15 marzo 2015 - Domenica del cieco


Rabbì, chi ha peccato? Lui o i suoi genitori perché sia nato cieco?
Era convinzione al tempo di Gesù che la malattia fosse conseguenza dell’ira di Dio, del peccato che avendo fatto adirare Dio diventa punizione. La malattia come una condanna. In realtà, anche molti cristiani pensano questo; ogni volta che avviene qualcosa di male pensano “perché Dio mi ha mandato questo? Perché vivo quest’esperienza di dolore?” imputando a Dio il male. Gesù si libera subito da questo pensiero e dice “Il male non viene da Dio, la malattia non viene da Dio, ma quest’uomo è qui davanti a noi per la gloria di Dio” e compie questo gesto che noi conosciamo bene e che il cieco continua a ripetere, interrogato sempre nella stessa maniera: lui, stupito e contento di aver ricevuto un dono straordinario, tutti quelli intorno quasi arrabbiati perché gli sia capitata una cosa così bella. Così, tutti quelli che erano intorno a lui, che lo vedevano tutti i giorni mendicare, quasi non lo riconoscono; i suoi genitori lo abbandonano; i farisei sono preoccupati solo della loro religione che dice che di sabato non si può compiere questa azione. Quest’uomo ha ricevuto un dono straordinario e invece di essere al centro di tanta gioia si trova al centro di un processo: è abbastanza strana questa situazione, colui che era cieco vive. Lui ci dimostra che quando uno incontra veramente il Signore, cambia sguardo nella vita, questo vedere non-vedere nel vangelo di Giovanni dice l’esperienza della fede: chi non vede, chi è cieco, è colui che non crede tanto che il Vangelo finisce proprio con questa espressione “credo, o Signore”. Mentre chi pensa di vedere, chi pensa di sapere già tutto, che non ha bisogno di niente perché Dio l’ha già visto nei precetti, allora non crede veramente. Abbiamo bisogno di cambiare sguardo su Dio e su di noi; abbiamo bisogno che qualcuno ci aiuti nel fare questo. Il passaggio decisivo nella vita di quest’uomo è di essersi fidato di questo Gesù e ha scelto di ascoltarlo, anche se non era una cosa così scontata soprattutto con la richiesta che Gesù gli ha fatto di andare a sciacquarsi gli occhi coperti di fango nel fiume. Per quanto quest’uomo potesse aver sentito bene di Gesù, avrà certamente pensato “Ma cosa sta succedendo?”. Ma questa fiducia data a Gesù cambia la vita: passa da non vedere al vedere. È progressivo non solo vedere con gli occhi del corpo, ma anche con gli occhi del cuore, della Fede. Così dice “Colui che si chiama Gesù ha fatto questo: è un profeta. Voi non sapete di dove sia ma ha compiuto un gesto che può fare solamente chi viene da Dio.” Gesù gli chiede “Tu credi nel Figlio dell’Uomo?”, “Io credo, Signore”. Chi incontra Gesù cambia la vita, tanto che dovremmo domandarci se noi abbiamo incontrato il Signore, se la nostra vita è modellata su di lui.
In questo cammino che stiamo facendo nel tempo di Quaresima sul sacramento della Riconciliazione, arriviamo oggi al cuore della questione. Abbiamo detto: la confessione non è uno strumento per sciacquare la coscienza ma è quel sacramento che ci permette di riconoscere che Gesù è il Signore, che centra sempre con la nostra vita, che non riguarda solo questo momento che viviamo in Chiesa e che nella misura in cui ci lasciamo ammaestrare da Lui, scegliamo di seguire Lui come unica guida, come unico Signore, ci liberiamo da tutte le schiavitù, dalla schiavitù del peccato. Attraverso la Chiesa riviviamo quella piena comunione che con il peccato avevamo rotto, perché quando diventiamo membri del corpo della Chiesa, siamo responsabili di tutti e ciò che facciamo di bene è benedizione, ciò che facciamo di male è maledizione. Abbiamo bisogno che sia la Chiesa stessa a riaccoglierci e re-inserirci nella comunità. Questa confessione, questo proclamare la nostra appartenenza al Signore, può diventare Lode, ringraziamento. Come primo atteggiamento da compiere quando andiamo alla confessione è confessare la propria lode: il Signore fa nella mia vita grandi cose, in tutti! Chiediamoci che cosa il