Giuseppe Marullo, Il sogno di San Giuseppe
Il senso degli avvenimenti di Dio - nascosti come sono dentro avvenimenti umani - non si comprende senza una rivelazione. Nella narrazione di Matteo (ma a modo suo anche in Luca) la funzione del rivelatore è affidata all’angelo e al sogno. Un angelo rivela a Giuseppe il significato del concepimento di Maria e il suo compito di adottare il Gesù, gli dice come sfuggire a Erode, lo invita a ritornare dall’Egitto. Tre volte si dice che un angelo appare a Giuseppe in sogno (1,20; 2,13.19). Due volte si parla soltanto di sogno, una volta in riferimento ai Magi (2,12) e una volta Giuseppe (2,22). Basta questa semplice annotazione a farci comprendere come il meraviglioso sia ridotto al minimo. L’angelo è il messaggero di Dio (dunque qualcosa di straordinario), ma che cosa c’è di più comune e umano di un sogno? Il segno di Dio compare in un luogo ordinario e familiare: il sogno. Dio parla anche della vita ordinaria e nell’esperienza normale. La presenza di Dio non è rumorosa, ma discreta, e proprio per questo straordinaria.
A volte si sottolinea che i racconti dell’infanzia fanno eccezione - rispetto al resto del Vangelo - per il loro gusto dello straordinario. L’infanzia di Gesù, si dice, è popolata di angeli. È proprio così? A me pare che nei racconti dell’infanzia l’angelo è ridotto alla sua essenzialità, descritto senza alcuna retorica e senza indulgere in alcun modo alla straordinarietà. Rispetto alla tradizione biblica si dovrebbe parlare di un processo di semplificazione, non di ampliamento.
Generalmente - e penso giustamente - si ritiene che la credenza biblica negli angeli sia stata assimilata dalle religioni circostanti, secondo le quali Dio è circondato da un esercito celeste che ha la funzione di dare risalto alla sua gloria. È ovvio, però che Israele sottopose tale credenza a una profonda purificazione, per salvaguardare il dato primario e irrinunciabile della propria fede, cioè l’unica signoria di Dio. La Bibbia considera gli angeli totalmente al servizio di quest’unica signoria. In altre parole, si osserva nell’Antico Testamento un duplice movimento, orientato in due opposte direzioni. Nella Torah e nei profeti c’è la tendenza a unificare tutti gli intermediari del pantheon culturale circostante, per affermare che Dio è uno solo. Ma, una volta posto al sicuro l’assoluto primato dell'unico Dio, avviene una sorta di recupero delle della religiosità popolare circostante. Col tempo, nel giudaismo, si è anche cercato di precisare le varie «classi» angeliche e, per qualcuno, persino il nome. Ma si tratta sempre di nomi che dicono la funzione degli angeli, non la loro natura. E già questo suggerisce che è inutile speculare sulla natura angelica, né si deve raffigurare gli angeli con eccessiva facilità. Rispettare la descrizione del testo sacro è segno di serietà.
In conclusione, due sembrano essere le funzioni degli angeli. La prima è di salvaguardare l’alterità e l’assoluta invisibilità di Dio, tanto è invisibile che si fa visibile unicamente attraverso esseri che appartengono sì al mondo celeste, ma non sono Dio. L’uomo non può accedere ai misteri divini: occorre qualcuno che gli sveli. Il messaggero è l’angelo. La seconda funzione è di mostrare la cura e la protezione che Dio ha per l’uomo. Così gli angeli mostrano, al tempo stesso la trascendenza di Dio e la sua presenza nella storia. Dio l’invisibile, si inserisce nella storia tramite gli angeli. È appunto questa la funzione degli angeli nei racconti dell’infanzia.
(Bruno Maggioni, Venne fra la sua gente, pp. 37-39)
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