17 settembre 2013 - Troverà la fede sula terra?

«Ma il Figlio dell’uomo, 
quando verrà, 
troverà la fede sulla terra?».
(Lc 18,8)



[…] La preghiera è il santuario in cui scopriamo il vero volto di Dio, il luogo dove l'anima incontra la nostra vita frammentata e sconclusionata.
Come ho già avuto modo di scrivere, ho pregato tanto ma Dio non mi ha mai dato ciò che ho chiesto. Ma tutto ciò che desideravo, senza saperlo.
Ora, superata la metà della mia vita, ho scoperto il senso profondo di quel "bussate e vi sarà aperto". Solo che la porta che si è aperta non è quella a cui avevo bussato.
La porta dell'interiorità, del vero volto di Dio, della scoperta del sé, riusciamo ad aprirla solo se insistiamo, se non ci scoraggiamo, se accettiamo a volte di dirci stanchi, sfiduciati e ci sediamo sconfortati, lasciando che qualcun altro ci sorregga le braccia tese verso l'alto, come Mosè […]
Quand'anche percepissimo Dio come un giudice incomprensibile, dice Gesù, che non interviene nella vita dei deboli, che ci assilla con incomprensibili regole, che immaginiamo alieno alle nostre scelte e alle nostre tragedie, quand'anche Dio fosse quel mostro che il nostro inconscio dipinge e che certi cristiani […] insistono a professare, siamo chiamati a insistere.
Insistere non per convincere Dio, ma per convertire il nostro cuore.
Insistere per purificare il nostro cuore e scoprire che Dio non è un giudice, né giusto né ingiusto, ma un padre tenerissimo.
Insistere non per cambiare radicalmente le cose, neppure per cambiare noi stessi, ma per vedere nel mondo il cuore di Dio che pulsa.
Insistere nella battaglia che, quotidianamente, dobbiamo affrontare […]
Insistere.
Ma poi Gesù dice: «Quando tornerò, troverò ancora la fede sulla terra?»
Gesù è venuto, splendore del Padre, ci ha detto e dato Dio perché egli stesso è Dio. Ha convinto il mondo, riempiendolo di Spirito, riguardo a Dio anche se il mondo, e la Chiesa e noi, continuamente rischiamo di scordarci il volto del Padre per sostituirlo a quello approssimativo delle nostre abitudini.
In uno slancio di follia Gesù ha affidato il Regno alla Chiesa, a questa Chiesa, alla mia Chiesa, perché diventasse testimone del Padre. Alla Chiesa debole fatta di uomini deboli, seppure trasfigurati dallo Spirito.
Ma una cosa siamo chiamati a fare: avere fede.
Gesù tornerà, lo sappiamo, nella pienezza dei tempi, quando ogni uomo avrà sentito annunciare il Vangelo di Cristo. Verrà per completare il lavoro. A meno che il lavoro non sia fermo, paralizzato dall'incompetenza delle maestranze, dalla polemica dei ricorsi, dall'egoismo del particolarismo, dal litigio degli operai.
Ci sarà ancora fede?
Non dice: "Ci sarà ancora un'organizzazione ecclesiale? Una vita etica derivante dal cristianesimo? Delle belle e buone opere sociali?" Non chiede: "La gente andrà a Messa, i cristiani saranno ancora visibili, professeranno ancora i valori del vangelo?".
La fede chiede il Signore. Non l'efficacia, non l'organizzazione, non la coerenza, non la struttura.
Tutte cose essenziali. Se portano e coltivano la fede.
Ma inutili e pericolose, se autoreferenziali, se autocelebrative.
Altrimenti rischiamo di confondere i piani, di lasciare che le cose penultime e terzultime prendano il posto delle cose ultime.
Sano rimprovero, quello di Gesù oggi, sano realismo, sconcertante provocazione.
Gesù chiede ai suoi discepoli di conservare fede nella avversità, di non demordere, di non mollare, di continuare la disarmata e disarmante battaglia del Regno.

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