Signore compie nella nostra vita, perché se sappiamo riconoscere che questo Dio al quale chiediamo perdono, ci vuole bene, non si stanca di noi, continua ad avere fiducia in noi, possiamo allora consegnarli le nostre fatiche, anche quelle di cui ci vergogniamo. Certamente, possiamo correre il rischio di trovarci davanti a questo momento della confessione dicendo “non ho niente da dire, sono sempre le solite cose”, perché se il metro di misura è il nostro buon senso, è facile che ci si ritrovi così, perché in fondo siamo tutta brava gente, non facciamo cose straordinariamente cattive, ma se mi metto a confronto con la parola di Dio, se vado alla ricerca delle radici dei miei comportamenti, è più facile che intuisca che certe situazioni, certe relazioni blocchino in me certe possibilità di compiere il bene e mi impediscano di essere quello che sono. Allora è importante in questo passaggio, soprattutto pensando di preparare bene almeno in occasione della Pasqua la confessione, chiedere al Signore l’umiltà di confrontarsi con la sua parola.
In questi giorni abbiamo vissuto la “24 ore per il Signore” e ci domandiamo quale spazio abbiamo dedicato al Signore. Questa sera iniziamo gli esercizi spirituali parrocchiali, che non sono una mia invenzione ma sono una possibilità perché noi modelliamo il nostro cuore sempre di più su quello di Dio, perché questa strada che certo è esigente, ci permette di vivere una vita diversa. Se essere amico di Gesù o non esserlo è la stessa cosa, siamo qui a perdere tempo. Se essere cristiani o non esserlo è la stessa cosa, perché siamo qui oggi? Noi crediamo, invece, che l’incontro con Gesù cambia la vita e lo sguardo sulla vita: abbiamo bisogno di fare questo ed è quello che cerchiamo di fare ai nostri ragazzi 14enni che anche oggi sono in mezzo a noi,  e stanno ricevendo dei segni che li preparano alla Professione di Fede che vivremo insieme, qui, il 10 maggio. Stiamo dicendo loro che essere amici di Gesù o non esserlo non è la stessa cosa. Ma se non hanno di fronte a loro una comunità di adulti che li fa respirare in questa convinzione, adesso il loro entusiasmo è forte perché siamo insieme, perché facciamo delle esperienze forti e ci divertiamo anche, ma poi dopo viene meno. Loro contano su di noi! Abbiamo bisogno di guide, come dei papà: oggi, nella nostra comunità viviamo la festa del papà! Abbiamo bisogno di coloro che ci indichino una strada, a volte in maniera esigente e forte, come sa fare chi ha una meta da raggiungere e chi è guida, che sa che per arrivare alla meta bisogna fare dei passaggi faticosi.
Vi lascio un’immagine.
Un giorno, un uomo non vedente stava seduto sui gradini di un edificio con un cappello ai suoi piedi ed un cartello recante la scritta: “Sono cieco, aiutatemi per favore”. Un pubblicitario che passeggiava lì vicino si fermò e notò che aveva solo pochi centesimi nel suo cappello. Si chinò e versò altre monete, poi, senza chiedere il permesso dell’uomo, prese il cartello, lo girò e scrisse un’altra frase. Quello stesso pomeriggio il pubblicitario tornò dal non vedente e notò che il suo cappello era pieno di monete e banconote. Il non vedente riconobbe il passo dell’uomo: chiese se non fosse stato lui ad aver riscritto il suo cartello e cosa avesse scritto. Il pubblicitario rispose “Niente che non fosse vero – ho solo riscritto il tuo in maniera diversa”, sorrise e andò via. Il non vedente non seppe mai che ora sul suo cartello c’è scritto: “Oggi è primavera…ed io non la posso vedere”.

Abbiamo bisogno di qualcuno che ci aiuti a guardare alla nostra vita in modo diverso. Chiediamo che sia il Signore a farlo, ma lui ama servirsi anche di intermediari. I papà tante volte lo possono essere, ma noi cerchiamo coloro che ci permettono di guardare in modo nuovo alla nostra, vita, coloro che ci aiutano a scoprire che essere amici di Gesù cambia la vita, che essere cristiani è un grande dono, una straordinaria esperienza. Per questo merita tempo, cura e attenzione.

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