualche festa particolare, ma a sceglierlo come possibilità di essere sempre ricreati da Lui, perché quell’alleanza che Lui ha posto in Gesù Cristo è per sempre e sempre noi possiamo attingere a questa misericordia con la larghezza e la sovrabbondanza che Paolo ci racconta nella lettura odierna. Così, se qualcuno di noi si trova in una situazione complicata, si sente così distante dal Signore, sente che ciò che ha sbagliato lo condiziona a tal punto da fargli pensare che sia impossibile il perdono, scopra e riscopra che il Signore è venuto proprio a cercare chi si è smarrito e ogni volta che noi ci avviciniamo a Lui, lui che non è il padre-padrone ma è il nostro Creatore, avrà sempre una parola nuova di creazione.
Commenti
Posta un commento